Lettere sull'origine delle scienze: differenze tra le versioni

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Attraverso quest'opera Bailly proseguì il lavoro di specuazione storica già incominciato con l′''[[Histoire de l'astronomie ancienne]]'', portando avanti l'ipotesi dell'esistenza di un popolo atavico e scientificamente progredito, quello della civiltà perduta di [[Atlantide]], che dalla [[Siberia]] (dov'era anticamente situato) discese prima in [[Asia]] e poi in [[Europa]] trasmettendo le proprie conoscenze scientifiche ai vari popoli dell'antichità recente, come i [[Cinesi]], i [[Persiani]], i [[Caldei]] e gli [[India]]ni. Basandosi su prove di varia natura - prove linguistiche, mitiche, climatiche e astronomiche - Bailly cercò di dimostrarne l'esistenza, senza però convincere del tutto il suo destinatario [[Voltaire]] che, pur apprezzando le idee di Bailly, rimaneva invece convinto che la culla del genere umano fosse situata in [[India]].<ref name="ebs" /><ref name="arago">François Arago, ''Biographie de Bailly''.</ref>
 
L'opera ebbe all'epoca un notevole clamore, con i giudizi della critica del tempo divisi tra chi apprezzava il lavoro dell'astronomo ammettendo la sussistenza della ricostruzione storica da lui proposta e chi invece, per motivi di varia natura, non accettò le ipotesi di Bailly ritenendole insussistenti.<ref name="ebs" /><ref name="arago" />
 
==Genesi dell'opera==
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[[File:Jean Sylvain Bailly, maire de Paris.jpg|thumb|[[Jean Sylvain Bailly]].]]
Voltaire apprezzava le idee di Bailly, ed anche lui credeva che dovesse esistere un popolo anteriore a quelli conosciuti, però fu abile nel trasformare le fonti usate da Bailly contro di lui in difesa degli Indiani, il popolo che lui considerava progenitore di tutti gli altri. Gli Indiani, secondo Voltaire, erano il popolo che «aveva insegnato e aveva ingannato il resto del mondo», dove "insegnare" indica i metodi e le idee scientifiche, mentre "ingannare" si riferisce agli errori e alle superstizioni che comunque questo popolo aveva tramandato agli altri. In ogni caso la lettera ha un tono simpatico e comprensivo.
 
Ne nacque un'intensa e proficua corrispondenza epistolare che si evolse mano a mano contribuendo ad una più precisa definizione delle teorie storiche che erano già emerse nell′''[[Storia dell'astronomia antica (Bailly)|Histoire de l'astronomie ancienne]]''. In una serie di dieci lettere scritte da il [[10 agosto]] e il [[24 settembre]] [[1776]], infatti, Bailly rielaborò con maggiori dettagli gli argomenti già propugnati in precedenza. L'intera corrispondenza tra Bailly e Voltaire apparve in un libro sotto il titolo di ''Lettres sur l'origine des sciences et sur celle des peuples de l'Asie'', che fu pubblicato da Bailly nei primi mesi del [[1777]].<ref>La corrispondenza di Grimm per il [[marzo]] [[1777]] si riferisce alle ''Lettres'' come "pubblicate da poco". L'ultima lettera di Voltaire, del [[27 febbraio]], riconosceva la ricezione del lavoro da parte del filosofo di Ferney. Le ''Lettres'' furono pubblicate a Londra e a Parigi senza privilegi.</ref>
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{{citazione|Nulla è mai giunto qui da noi dalla Scizia europea e asiatica se non delle tigri che mangiavano i nostri agnelli. Alcune di queste tigri, a quanto pare però, sarebbero state un po' astronome quando avevano del tempo libero, dopo aver saccheggiato l'intera India settentrionale. Ma si può credere che queste prime tigri lasciarono le loro tane con dei quadranti e degli astrolabi?|[[Voltaire]] nella seconda lettera a Bailly.<ref>Bailly, ''Lettres sur l'origine des sciences'', 6-7; Voltaire 49: 488.</ref>|Il ne nous est jamais venu de la Scythie européenne et asiatique que des tigres qui ont mangé nos agneaux. Quelques-uns de ces tigres, à la vérité, ont été un peu astronomes, quand ils ont été de loisir, après avoir saccagé tout le nord de l'Inde. Mais est-il à croire que ces tigres partirent d'abord de leurs tanières avec des quarts de cercle et des astrolabes?|lingua=fr}}
 
Bailly difese gli Sciti nella sua risposta del [[29 gennaio]]. Questa lettera in realtà non appare in alcun lavoro. Louis Moland menziona il fatto che appare in un catalogo autografo dove è descritta come una «bella lettera dove [Bailly] espone questa idea, comune a Voltaire e a lui, secondo cui gli Indiani sono il popolo più antico che la memoria ha fatto sopravvivere».<ref>Voltaire, 49: 500, nota.</ref> La lettera comunque suscitò una terza e più lunga risposta di Voltaire, documentata e riportata nelle ''Lettres''. Voltaire infatti espresse i suoi dubbi sul fatto che gli Indiani fossero davvero caduti in un così profondo stato di ignoranza, come era stato riportato dai viaggiatori settecenteschi, ma negava in ogni caso che questo fatto significasse che si poteva smentire la loro superiorità originaria. Gli argomenti di Voltaire non sono soddisfacenti, in quanto sono più argomentazioni spiritose più che basate su evidenze fattuali, e, come del resto non infrequente in Voltaire, anche un po' auto-contraddittorie.<ref name="ReferenceA">Bailly, ''Lettres sur l'origine des sciences'', 257-258.</ref>
 
La lettera di Voltaire mostrava, inoltre, una certa insofferenza da parte sua nei confronti della tenacia di Bailly.
 
