Chester Arthur: differenze tra le versioni

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Datosi alla carriera politica, Chester Arthur fu scelto come vicepresidente del candidato repubblicano [[James Abraham Garfield]] nelle elezioni del novembre del [[1880]], che risultò vincitore. Nel settembre del [[1881]], però, Garfield morì per le ferite riportate in luglio a causa di un attentato, dopo pochi mesi di mandato. Come vicepresidente in carica, Arthur, secondo la [[Costituzione degli Stati Uniti d'America]], gli successe nella carica, dimostrando di essere più adatto alla carica del predecessore.
 
Il presidente infatti attuò infatti un'opera moralizzatrice, facendo approvare, il 16 gennaio [[1883]] lail [[Pendelton Civil Service Reform Act]] (presentata dal [[senatore]] dell'[[Ohio]] [[George H. Pendelton]], che riformava la pubblica amministrazione, stabilendo l'assunzione degli impiegati statali attraverso concorsi pubblici, gestiti da una commissione federale, e che non potevano essere licenziati per motivi politici. Questa legge diede all'America funzionari esperti nel momento in cui si avviava a diventare un'enorme potenza industriale.
 
Sotto la sua amministrazione avvennero inoltre numerosi eventi caratterizzanti la storia degli [[Stati Uniti]] verso la fine del secolo.
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Infatti in materia di [[immigrazione]], il 6 maggio [[1882]] fu proibita, con il ''Chinese Exclusion Act'', l'immigrazione cinese, che aveva raggiunto livelli eccessivi, mentre nell'agosto dello stesso anno una legge sull'immigrazione regolò l'afflusso di stranieri nel Paese, imponendo una tassa di 50 centesimi per ogni immigrato presente negli [[Stati Uniti]] e vietando l'ingresso ai malati di mente, i criminali e chiunque dovesse dipendere dall'assistenza pubblica. Contemporaneamente, però, l'[[Alaska]], ottenuto lo ''status'' di distretto, fu aperto alla colonizzazione degli emigranti.
 
Nell'ambito dei diritti civili, l'amministrazione Arthur fu incerta e contraddittoria: il 23 marzo [[1882]] il presidente firmò le [[Edmund Laws]], che dichiaravano reato federale la [[poligamia]], misura presa contro le gerarchie della [[Mormonismo|Chiesa mormone]], fortemente presente nello [[Utah]], i cui membri avevano infatti più mogli, punendo con il carcere i bigami, in difesa dei valori tradizionali della famiglia. Fu durante la sua presidenza che la [[Corte Suprema degli Stati Uniti]], nel [[1883]], dichiarò incostituzionale il [[Civil RightRights Act (1875)|Civil Rights Act]] del [[1875]], una legge federale che permetteva a chiunque, indipendentemente dalla razza o dalla precedente condizione di schiavitù, di ricevere il medesimo trattamento nei luoghi pubblici. Arthur si dimostrò contrario alla sentenza e informò il Congresso del suo dissenso, ma non fece nulla per far approvare una qualsiasi norma legislativa sulla materia.
 
Verso gli indiani Arthur si comportò come i suoi predecessori, ossia utilizzando la mano pesante: sempre nel [[1882]], quando il governo tentò di confinare nelle riserve gli indiani [[Apache]] dell'[[Arizona]] e del [[Nuovo Messico]], il loro capo [[Geronimo]] si sollevò in armi, dando vita all'ultima grande ribellione indiana contro gli americani, conclusasi quattro anni dopo, il 4 settembre [[1886]], quando gli Apache superstiti con si arresero al generale statunitense [[Nelson Miles]].