Nāgārjuna: differenze tra le versioni

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== La dottrina ==
Tra il I secolo a.C. e il I secolo d.C. lainiziano dottrinaa buddhistacomparire èdei sottopostatesti adbuddhisti unain revisionecui edquesta approfondimentodottrina religiosa è vigorosamente chiamata a partirerispettare daalcuni insegnamenti che alcuni canoni coevi sembravano non aver sufficientemente considerato. Questi testi, indicati con il nome collettivo di ''[[Prajñāpāramitā sūtra]]'' (Sutra perfezione della saggezza), furono decisivi per la nascita e la diffusione del [[Buddhismo Mahāyāna]] che presto si propagherà per tutta l'[[India]] e l'Asia centrale, giungendo infine nell'Estremo Oriente e in [[Tibet]].
 
Nel [[Buddhismo Mahāyāna]] è cruciale la figura del [[bodhisattva]], colui che, pur essendo in grado di raggiungere il ''[[nirvāṇa ]]'', rimanda tale realizzazione per aiutare gli altri [[Esseri senzienti (Buddhismo)|esseri senzienti]] a liberarsi. Il bodhisattva acquisisce una serie di perfezioni (''[[pāramitā]]''), che comprendono la purificazione dalle passioni, l'esercizio delle virtù morali (prima fra tutte la ''[[dāna]]'', la "generosità") cone l'acquisizione della consapevolezza della [[vacuità]] (sans. ''śunyātā'') insista in ogni manifestazione del reale.
 
La [[vacuità]] (''śunyātā'') è la categoria fondamentale dei ''[[Prajñāpāramitāsūtra]]'' e della filosofia di Nāgārjuna.
La [[vacuità]] (''śunyātā'') è la categoria fondamentale dei ''[[Prajñāpāramitāsūtra]]'' e della filosofia di Nāgārjuna. Nelle dottrine del [[Buddhismo dei Nikāya]], che precedettero l'opera di Nāgārjuna e che rifiutavano la canonicità dei ''Prajñāpāramitāsūtra'', è presente l'idea del ''[[pratītyasamutpāda]]'', per il quale nessun fenomeno (''[[dharma]]'') ha una esistenza in sé, in quanto ogni fenomeno nasce solo in relazione ad altri fenomeni che lo hanno preceduto: esiste A solo in quanto è esistito un non-A. Questa realtà dei fenomeni posta su un piano temporale di impermanenza (''[[anitya]]'') conservava, per le scuole del [[Buddhismo dei Nikāya]] (anche se con delle differenze fondamentali ad esempio tra i [[Vibhajyavāda]] e i [[Sarvāstivāda]]) una stabilità temporale immediata ovvero una identità precisa.
 
La [[vacuità]] (''śunyātā'') è la categoria fondamentale dei ''[[Prajñāpāramitāsūtra]]'' e della filosofia di Nāgārjuna. Nelle dottrine del [[Buddhismo dei Nikāya]], che precedettero l'opera di Nāgārjuna e che rifiutavano la canonicità dei ''Prajñāpāramitāsūtra'', è presente l'idea del ''[[pratītyasamutpāda]]'', per il quale nessun fenomeno (''[[dharma]]'') ha una esistenza in sé, in quanto ogni fenomeno nasceemerge solo in relazionegrazie ad altri fenomeni che lo hanno preceduto: esiste A solo in quanto è esistito un non-A. Questa realtà dei fenomeni posta su un piano temporale di impermanenza (''[[anitya]]'') conservava, per le scuole del [[Buddhismo dei Nikāya]] (anche se con delle differenze fondamentali ad esempio tra i [[Vibhajyavāda]] e i [[Sarvāstivāda]]), una stabilità temporale immediata, ovvero una identità precisa.
Per Nāgārjuna, il [[Buddha Śākyamuni]] aveva invece indicato, oltre l'impermanenza temporale, un'ulteriore qualità nella natura dei fenomeni: essi sono vuoti (''[[śūnya]]'') anche di una stessa loro identità (''[[niḥsvabhāvatā]]'') in quanto dipendono uno dall'altro sul piano temporale del presente, dell'immediato: esiste A solo in quanto esiste anche un non A<ref>Così Kajyama Yuichi «Nagarjuna, however, introduces into that theory the concept of mutual dependency. Just as the terms long and short take on meaning only in relation to each other and are themselves devoid of independent qualities (longness or shortness), so too do all phenomena (all dharmas) lack own being (''svabhava'').» in ''Encyclopedia of Religion'' Usa, Macmillan, 2004, pag. 5552.</ref>.
 