{{citazione|Lei si comporta, signore, come i missionari che vogliono convertire le persone nei paesi di cui stiamo parlando. Una volta che un povero indiano ha accettato la creazione ''ex nihilo'' (dal nulla), lo conducono a tutta una serie di verità sublimi di cui è stupefatto. Lei non è felice di avermi insegnato delle verità a lungo nascoste; ma vuole ancora che io creda nel vostro antico popolo perduto.|Voltaire nella terza lettera a Bailly.<ref>Voltaire, 49: 510.</ref>|Vous faites, Monsieur, comme les missionnaires qui vont convertir les gens dans le pays dont nous parlons. Dès qu'un pauvre Indien est convenu de la création ''ex nihilo'', ils le mènent à toutes les vérités sublimes dont il est stupéfait. Vous n'êtes pas content de m'avoir appris des vérités longtemps cachées; vous voulez toujours que je croie à votre ancien peuple perdu.|lingua=fr}}
 
In questo passo forse ci può essere una qualche giustificazione all'osservazione di Jean-Félix Nourrisson secondo cui «Bailly non riusciva a capire la cortesia ironica di un uomo anziano che voleva essere finalmente liberato da una polemica insipida».<ref>''Op. cit.'', 345.</ref> Eppure Nourrisson sembra ignorare il fatto che fu Voltaire a prendere l'iniziativa nella corrispondenza e a scrivere relativamente a questo argomento "insipido". Bailly era certamente in grado di capire l'ironia di Voltaire.
 
Bailly accettò l'epiteto di "missionario": «Io potrei ben avere una parte dello zelo dei missionari, e anche della loro perseveranza: infatti desidero sempre che voi iniziate a credere al mio antico popolo perduto».<ref>Bailly, ''Lettres sur l'origine des sciences'', 15.</ref> Assumendo una prospettiva di vista più ampia di Voltaire, Bailly ripercorse una buona parte dell'argomento trattato nell′''Astronomie ancienne'', esaminando dettagliatamente ciascuno dei popoli dell'antichità come possibile fonte anteriore di civiltà.
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Per quanto riguarda i Cinesi Bailly controllò soprattutto i racconti dei gesuiti della [[Cina]] pubblicati nelle ''[[Lettres édifiantes et curieuses]]''<ref>Modificate da Gobien, du Halde e altri, Parigi, 1702-1776.</ref> passo dopo passo per sostenere la sua opinione, secondo cui, nel primo periodo della loro storia, i Cinesi erano ben più dotti di quanto lo furono successivamente. Inoltre, secondo Bailly, [[Fu Xi|Fu-Hi]], [[Huang Di|Huang-Ti]], e [[Shennong|Yao]], che erano i leggendari padri fondatori della Cina, in realtà non erano stati altro che dei leader colonizzatori stranieri, che avevano guidato delle grandi missioni migratorie quando le aree in cui si erano a lungo stabiliti erano diventate inabitabili a causa del raffreddamento della terra in atto secondo le teorie di [[Jean Jacques Dortous de Mairan|Mairan]], portando il loro popolo e la loro conoscenza in altre zone geografiche. I Cinesi di epoche più moderne, rilassandosi e oziando in queste zone climatiche più calde, secondo le teorie del [[determinismo geografico]] propugnate da Bailly e Buffon, avevano continuato a seguire questa conoscenza nella traccia ben battuta della tradizione, ma smettendo di compiere osservazioni astronomico-scientifiche e quindi senza compiere alcun progresso ulteriore in questo senso. La loro cultura, complice un clima geografico più caldo lascivo e ozioso, si era in qualche modo "congelata" e i Cinesi avevano smesso di progredire.
 
Nella seconda lettera, Bailly affermava inoltre, relativamente all'inizio del progresso scientifico dei Cinesi: «Ogni cosa cospira per portarci a quella antica astronomia che si è perduta, soprattutto agli sforzi fatti dai Cinesi per il suo recupero. Loro si sono persuasi che i loro primi imperatori, [[Fu Xi|Fo-Hi]], [[Huang Di|Hoangti]] e [[Yao (imperatore)|Yao]] fossero perfettamente a conoscenza di tale scienza e che alcuni suoi principi siano nascosti in vari monumenti e in particolare anche nel [[Libro dei riti|Lǐjì]]».<ref>Bailly, ''Lettres sur l'origine des sciences'', 32.</ref> Fo-Hi,<ref>Secondo la tradizione cinese fu lui a fondare l’astronomia, sintetizzando tutte le conoscenze ereditate e accumulate dalle generazioni precedenti. Sotto la sua direzione, e assieme a lui, lavoravano un gran numero di collaboratori che si occupavano di ricerche scientifiche e filosofiche. Le ricerche erano rivolte a scoprire in primo luogo le cause dei vari fenomeni fisici, ed in seguito si cercava di indirizzare tutte queste cause ad una causa prima; questa causa prima fu ricercata ad ogni livello per anni ed anni. Fu un periodo di analisi, critiche ed esami minuziosi di tutte le conseguenze ottenute. I metodi impiegati si servivano di una sperimentazione induttiva primitiva.</ref> secondo i Cinesi, era il padre della loro astronomia, ed era per questa ragione che essi, secondo Bailly, ricercavano i veri principi astronomici nelle misteriose ''Koua'', ovvero le produzioni scritte a lui attribuite. I Cinesi cercavano i "principi dell'astronomia" anche nei tubi di bambù che, secondo la tradizione, generavano la musica dell'imperatore Hoangti. Ma per Bailly cercare l'astronomia in uno strumento musicale era «ridicolo come cercare il segreto della pietra filosofale nei versi di Omero».<ref>Bailly, ''Lettres sur l'origine des sciences'', 32-33.</ref>
 
Ma per quanto assurdo potesse essere questo «pregiudizio religioso»<ref>''Ibid.'', 33.</ref> dei Cinesi, e per quanto stravagante si potesse ritenere questa fastidiosa sorta d'indagine astronomica laddove l'astronomia non c'entrava nulla, il forte credo da parte dei Cinesi del fatto che i monumenti di Fo-Hi contenessero i prncipi un'antica astronomia da lui fondata, era una prova di due fatti: non solo dell'esistenza dell'astronomia presso di loro ed anche per il fatto che essa fu introdotta in Cina molto probabilmente dallo stesso Fo-Hi. Nello [[Shujing]], un libro sacro e molto antico presso i Cinesi, questa astronomia conteneva dottrine di considerevole raffinatezza e Fo-Hi, secondo la tradizione, aveva costruito delle [[Effemeridi|tavole astronomiche]], assegnando delle figure ai corpi celesti, e pensando allo studio scientifico dei loro movimenti. Il punto solstiziale e quello equinoziale, ad esempio, furono scoperti così; in un breve lasso di tempo dopo a queste prime scoperte arrivarono, inoltre, l'invenzione della sfera, la scoperta della durata di un anno, consistente in 365 giorni e 6 ore, con l'anno bisestile, così come le [[fasi lunari]] conciliate col moto del Sole.
 
