Marja' al-taqlid: differenze tra le versioni

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Ad essi si opponeva la corrente degli ''[[Akhbari|Akhbārī]]'' che, insistendo sulla validità eterna e immutabile delle tradizioni ( ''akhbār'' ) degli [[imām]], rifiutava categoricamente l'utilizzo della ragione umana per stabilirne la validità e giudicare le affermazioni degli Imām stessi.
 
La tesi, che i giuristi-teologi ''[[Usuli|uṣūlī]]'' portavano a sostegno delle loro interpretazioni delle fonti trasmesse, era che non potevano essere applicate decisioni legali che fossero in contrasto con i principi razionali. Per il ''mujtahid'' (il giurista pienamente competente che pratica l'[[Ijtihad|ijtihād]]), lo sforzo interpretativo autentico diventava quindi un dovere.
 
Il passaggio dalla figura del semplice ''mujtahid'' a quella, più autoritaria, del ''Marjaʿ al-taqlīd'' è segnato dall'opera di un giurista-teologo persiano, Āqā Muhammad Bāqir al-Bihbihānī, detto al-WahīdWaḥīd (l'Unico). Egli imponeva ai fedeli il rispetto delle deduzioni dei ''mujtahid'' che, essendo derivate da uno sforzo razionale, hanno una validità indiscutibile. Inoltre, riprendeva l'antica teoria secondo cui i giuristi sarebbero stati gli “eredi del Profeta” (concetto che sarà sviluppato da uno dei suoi allievi, Mulla AhmadAḥmad NaraqiNaraqī, che parlerà per la prima volta del mandato del giurista a governare e che sarà ripreso dall'imam [[Khomeyni]], come ideologia fondante della [[Rivoluzione iraniana]] del 1978-79).
 
Dopo la sua morte, l'autorità dei ''mujtahid'' continuò ad aumentare e, nel corso del XIX secolo, il loro ruolo diventò sempre più simile a quello degli stessi [[Imam|Imām]].