Suicidio nell'antica Roma: differenze tra le versioni

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==Il suicidio degli schiavi==
Tutto questo valeva per gli uomini liberi. Diverso l'atteggiamento del diritto nei confronti del suicidio dello schiavo, atto che viene giudicato come causato «dalla sua stessa ''nequitia''» <ref>[[Giulio Paolo]], ''Dig. XXI, 1,43,4</ref> per cui viene definito un "cattivo schiavo", ossia "uno schiavo che non è uno schiavo", non moralmente ma nel senso che la "res" servile mostrava con il tentato suicidio un difetto nascosto che la rendeva un utensile mal funzionante tanto che il venditore era obbligato a denunciare, se non voleva incorrere nel risarcimento al compratore, anche il tentato suicidio tra gli eventuali "vitia" dell'oggetto della vendita. <ref>[[Francesco Remotti]], ''Forme di umanità'', Pearson Italia S.p.a., 2002 p.68</ref>
[[File:Ponte Fabricio Rome Pierleoni.jpg|300px|thumb|Il [[ponte Fabricio]] (62 a.C.) in Roma]]
 
==Le modalità del suicidio==
Le fonti storiche antiche ci hanno tramandato esempi di suicidi di personaggi famosi che si uccidono in vari modi ma per lo più trafiggendosi di propria mano o gettandosi sopra un pugnale tenuto da uno schiavo o tagliandosi le vene, mentre trascurano quello che avveniva ogni giorno tra la gente comune. Un'eccezione è rappresentata da Orazio che ci descrive come per un disastro finanziario abbia tentato il suicidio sventato dall'intervento del filosofo Stertinio:
[[File:Ponte Fabricio Rome Pierleoni.jpg|300px|thumb|Il [[ponte Fabricio]] (62 a.C.) in Roma]]
 
{{Citazione|Ho trascritto di lui [del filosofo Stertinio] questi precetti mirabili, dal giorno in cui mi diede conforto e mi ordinò di farmi crescere la barba da filosofo e tornarmene via dal ponte Fabricio meno triste: andato ogni mio affare alla malora, mentre, coperto il capo, stavo lì per buttarmi nel fiume, egli comparve alla mia destra e disse:“Non farai cosa indegna di te. Falso pudore ti angustia: ti vergogni, temi d’essere considerato un pazzo in mezzo ai pazzi.||Unde ego mira descripsi docilis praecepta haec, tempore quo me, solatus iussit sapientem pascere barbam atque a Fabricio non tristem ponte reverti. Nam male re gesta cum vellem mittere operto me capite in flumen, dexter stetit et “cave faxis te quicquam indignum; pudor” inquit “te malus angit,
insanos qui inter vereare insanus haberi. <ref>Orazio, ''Satire'', II, 3, 35-40</ref>|lingua=la}}
 
[[File:Peter Paul Rubens 107.jpg|thumb|upright=1.4|La morte del console [[Publio Decio Mure (console 340 a.C.)|Publio Decio Mure]] per ''devotio'', opera di [[Peter Paul Rubens]], 1617-1618.]]
Il racconto di Orazio ci indica il ponte Fabricio quale luogo da dove forse comunemente ci si suicidava e il gesto di coprirsi la testa prima di uccidersi, che è confermato anche da Livio a proposito dei suicidi collettivi di plebei alla fine del V secolo a.C. per gli interventi per la carestia del prefetto dell'annona Lucio Minucio:
{{Citazione|si gettarono nel Tevere dopo essersi velati il capo. || capitibus obvolutis se in Tiberim praecipitaverunt. <ref>[[Tito Livio]], ''[[Ab Urbe condita libri]]'', IV, 12, Newton Compton, Roma, trad.: G.D. Mazzocato</ref>|lingua=la}}
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==Il suicidio per ''devotio''==
[[File:Peter Paul Rubens 107.jpg|thumb|upright=1.4|LaIl mortesuicidio per ''devotio'' del console [[Publio Decio Mure (console 340 a.C.)|Publio Decio Mure]] per ''devotio'', opera di [[Peter Paul Rubens]], 1617-1618.]]
Una originale forma di suicidio presso i Romani era la ''devotio'' per la quale un comandante dell'[[esercito romano|esercito]] nel corso della battaglia sacrificava la sua vita come offerta agli [[dei Mani]] per ottenere, in cambio della propria vita, la salvezza e la vittoria dei suoi uomini. Sebbene questo rito fosse praticabile da qualsiasi cittadino <ref>[[Tito Livio]], ''[[Ab Urbe condita libri]]'', VIII, 10.</ref> di solito doveva essere eseguito dal [[console romano|console]] o dal [[dittatore romano]] ma in effetti lo si ritrova esclusivamente nella gens dei Decii.