Bailly diceva di avere buone, se non ottime, ragioni per credere che tutti questi rami scientifici furono introdotti nel periodo di Fo-Hi e dei suoi primi successori. Insomma fu Fo-Hi a portare con sé tutte queste conoscenze pregresse, che i cinesi poi impararono in breve tempo. Anche perché, altrimenti, non si si sarebbe potuto spiegare come i Cinesi, che a causa del clima caldo in cui vivevano erano invece «un popolo particolarmente statico»,<ref name="lettres34">''Ibid.'', 34.</ref> avrebbero potuto fare dei progressi scientifici così grandi in così poco tempo e per di più proprio agli inizi della loro storia documentata, che verosimilmente sarebbe dovuto essere invece il periodo in cui ogni livello di progresso, a rigor di logica, sarebbe stato più lento e difficile. In altre parole Bailly, dando per vera l'ipotesi del [[determinismo geografico]] sulla naturale staticità e sulla pigrizia dei popoli che abitavano terre più calde, come i cinesi, e tenendo in considerazione che spesso quando una scienza è agli inizi fa fatica a svilupparsi, giustificò l'impossibilità che i Cinesi avessero potuto progredire così tanto in campo astronomico in così poco tempo. Era perciò più probabile, secondo il suo ragionamento, che questa cultura astronomica fosse arrivata a loro a partire da un'altra popolazione, probabilmente grazie allo stesso [[Fu Xi|Fo-Hi]]. Bailly insistette soprattutto sulla conoscenza del moto solare, accertata dal fatto che i Cinesi da Fo-Hi in poi conoscessero bene gli equinozi e i solstizi. «Quante epoche sarebbero servite e si sarebbero dovute dedicare allo studio del cielo, prima solo di sospettare la falsità del moto del sole? E quante ne sarebbero dovute trascorrere, prima che si potessero accertare i quattro intervalli del suo periodo?»<ref name="lettres34" /> si chiese Bailly. Lo doveva capire anche Voltaire, che secondo Bailly «aveva ben osservato i tardivi e dolorosi progressi della mente umana»: non era materialmente possibile avere un progresso così grande in un tempo così effimero.
 
Era impossibile quindi spiegare il balzo fatto dall'astronomia e dalle scienze in Cina nel periodo di Fo-Hi, giudicato troppo breve, e come velocemente si era passati dall'ignoranza del passato, all'ampiezza della cultura scientifica da quel momento in poi. Ora, a meno che i Cinesi non fossero già edotti secoli e secoli prima di Fo-Hi, ipotesi che le evidenze storiche e mitiche della tradizione cinese parevano screditare del tutto, allora l'unica conclusione possibile rimaneva quella propugnata da Bailly: ossia che l'invenzione della sfera, e di tutte «quelle dottrine che vengono scoperte solo attraverso lo studio lo studio, la riflessione e un lungo insieme di osservazioni»<ref name="lettres35">''Ibid.'', 35.</ref> appartenevano ad una scienza già preesistente di un popolo straniero sconosciuto, di cui Fo-Hi faceva parte, e da tempo in uno stato di progressivo perfezionamento. Un balzo così veloce delle conoscenze non poteva infatti essere il lavoro di un singolo uomo, né il lavoro di una singola epoca, vista la naturale evoluzione che queste tutte queste idee dovevano necessariamente attraversare; e soprattutto ciò non potevano essere dovute ai Cinesi prima dell'avvento di Fo-Hi, visto che allora erano, secondo Bailly, «ancora rudi e barbari».<ref name="lettres35" /> Per Bailly insomma fu Fo-Hi a civilizzarli, e anzi «non sarebbe poi così strano se Fo-Hi insegnò loro anche l'astronomia»,<ref name="lettres35" /> lui che aveva insegnato al suo popolo anche «l'uso delle prime necessità della vita».<ref name="lettres35" />
 
Poteva parere anche assurdo, secondo Bailly, eppure la conclusione necessaria a tutte le prove da lui portate era unica, ovvero che le prime conoscenze astronomiche cinesi erano di origine straniera, e che Fo-Hi, straniero anche lui, le aveva introdotta in Cina.<ref name="British Critic" /><ref name="Origins">Bailly, ''Lettres sur l'origine des sciences'', II lettera.</ref> Fo-Hi e i suoi successori, leader colonizzatori di un popolo straniero e sconosciuto che per motivi climatici era stato costretto a trasferirsi in territori più caldi, come quello dei cinesi, e che si era poi integrato con le popolazioni indigene che lì vi abitavano insegnando loro tutte le proprie conoscenze pregresse.
 
===Analisi della civiltà persiana===
Riguardo ai progressi dei [[Persiani]] nelle scienze astronomiche, e con la prova che anche loro non potessero esserne gli inventori, Bailly fece la seguente osservazioni: «Tra il [[Mar Caspio]] e il [[golfo Persico]], troviamo una civiltà che, in termini di l'antichità, è al pari di quella Cinese. Parlo dei Persiani, gli adoratori del fuoco e del sole. Questa modalità di adorazione è il sigillo della loro antichità: è il più razionale, e allo stesso tempo il più antico, tra i popoli che hanno frainteso la Causa creatrice e intelligente. Penso di aver dimostrato che l'Impero Persiano, e la fondazione di [[Persepoli]], risalgono al 3209 a.C».<ref>Le evidenze archeologiche successive hanno chiarificato che la città risale al VI secolo avanti Cristo.</ref>
 
Dai frammenti di [[Berosso]] preservati da [[Eusebio di Cesarea]]<ref>Eusebio di Cesarea, ''Chronicon''</ref> Bailly citò la fondazione di [[Persepoli]] e dell'[[Impero persiano]] come avvenute, secondo lui, in un periodo di tempo molto propizio per le osservazioni astronomiche, e vide in questo la prova che fosse «una colonia di un popolo troppo popolato, o di una civiltà già istruita e civilizzata, che discese verso zone più temperate, più fertili e lì si stabilì con le sue arti e le sue conoscenze».<ref>Bailly, ''Lettres sur l'origine des sciences'', 43-44.</ref>
 
