Utente:Carolina Sugamosto/Sandbox: differenze tra le versioni

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Nel decennio a cavallo dell'Ottocento e del Novecento si scoprì invece che la malaria era scatenata dal parassita [[Plasmodium]], che contenuto nelle ghiandole salivari della zanzara [[Anopheles]] veniva rilasciato all’interno del sistema circolatorio epatico dell’organismo ospite quando quest’ultima pungeva<ref>Hickman, Roberts, Keen, Eisenhour, Larson, L'Anson, op. cit., pp. 342-344</ref>.
{{Citazione|''Però dov'è la malaria è terra benedetta da Dio. [...] Allora bisogna pure che chi semina e chi raccoglie caschi come una spiga matura, perché il Signore ha detto: «Il pane che si mangia bisogna sudarlo». Come il sudore della febbre lascia qualcheduno stecchito sul pagliericcio di granoturco, e non c'è più bisogno di solfato né di decotto d'eucalipto, lo si carica sulla carretta del fieno [...] con un sacco sulla faccia, e si va a deporlo alla chiesuola solitaria.''
''[...] La malaria non ce l'ha contro di tutti. Alle volte uno vi campa cent'anni, come Cirino lo scimunito, il quale non aveva né re né regno, né arte né parte, né padre né madre, né casa per dormire, né pane da mangiare, e tutti lo conoscevano a quaranta miglia intorno, [...] a fare gli uffici vili; e pigliava delle pedate e un tozzo di pane; dormiva nei fossati, sul ciglione dei campi, a ridosso delle siepi, sotto le tettoie degli stallazzi; e viveva di carità, errando come un cane senza padrone, scamiciato e scalzo, con due lembi di mutande tenuti insieme da una funicella sulle gambe magre e nere. [...] Egli non prendeva più né solfato, né medicine, né pigliava le febbri. Cento volte l'avevano raccolto disteso, quasi fosse morto, attraverso la strada; infine la malaria l'aveva lasciato, perché non sapeva più che farsene di lui. Dopo che gli aveva mangiato il cervello e la polpa delle gambe, e gli era entrata tutta nella pancia gonfia come un otre, l'aveva lasciato contento come una pasqua, a cantare al sole meglio di un grillo.''|Giovanni Verga, ''Malaria'', ''[[Novelle rusticane]]'', TorinoCasanova, Casanova,Torino 1883.}}
 
== Profilassi e Cura ==
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Dapprima venne consigliata l'assunzione di 60 centigrammi di chinino al giorno per otto settimane, in seguito le Stazioni Sanitarie consigliarono di diminuire le dosi a 0,6-1 grammi per 1-6 settimane. Tuttavia venne vietata successivamente l'assunzione a non oltre una settimana<ref>Giancarlo Majori, Federica Napolitani, op. cit., p. 24</ref>.
 
{{Citazione|''Ma i contadini sono ostinati e diffidenti. Non vanno dal medico, non vanno alla farmacia, non riconoscono il diritto. E la malaria, giustamente, li ammazza.''|Carlo Levi, [[''Cristo si è fermato ad Eboli'']], Einaudi, Torino 1945.}}
 
Era necessario far comprendere agli abitanti del luogo che dovevano sottoporsi ad una cura ciclica e costante per evitare di arrivare ad una forma cronica della malattia. Per invitarla a sottoporsi alla cura, la ''Direzione Generale della Sanità'' presso il ''Ministero dell’Interno'' iniziò una politica di propaganda con lo scopo di convincere la popolazione del luogo che la malaria non discriminava ceti sociali ad altri, né fasce di età o professioni. In realtà le febbri perniciose attaccavano ovviamente i lavoratori in cantieri e gli abitanti dei campi, ovvero organismi indeboliti dalla povertà e dalla fame che avevano usanze e costumi radicati da generazioni nelle paludi. In questi casi la somministrazione di una dose di chinino avrebbe dovuto essere sostituita da una maggiore quantità di cibo. Le classi agiate, per igiene e qualità di vita, fornivano sicuramente un bersaglio meno invitante.<ref name="CIAO" />