Intenzionalità: differenze tra le versioni
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Il concetto di intenzionalità era stato elaborato originariamente dalla [[filosofia scolastica]], e fu reintrodotto nella [[filosofia contemporanea]] dal [[Filosofia|filosofo]] e [[Psicologia|psicologo]] [[Franz Brentano]] nella sua opera ''Psychologie vom Empirischen Standpunkte'' (''[[Psicologia dal punto di vista empirico]]''). Con l'intenzionalità della [[Coscienza (filosofia)|coscienza]] o della [[mente]] egli intendeva appunto l'idea che la coscienza sia sempre diretta ad un [[Oggetto (filosofia)|oggetto]], che abbia sempre un contenuto, andando oltre se stessa. Brentano definì l'intenzionalità come la caratteristica principale dei ''fenomeni psichici'' (o mentali), tramite cui essi possono essere distinti dai ''fenomeni fisici''. Ogni fenomeno mentale, ogni atto psicologico infatti ha un contenuto, è diretto a qualcosa (l'«oggetto intenzionale»). Ogni credere, desiderare, ecc. ha un oggetto: il creduto, il desiderato.
{{citazione|Ogni fenomeno psichico è caratterizzato da ciò che gli Scolastici del medioevo hanno chiamato «in-esistenza» intenzionale (o anche mentale) di un oggetto<ref>Dal lat. "intentio" «atto di tendere verso un oggetto», vd [http://www.treccani.it/enciclopedia/intenzione_%28Dizionario-di-filosofia%29/ intenzione in Dizionario di filosofia Treccani (2009)]</ref>, e che noi, anche se in modo non del tutto privo di ambiguità, definiamo il rapporto con un
===Husserl===
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