Diemschid,<ref>Probabilmente Bailly qui voleva riferirsi a [[Jamshid]], figura persiana leggendaria.</ref> che costruì [[Persepoli]], vi entrò e lì fondò il suo impero, nello stesso giorno in cui il Sole passava nella [[Ariete (costellazione)|costellazione dell'Ariete]]. Questo giorno fu scelto nel loro calendario per far iniziare l'anno; e nella stessa epoca iniziò la loro conoscenza dell'[[anno solare]] di 365 giorni e sei ore. Anche per i Persiani, come per i Cinesi, le prove tradizionali evidenziavano il fatto che l'astronomia fosse coeva con l'origine del loro Impero, il che era alquanto strano: come poteva una civiltà solo all'alba del suo sviluppo maturare delle conoscenze astronomiche così approfondite? La circostanza astronomica che accompagnava la fondazione di Persepoli era una prova, secondo Bailly, che l'astronomia che questo popolo possedeva fosse più antica del popolo stesso. E non poteva essere di certo di un popolo rude e «infantile», la prerogativa che «fosse il cielo ad influenzare la terra»,<ref name="lettres44">Bailly, ''Lettres sur l'origine des sciences'', 44.</ref> consacrando la fondazione della propria città con l'osservazione dei fenomeni celesti.
 
Bailly percepiva dunque che anche i Persiani, come i Cinesi, fossero nati da una colonia di migranti partita probabilmnte «da un paese troppo popolato»,<ref name="lettres44" /> una nazione già istruita e civilizzata, discesa in zone più fertili e temperate, dove si era insediata assieme a tutte le arti e le conoscenze che possedevano. Bailly scrisse: «Non possiamo dubitare che emigrazioni come queste fossero più frequenti in un periodo come quello, in cui la Terra era molto meno popolata, e in cui il genere umano era praticamente diviso in famiglie: un certa porzione della comunità, separando sé stessa dal resto, forse potente per il numero e l'unione, partita e guidata da lui [Diemschid] in piccole orde senza forza e incapaci di opporre resistenza. Dunque Diemschid e il suo popolo appaiono essere stati stranieri in [[Persia]], come [[Fu Xi|Fo-Hi]] in Cina.»<ref name="British Critic"/><ref name="Origins"/>
 
===Analisi della civiltà caldea===
I [[Caldei]] erano i successivi nell'ordine dei popoli asiatici. Dopo aver esposto il fatto che, all'epoca, esisteva ancora un'incertezza complessiva che coinvolgeva l'inizio di quell'impero, nonostante si sapesse che attuarono e conservarono le loro numerose osservazioni astronomiche per un lungo periodo di tempo (dalla fondazione del [[Babilonia|tempio di Babilonia]]<ref>Non si capisce a quale tempio Bailly faccia riferimento.</ref> fino al tempo di [[Alessandro Magno]]), Bailly procedette a constatare le sue obiezioni contro la possibilità che furono loro ad inventare l'astronomia. Una prova è che loro utilizzavano un complesso ciclo di seicento anni,<ref>Era il ciclo ''Naros'', utilizzato nel calendario Caldeo, che consisteva in seicento anni.</ref> a cui Bailly fa riferimento come un ciclo da loro «custodito e frainteso».<ref name="British Critic"/> Era evidente infatti, secondo Bailly, che i Babilonesi l'avessero preservato, mantenendolo inalterato per secoli, dal momento che ciò era citato da [[Berosso]], uno dei loro storici; ed era allo stesso modo evidente che non l'avessero ben compreso del tutto, dal momento che non ne fecero alcun uso per la regolazione del tempo. Potevano aver dunque creato loro un ciclo così complesso senza sapere bene come funzionasse? A Bailly pareva impossibile. Inoltre sembrava anche che i Caldei non avessero mai preso nota delle loro osservazioni astronomiche nei loro libri, poiché [[Ipparco di Nicea|Ipparco]], che secondo Bailly «aveva esaminato i periodi dei moti delle stelle secondo i Caldei»,<ref name="British Critic"/> non ne parlava: questo poteva essere un segno del fatto che forse non furono loro a fare quelle osservazioni che poi gli furono attribuite.
 
Quindi Bailly concluse che «necessariamente» questi risultati non erano stati ottenuti dai Caldei, ma che qualcuno glieli aveva dovuti in qualche modo "consegnare"; e questi due fatti - la conoscenza di un periodo di seicento anni e il ritorno di una cometa - non potevano che appartenevano ad astronomia antecedente, in un ottimo stato, e straniera ai Caldei.<ref name="British Critic"/>
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Dallo ''Shaster'',<ref>Un trattato di istruzione, autorevole tra gli Indiani; un libro sulle istituzioni; in particolare, spiega anche il [[Veda]].</ref> dai racconti dei missionari in [[India]], da [[Guillaume Le Gentil]] e da altri viaggiatori, Bailly estrasse dei commenti calcolati per lenire Voltaire e contemporaneamente per dimostrare il proprio punto. Bailly definiva la filosofia degli Indiani «spesso saggia e sublime»<ref>Bailly, ''Lettres sur l'origine des sciences'', 51.</ref> ma allo stesso tempo ridicolizzava la loro scienza: «Gli indiani contano cinquemila vene nel corpo umano, ma non hanno sviluppato una scienza anatomica in quanto non consentono la dissezione».<ref>''Ibid.'', 73.</ref>
 
Sull'astronomia degli [[India|indianiindia]]ni, Bailly era entrato molto nei dettagli nella sua celebre ''[[Histoire de l'astronomie ancienne]]'', così le sue osservazioni in quest'opera sull'argomento furono conseguentemente più concise.
 
Sebbene Bailly riconoscesse agli Indiani, o meglio alla loro casta più importante (ovvero i [[Brahmano|Brahmani]]), la paternità delle scienze e soprattutto di quella astronomica, Bailly negava anche a loro come aveva fatto prima con i Cinesi, i Persiani e i Caldei, l'onore di aver inventato l'astronomia. Bailly riprese le osservazioni portate avanti dal suo amico astronomo [[Guillaume Le Gentil]], che presso gli Indiani trovò un'ottima comprensione di metodi e calcoli astronomici. Tra le carte di [[Joseph-Nicolas Delisle]], Bailly aveva trovato due manoscritti indiani inviati da alcuni missionari che contenevano delle tavole astronomiche differenti da quelle che Le Gentil attribuiva agli Indiani. Questa varietà dei metodi e delle tavole non poteva che indicare, per Bailly, la ricchezza della loro scienza. Eppure avevano delle criticità nelle loro teorie sul mondo, pe credevano infatti che:
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#esistessero due draghi, uno rosso e l'altro nero che eclissavano il sole e la luna;
#la luna fosse più distante del sole dalla Terra;
#la Terra poggiasse su una montagna d'oro.
 