Per Nāgārjuna, il [[Buddha Śākyamuni]] aveva invece indicato, oltre l'impermanenza temporale, un'ulteriore qualità nella natura dei fenomeni: essi sono vuoti (''[[śūnya]]'') anche di una stessa loro identità (''[[niḥsvabhāvatā]]''). in quanto dipendono uno dall'altro sia sul piano temporale che in quello del presente, dell'immediato: esiste A solo in quanto esiste anche un non A<ref>Così Kajyama Yuichi «Nagarjuna, however, introduces into that theory the concept of mutual dependency. Just as the terms long and short take on meaning only in relation to each other and are themselves devoid of independent qualities (longness or shortness), so too do all phenomena (all dharmas) lack own being (''svabhava'').» in ''Encyclopedia of Religion'' Usa, Macmillan, 2004, pag. 5552.</ref>.
Tutti i fenomeni (''[[dharma]]'') sono quindi privi di identità, sono vuoti di identità. Tutti i ''dharma'', secondo la lettura dell'insegnamenti del Buddha da parte di Nāgārjuna, sono vuoti: poiché nessun fenomeno possiede una natura indipendente, si può dire che tutto ciò che esiste è "vuoto". Ma se la dottrina dello ''śunyātā'' denuncia il mondo come irreale, al contempo è evidente che esso esista e non sia un puro miraggio. Né si può sostenere che esso sia al contempo "reale" e "irreale", o né "reale" e né "irreale". Da qui il modo di procedere dialettico negativo del filosofo indiano come "tetralemma" (''catuṣkoṭi''), intento a demolire ogni elaborazione concettuale: non è È (''sat''); né non-È; né È-e-non È; né non-È-né-non-È. Quindi la dottrina dello ''śunyātā'' non è indicabile come "nihilismo" avendo la dichiarata pretesa di negare anche quella dimensione.
 
TuttiNon solo, tutti i fenomeni (''[[dharma]]'') sono quindi privi di identità, sono vuoti di identità. Tutti i ''dharma'', secondo la lettura dell'insegnamenti del Buddha da parte di Nāgārjuna, sono vuoti: poiché nessun fenomeno possiede una natura indipendente, si può dire che tutto ciò che esiste è "vuoto". Ma se la dottrina dello ''śunyātā'' denuncia il mondo come irreale, al contempo è evidente che esso esista e non sia un puro miraggio. Né si può sostenere che esso sia al contempo "reale" e "irreale", o né "reale" e né "irreale". Da qui il modo di procedere dialettico negativo del filosofo indiano come "tetralemma" (''catuṣkoṭi''), intento a demolire ogni elaborazione concettuale su qualsivoglia "realtà", ivi comprese quelle enunciate dalle dottrine buddhiste: non è È (''sat'')A; né non-ÈA; né ÈA-e-non ÈA; né non-ÈA-né-non-ÈA. Quindi la dottrina dello ''śunyātā'', non è nemmeno indicabile come "nihilismo" avendo la dichiarata pretesa di negare anche quella dimensione.
L'esperienza dello ''śunyātā'', ovvero la demolizione delle elaborazioni concettuali sarebbe, per il filosofo indiano, la via che porta alla liberazione. La vacuità, infatti, non può essere conosciuta con il pensiero ordinario (o convenzionale).
 
L'esperienza dello ''śunyātā'', ovvero la demolizione delle elaborazioni concettuali sarebbe, per il filosofo indiano, il cuore dell'insegnamento del Buddha, la via che porta alla liberazione. La vacuità, infatti, non può essere conosciuta con il pensiero ordinario (o convenzionale).
 
Gran parte dell'opera di Nāgārjuna consiste pertanto in una critica raffinata delle diverse dottrine che sottintendono l'esistenza dei fenomeni in quanto tali, o la loro semplice negazione, e che vengono per questo ridotte all'assurdo (''[[prasaṅga]]'').
 
Da parte sua, Nāgārjuna non presenta alcuna dottrina, poiché l'esperienza della vacuità non è compatibile con alcuna costruzione filosofica. L'idea stessa della vacuità rischia di essere pericolosa, se la vacuità viene entificata. La vacuità richiede, ed è, la rinuncia ada ogni opinione.
 
Il [[Buddha Śākyamuni]] aveva messo in guardia dall'assolutizzare la propria dottrina, considerandola altro che un semplice mezzo per raggiungere la liberazione ("una zattera per attraversare un fiume, che va abbandonata appena si è arrivati all'altra sponda"). Interpretando questo aspetto del messaggio del Buddha, Nāgārjuna sottopone a critica tutti i concetti centrali del [[Buddhismo]] operando la distinzione - importante per tutto il [[Buddhismo Mahāyāna]] - tra due verità: quella relativa (sans. ''saṃvṛti- satya'') e quella assoluta (''paramartha satya'') che il buddhista "abbraccia" quando mette in moto la [[Ottuplice sentiero|Ruota della Legge]], fino a quel momento il buddhista conosce solamente le "[[Quattro nobili verità]]" (sans. ''catvāri-ārya-satyāni''), ma non le abbraccia, illudendosi che esistano davvero, in questo modo infatti aderisce solo alla "verità relativa" del mondo.