Un popolo che aveva inventato queste assurdità, secondo Bailly, non poteva essere l'autore di quei metodi «dotti e ammirevoli» che Le Gentil e Delisle avevano trovato presso di loro. Un popolo in possesso di così tanti bei sistemi concettuali di [[fisica]], che sarebbero potuti essere fondati solo sulla sperimentazione diretta e sulla riflessione, non poteva contemporaneamente deviare così tanto il loro pensiero scientifico su ipotesi tanto assurde. Nonostante la loro teologia implicasse alcune «tra le nozioni più pure di [[Dio]]»<ref name="British Critic"/> secondo Bailly, si erano però mostrati incapace di scoprire queste idee come mostravano le loro leggende e le tradizioni accumulate. Per Bailly era chiaro: non avrebbero potuto mai raggiungere vette di conoscenza così elevate.
 
Era inoltre un popolo con una lingua, quella [[lingua sanscrita|sanscrita]], «ricca e abbondante ma limitata a pochi individui», i Bramani, i depositari dei «tesori della filosofia e della scienza».<ref name="British Critic"/> Gli indiani, secondo Bailly, «avevano conservato queste trame, ma le avevano anche ricevute». Bailly riservò a Voltaire, in ultima analisi, una prova che considerava «schiacciante»: osava credere, infatti, che i [[Brahmano|Bramani]] non fossero originari dell'[[India]], ma che fossero arrivati successivamente in India portando lì la loro lingua originaria (il sanscrito) e tutti i "lumi culturali" stranieri che possedevano, insegnandoli agli Indiani o meglio, ad alcuni di essi, castizzando la società e ponendosi sul gradino sociale più alto.
 
Sebbene non fossero gli inventori della scienza, i [[Brahmano|Brahmani]] per Bailly «erano comunque superiori in termini culturali a tutte le nazioni del mondo», e per questo erano giustamente celebri. I Brahmani, depositari di un'antica filosofia straniera, l'avevano comunicata alle generazioni future fondando, in tal modo, tutta la conoscenza attuale. Loro, scrive Bailly: «sono i nostri maestri ma non sono, tuttavia, gli inventori [della scienza]».<ref name="British Critic"/>
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Su questa teoria Gébelin fondò la sua [[grammatica comparativa]] e la sua [[Etimologia|scienza etimologica]]. Egli postulava l'esistenza di due tipi di lingue:
*le ''langues-mères'', che inizialmente dovevano essere solo i dialetti derivati da un linguaggio primitivo universale che si era alterato in vari ceppi linguistici una volta diffusosi sulla Terra;
*le ''langues-filles'', che erano le lingue di seconda generazione, discese dalle precedenti.
 
Egli istanziava ad esempio la [[lingua proto-germanica]] nella prima categoria mentre l'[[lingua inglese|inglese]], il [[Lingua danese|danese]], lo [[Lingua svedese|svedese]] e tutte le altre lingue nordiche nella seconda categoria. Gébelin riconosceva l'esistenza di [[Radice (linguistica)|parole-radici]] e di famiglie di parole; riteneva che le semplici parole d'uso familiare/quotidiano si evolvessero e cambiassero più rapidamente di quelle apprese in contesti più elevati, e allo stesso modo anche le parole con significati concreti si dovevano sviluppare più rapidamente di quelle con significati più astratti; riconosceva inoltre la forza dell'analogia. In breve, Gébelin aveva concepito una struttura piramidale del linguaggio che stava per essere ampiamente accettata nel [[XIX secolo]].<ref>Edwin Burrows Smith, ''Jean-Sylvain Bailly: Astronomer, Mystic, Revolutionary (1736-1793)'' (Philadelphia, 1954), p. 462.</ref> Bailly riconobbe il suo indebitamento nei confronti del lavoro di Gébelin sul linguaggio soprattutto nelle ''Lettres sur l'Atlantide de Platon''. Sebbene Bailly non faccia alcun riferimento testuale a lui nelle ''Lettres sur l'origine des sciences'', Gébelin sembrerebbe comunque essere la sua fonte più probabile anche perché, del resto, Bailly già conosceva e aveva usato il primo volume del ''Monde primitif'' per la sua ''[[Storia dell'astronomia antica (Bailly)|Histoire de l'astronomie ancienne]]''.
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Anche ammettendo che un certo numero di idee comuni fossero il risultato di rapporti intercorsi tra i popoli, oppure semplicemente dovuti ad idee naturali e universali per tutti gli uomini, Bailly insistette comunque che «servirà sempre per dimostrare la mia conclusione. Queste stesse somiglianze non sono essenziali; sono solo ulteriori elementi di prova. L'esistenza di questo popolo anteriore è dimostrata dalla tabella delle nazioni dell'Asia».<ref>''Ibid.'', 203.</ref>
 
La tavola a cui si riferisce è basata su una teoria ciclica della civilizzazione. Un giovane nazione è una nazione in espansione; l'ambizione spinge al commercio, a guerre di conquista, alla colonizzazione. Quando la nazione matura, inizia a porre la sua attenzione su attività più utili e morali. Bailly scrisse, richiamando lo stesso Voltaire, che: «La vera felicità, la solida fortuna per i popoli e gli uomini è quella di coltivare la pace nel proprio campo e di vivere virtuosamente e tranquilli».<ref>''Ibid.'', 189. L'eco degli scritti di Voltaire è frequente in queste lettere e non c'è dubbio che sia intenzionale.</ref> Ma questa stessa virtù e questa attenzione all'operosità, alle arti e alle scienze provocava la perdita delle colonie e dell'egemonia militare e la nazione «ritorna al termine dal quale era partita, esausta per lo sforzo di acquisire e mantenere, e rovinata dalla sua stessa grandezza».<ref>''Ibid.'', 189. La Cina è citata come esempio perfetto di questo ciclo.</ref> Intanto le colonie, approfittando dell′''impetus'' dato loro dalla nazione genitrice, si staccano da essa ed incominciano, loro stessi, a seguire lo stesso ciclo.
 
Bailly offre uno spunto interessante su questa linea di evoluzione di una civiltà, proponendo l'esempio a lui attuale delle [[Tredici colonie]] che, con la [[Rivoluzione Americana]] in atto, si stavano scindendo dal giogo britannico.
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{{citazione|L'America offrirà un giorno il quadro che abbiamo appena disegnato. La natura scuoterà il giogo, le colonie si separeranno; si formeranno nuovi popoli e degli stati indipendenti. Tuttavia alcune delle nostre istituzioni rimarranno lì; alcuni usi consumati dell'Europa saranno comuni anche a popoli diversi; varie conoscenze di fisica e astronomia si conserveranno. Queste conoscenze, troppo avanzate per delle nazioni emergenti, o per quelle indolenti e senza genio, sorprenderanno colui che che le peserà nella bilancia della filosofia. Potremmo allora avere torto nel concludere che queste istituzioni, queste pratiche appartengono a un popolo precedente? L'Europa forse sarà sconosciuta nel futuro proprio come le persone che ho interrogato oggi.|Bailly nella sesta lettera a Voltaire.<ref>Bailly, ''Lettres sur l'origine des sciences'', 198-199.</ref>|L'Amérique offrira un jour le tableau que nous venons de tracer. Les naturels secoueront le joug, les colonies se sépareront; il se formera des peuples nouveaux et des états indépendants. Cependant quelques-unes de nos institutions y subsisteront; des usages portés de l'Europe y seront communs à différents peuples; des connaissances de physique et d'astronomie s'y conserveront. Ces connaissances, trop avancées pour des nations naissantes, ou pour celles qui seront indolentes et sans génie, étonneront celui qui les pèsera dans la balance de la philosophie. Pourrait-on avoir tort de conclure alors que ces institutions, ces usages appartiennent à un peuple antérieur? L'Europe sera peut-être aussi inconnue dans l'avenir que le peuple dont je vous entretiens aujourd'hui.|lingua=fr}}
 
Anche se si dovessero formare delle nazioni indipendenti in America la cultura americana sarà indissolubilmente legata a quella europea da cui ovviamente discende. Se in un [[Distopia|futuro distopico]] l'[[Europa]] venisse dimenticata e l'America no, nessuna persona d'intelletto potrebbe pensare che le istituzioni, la cultura, le conoscenze mostrate dall'America nel suo primo periodo si fossero auto-costituite in quei luoghi proprio mentre l'America si stava forgiando, ma si giungerebbe alla conclusione che esse appartenessero comunque ad un popolo anteriore (quello Europeo, per l'appunto) che le aveva portate lì colonizzando quel territorio. Poi, solo in un secondo momento, le nuove colonie americane si sarebbero staccate, mantenendo però traccia della cultura europea pregressa nelle loro istituzioni e nelle loro conoscenze.
 
Era opinione di Bailly che, parallelamente a ciò, l'antico popolo di cui parlava rappresentasse la civiltà nella sua fase di espansione vigorosa, mentre la fondazione della civiltà cinese, di quella indiana, di quella persiana, ed infine quella egiziana rappresentava l'epoca della conquista e della colonizzazione, mentre queste nazioni ai tempi moderni rappresentavano le rovine del loro antico splendore.
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Da [[Linneo]] Bailly invece imparò che un sacco di comuni vegetali (tra cui gli spinaci e i luppoli) e più in particolare i cereali (tra cui frumento, orzo e segale) crescevano spontaneamente in [[Siberia]] e furono, presumibilmente, introdotti da lì in [[Europa]]. «Questo botanico sapiente – scrisse Bailly – ha concluso che la Siberia potrebbe essere il paese dove uomini sono venuti fuori dopo il diluvio, fino a disperdersi nel mondo, poiché questa regione è quella che ha prodotto i primi alimenti degli uomini civilizzati».<ref>''Ibid.'', 237-238. Il riferimento è un passaggio di Linneo citato da [[August Ludwig von Schlözer]], ''Probe russischer Annalen'', 45-46, Bremen e Göttingen, 1768.</ref>
 
Gran parte dell'erudizione di Bailly è però viziata da speculazioni troppo spinte, come ad esempio nel dichiarare che i grandi depositi di [[Nitrato di potassio|nitro]] e [[salnitro]] in Siberia provassero automaticamente lì la remota esistenza di una densa popolazione.<ref>''Ibid.'', 240-241.</ref> È pur vero, tuttavia, che per le conoscenze dell'epoca Bailly assemblò una serie impressionante di "fatti", che, anche se forse non dimostravano, erano almeno difficili da confutare e parevano scoraggiare chiunque a farlo.
 
Attribuendo al popolo nordico siberiano le migliori qualità e la più accurata conoscenza tra i vari popoli dell'antichità, Bailly si sforzò di dimostrare, nella sua settima lettera, non solo che questo antico popolo esistesse ma anche che possedeva «il vero sistema dell'universo»<ref>''Ibid.'', 212.</ref> oltre che «una filosofia saggia e sublime» e che quindi potesse essere davvero l'antica civiltà di cui parlava.<ref>''Ibid.'', 205.</ref> Rimaneva da dare un nome a questa antica civiltà siberiana ma Bailly si occupò di ciò, come aveva già lasciato intendere nell′''Histoire de l'astronomie ancienne'', nelle ''Lettres sur l'Atlantide de Platon''. Lì riprese la sua idea, tralasciata in quest'opera, secondo cui il popolo nordico perduto fosse [[Atlantide]].
 
Voltaire, intanto, nel rispondergli continuava a rimanere sulle sue idee: secondo lui i [[Brahmani]] erano l'antico popolo cultore delle scienze, e che l'India era la culla dell'umanità. E di più, secondo lui, la quasi totale assenza di cultura scientifica che c'era nell'India contemporanea non poteva essere affatto considerata una prova del fatto che anche in antichità non esistesse. Bailly, rincarando la dose, affermava invece che ciò che arguiva Voltaire aveva poco senso, perché lo stesso si poteva dire del popolo nordico a cui lui stesso faceva riferimento:
 
{{citazione|Le tigri del Nord, che hanno devastato il sud dell'Asia, non avevano probabilmente né il quadrante né l'astrolabio; ma guardi, la prego, signore, che quando dico che i popoli della Tartaria erano illuminati, ho in mente quelli che esistevano tre o quattro mila anni prima che i barbari di cui lei parla. Si potrebbe anche concludere allora che la Grecia non aveva né Sofocle né Demostene, solo perché i turchi che la possiedono oggi sono feroci, ignoranti e che devasterebbero l'Europa se la si lasciasse loro.|Bailly nell'ottava lettera a Voltaire.<ref name="ReferenceA">Bailly, ''Lettres sur l'origine des sciences'', 257-258.</ref>|Les tigres du nord, qui ont dévasté le midi de l'Asie, n'avaient sans doute ni quart de cercle ni astrolabe; mais observez, je vous supplie, Monsieur, que quand je dis que les peuples de Tartarie ont été éclairés, j'ai en vue ceux qui existaient trois à quatre mille ans avant les barbares dont vous parlez. Nous pourrions également conclure que la Grèce n'a eu ni Sophocle ni Démosthène, parce que les Turcs qui la possèdent sont féroces, ignorants et qu'ils dévasteraient l'Europe si on les laissait faire.|lingua=fr}}
 
La nona lettera non fu che un po' di proselitismo gratuito verso [[Jean Jacques Dortous de Mairan|Mairan]]. Voltaire aveva commesso l'errore di dire che non aveva mai letto l'opera di Mairan, ''Feu central'':
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{{citazione|L'idea che il nostro povero vecchio mondo fosse più caldo di quello che è, e che si è raffreddato poco a poco, mi ha fatto poca impressione. Non ho mai letto il ''Feu central'' di Mairan; e dal momento che non crediamo più né nel Tartaro né nel Flegetonte, allora mi sembrerebbe che il fuoco centrale non abbia poi così tanto credito.|Voltaire nella terza lettera a Bailly.<ref>Bailly, ''Lettres sur l'origine des sciences'', 13.</ref>|L'idée que notre pauvre globe avait été autrefois plus chaud qu'il n'est, et qu'il s'était refroidi par degrés, me faisait peu d'impression. Je n'ai jamais lu le ''Feu central'' de M. de Mairan; et depuis qu'on ne croit plus au Tartare et au Phlégéton, il me semblait que le feu central n'avait pas grand crédit.|lingua=fr}}
 
Il fatto che Voltaire non avesse mai letto quest'opera era in realtà abbastanza improbabile, considerando i contatti molto stretti tra di loro durante il "periodo Newtoniano" di Voltaire a [[Cirey-sur-Blaise|Cirey]]<ref>Voltaire scrisse l′''Essai sur la nature du feu et sur sa propagation'' per una competizione all'[[Accademia francese delle scienze]] per il [[1738]]. La donna che amava, [[Émilie du Châtelet]] competeva per lo stesso premio, discutendo nella sua monografia a proposito del ''feu central''. Fu in questo periodo che Voltaire scrisse a Mairan: «Noi la studiamo. [...] Le materie che noi trattiamo qui semplicemente raddoppiano la nostra stima per lei». Nel [[1741]], Mairan indirizzò a Mme du Châtelet la ''Lettre à Mme *** sur la question des forces vives''.</ref> e l'entità della loro corrispondenza tra il [[1724]] e il [[1765]].<ref>Mairan fu uno dei primi ad avere una corrispondenza epistolare con Voltaire, e lo scambio di lettere continuò fino alla morte di Mairan. Voltaire scrisse il [[1º febbraio]] [[1734]]: «I vostri libri sono come voi, saggi, informativi e piacevoli». Il [[3 dicembre]] [[1749]] Voltaire scrisse specificamente: «Ho letto il vostro ''Glace''».</ref>
 
Mairan, che era stato Segretario Perpetuo dell'Accademia francese delle Scienze, aveva dimostrato che la temperatura saliva quanto più ci si avvicinava verso il centro della Terra. Inoltre fu il primo a misurare con precisione il "calore proprio", le ''feu central'', della Terra, mostrando che esso era indipendente dal calore ricevuto dal Sole.
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====Un'ulteriore prova: la fenice====
Anche le festività astronomiche più celebri dell'antichità, pensava Bailly, dovevano aver avuto la loro origine alle alte latitudini del nord; quella, per esempio, di [[Adone (mitologia)|Adone]] (che alludeva evidentemente al sole) che passò sei mesi sulla [[Terra]] con [[Venere (divinità)|Venere]] e sei mesi nell'[[Ade (regno)|Ade]] con [[Proserpina]], poteva essere inventata solo da una "razza iperborea", poiché in [[Siria]], nelle terre [[Fenici|feniciefenici]]e gli inverni erano insolitamente brevi e miti; ed è solo al polo che l'assenza, ovvero la "morte", del sole ha una continuità di sei mesi.
 
Come ulteriore testimonianza alla propria asserzione, Bailly addusse una favola della [[fenice]] raccontata dagli Egizi secondo la quale un giorno arrivò un essere tutto ammantato di pennacchi d'oro e cremisi, giunto da un "paese delle tenebre" «per morire in Egitto, e per risorgere di nuovo dalle sue ceneri nella città del Sole, presso l'altare di quella divinità».<ref>''Lettres sur l'origine des sciences'', p. 249</ref> Attraverso la fenice. pensava Bailly, fu evidentemente designata la [[rivoluzione solare]], una famosa tecnica [[astrologia|astrologica]]; e l'età assegnata alla fenice lo provava, in quanto secondo il mito ammontava a 1461 anni. «Bisogna dire che è lo stesso periodo di tempo di un [[Calendario_egizioCalendario egizio#Il_cicloIl ciclo sotiaco|ciclo sotiaco]], ovvero il tempo corrispondente ad un "grande anno solare" egizio». Per Bailly comunque la leggenda non poteva essere nata lì: infatti il sole non scompariva mai per periodi lunghi in Egitto, anzi era sempre molto «vigoroso», «una circostanza derivante dalla sua altezza rispetto alla linea dell'orizzonte». Questo invece non era il caso dei climi nordici, dove «il sole scompariva più o meno per un anno», ovvero un tempo considerevolmente lungo. Lì la partenza e il ritorno della luce poteva suggerire l'idea di una morte reale e di una reale rinascita; da qui la ''vicissitudo'' alternata tra lutto e gioia». Bailly pensava dunque che il mito della fenice fosse dunque nato a nord.
 
Anzi, Bailly va molto più avanti: per lui il "paese delle tenebre" a cui il mito faceva riferimento era la [[Siberia]], e lì molto probabilmente la favola si sarebbe originata; infatti nell'[[Edda]], insieme di libri mitologici norreni, era presente una storia molto simile. Parlava di un uccello, la cui testa e il cui torace erano del colore del fuoco, mentre la coda e le ali erano di un celeste chiaro; esso visse per trecento giorni, e seguendo tutti gli uccelli di passaggio, volò in Etiopia, là fece il suo nido, e bruciò con le sue uova; la cenere però produsse un piccolo essere rosso, che, dopo aver recuperato le ali e la forma da uccello, riprese il suo volo per il nord.
 
Le circostanze vitali della fenice, secondo Bailly, attraverso la specificazione dei giorni di vita della fenice, precisavano la zona geografica in cui la fiaba fu prodotta. «Sicuramente — scrive Bailly — al di sotto della latitudine dei 71°, dove il sole è assente per sessantacinque giorni all'anno».<ref>''Lettres sur l'origine des sciences'' Volume II, p. 219</ref> La leggenda della fenice doveva dunque provenire, per Bailly, dal [[Golfo dell'Ob']], una regione in cui era lecito supporre che il sole fosse assente proprio per sessantacinque giorni all'anno.
 
==Giudizi successivi==
La maggior parte delle informazioni su cui si basa il sistema di Bailly erano interamente o parzialmente inesatte; egli, inoltre, accettava ciecamente la stima che gli stessi Cinesi avevano fatto sulla loro antichità, che poi si era dimostrata essere alquanto esagerata;<ref>Secondo i calcoli cinesi [[Fu Xi|Fu-Hi]] sarebbe vissuto circa verso il [[XXIX secolo a.C.|2852 a.C.]], ma gli storici moderni individuano la fondazione della prima dinastia, la dinastia Chou, verso il [[XII secolo a.C.|1122 a.C.]].</ref> egli generalizzò dei fatti particolari senza giustificazione, come ad esempio la settimana costituita da sette giorni per tutti gli antichi;<ref>[[Guillaume Bigourdan]] scrisse: «Non è assolutamente vero, tuttavia, non la troviamo che tra gli ebrei, da dove poi passò gli alessandrini. Al contrario, quasi tutti i popoli antichi, come gli Egizi, i Greci, i Cinesi ecc... contavano con periodi di dieci giorni o decadi». (Bigourdan, ''L'Astronomie, évolution des idées et des méthodes'', 60.)</ref> e trasse conclusioni errate da fatti reali che, in epoche più moderne, hanno ricevuto spiegazioni soddisfacenti - ad esempio la variazione di temperatura alle latitudini settentrionali oppure la [[geotermia]] relativamente al calore interno della Terra.
 
L'intero tessuto delle sue argomentazioni dava modo alle rispettive parti che lo costituivano di poter essere controllato. Una visione più moderna della teoria di Bailly è ben riassunta ne ''L'Astronomie, évolution des idées et des méthodes'', opera di [[Guillaume Bigourdan]] scritta nel [[1911]]:
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Eppure giudicato non attraverso un punto di vista contemporaneo, il libro di Bailly era di notevole erudizione ed era una sintesi provocatoria di numerosi dati di recente scoperta. [[Joseph de Guignes]], famoso orientalista, aveva aperto il dibattito con la sua ''Mémoire dans lequel su Prouvé que les Chinois sont une colonie Égyptienne'', pubblicata a [[Parigi]] nel [[1759]]. La sua tesi era stata confutata da [[Cornelis de Pauw]] nelle ''Recherches philosophiques sur les Égyptiens et les Chinois'', pubblicate nel [[1773]], un lavoro che aveva suscitato il plauso dei ''philosophes'' e le ire dei gesuiti a causa del modo dispregiativo con cui de Pauw trattava le ''[[Lettres édifiantes et curieuses]]''. Il mondo culturale che stava leggendo [[Antoine Court de Gébelin|Court de Gébelin]], de Guignes e de Pauw non poteva non essere incuriosito anche dal contributo di Bailly. Lo scrittore svizzero Jacques-Henri Meister trovò nel lavoro di Bailly «uno spirito eccellente, di conoscenze raramente riunite, e la logica più seducente e ingegnosa del mondo».<ref>Grimm, ''Correspondance'' 11: 432 (Marzo, 1777).</ref> A dire il vero, però, [[Jean Baptiste Le Rond d'Alembert|Jean Baptiste d'Alembert]] e [[Nicolas de Condorcet]] lo ridicolizzarono Bailly crudelmente, ma ciò potrebbe anche essere stato inevitabile dopo lo scontro aperto presso l'Accademia delle Scienze.
 
Uno degli effetti della pubblicazione delle ''Lettres sur l'origine des sciences'' fu una polemica dell'abate [[Nicolas Baudeau]] intitolata ''Mémoire à consulter pour les anciens Druides: contre M. Bailly'', pubblicata a [[Parigi]] nel [[1777]]. Baudeau disprezzava e denigrava le "razze" dell'Asia e cercò di dimostrare la maggiore antichità della cultura dei popoli d'Europa. Egli scrisse che:
 
{{citazione|Bailly è condannato a comporre e a pubblicare incessantemente un terzo libro, dove avrà cura di leggere i saggi nelle assemblee pubbliche dell'Accademia delle Scienze, il cui libro sarà intelligente, curioso e ben scritto come i primi due... ; e [all'interno] vi sarà contenuta la riparazione più autentica sull'onore ai Galli, ai Celto-Sciti, agli Iperborei, agli Illiri o ai Frigi d'Europa e ai loro druidi...|[[Nicolas Baudeau]] nel ''Mémoire à consulter pour les anciens Druides: contre M. Bailly''.<ref>Citata in: Grimm, ''Correspondance'', 11: 508 (agosto 1777).</ref>|Bailly soit condamné à composer et à publier incessament un troisième ouvrage, dont il aura soin de lire les essais dans les assemblées publiques de l'Académie des Sciences, lequel ouvrage sera aussi savant, aussi curieux, aussi bien ecrit que les deux premiers... ; et qu'en ice lui soit contenue la réparation d'honneur la plus authentique aux peuples gaulois, celto-scythes, hyperboréens, illyriens ou phrygiens d'Europe et à leurs druides...|lingua=fr}}