Lettera VII: differenze tra le versioni

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{{citazione|Perciò, chi è serio, si guarda bene dallo scrivere di cose serie, per non esporle all'odio e all'ignoranza degli uomini. Da tutto questo si deve concludere, in una parola, che, quando si legge lo scritto di qualcuno, siano leggi di legislatore o scritti d'altro genere, se l'autore è davvero un uomo, le cose scritte non erano per lui le cose più serie, perché queste egli le serba riposte nella parte più bella che ha.|Trad.: A. Maddalena, Roma-Bari 1966}}
 
Platone sembra dire che vi sarebbero delle dottrine della massima importanza, che però non possono essere comunicate per iscritto per via della debolezza intrinseca di questo mezzo, e che devono essere tenute nascoste ai più, perché incapaci di comprenderle. Alla ricostruzione di queste «dottrine non scritte» (''agrapha dogmata'') si sono dedicati, a partire dagli [[anni 1980|anni ottanta del XX secolo]], gli studiosi facenti parte della cosiddetta [[Scuola di Tubinga-Milano]]. Secondo questi interpreti, professori nelle università di Tubinga (Krämer, Gaiser, Szlezák) e [[Università Cattolica del Sacro Cuore|Cattolica di Milano]] ([[Giovanni Reale]], [[Maurizio Migliori]] e [[Giuseppe Girgenti]]), vi sarebbe una dottrina segreta che Platone ha preferito comunicare solo oralmente e solo ai propri allievi, alla quale avrebbe fatto riferimento di tanto in tanto nei dialoghi e che è possibile ricostruire attraverso le testimonianze di [[Aristotele]] e pochi altri ([[Sesto Empirico]], [[Alessandro di Afrodisia]], [[Aristosseno]]).<ref>G. Reale, ''Platone. Alla ricerca della sapienza segreta'', Milano 1998, pp. 115-120. Nell'interpretazione della Tubinga-Milano, i testi scritti fungono solo da supporto («soccorso») alla memoria, mentre le «cose di maggior valore» sono trattate oralmente.</ref> Fare luce su queste dottrine significa pervenire al cuore stesso della filosofia platonica, allontanandosi dall'interpretazione tradizionale per fornirne una nuova e rivoluzionaria (quello che questi studiosi chiamano «nuovo paradigma ermeneutico»), in grado di risolvere molti dei problemi interpretativi più dibattuti.<ref>G. Reale, ''Platone'', cit., pp. 321-325.</ref> La nuova immagine di Platone che ne risulta supera il dualismo oggetti sensibili/realtà ideale, mostrando come la stessa dottrina delle idee sia solo una parte di una più ampia e complessa dottrina dei princìpi.<ref>Oltre al mondo sensibile e al mondo delle idee esisterebbe, al di là di quest'ultimo, un superiore piano ontologico (primario) occupato dai princìpi primi (Uno e Diade), da cui discendono le idee; inoltre, particolare risalto viene dato ai concetti matematici e alla loro particolare posizione. Vedi il paragrafo: [[Platone#Le dottrine non scritte|Le dottrine non scritte]].</ref>
 
Tuttavia, va detto che questa interpretazione così rivoluzionaria non è accettata da tutti gli studiosi, ma, anzi, la sua comparsa è stata accompagnata da vivaci polemiche. Questo perché le critiche alla scrittura di cui si è detto non rimandano necessariamente all'esistenza di una sapienza segreta. In particolare, molti studiosi fanno notare che nei passi citati Platone avrebbe più semplicemente voluto dire che la verità non si apprende banalmente dai libri o dai testi scritti in generale, bensì dall'indagine interiore e dal dialogo continuo; ed essendo una conquista dell'anima, «essa non si può in alcun modo comunicare, ma come fiamma si accende da fuoco che balza» (341c-d). In questo senso, i dialoghi non avrebbero valore ultimativo, poiché la ricerca filosofica deve essere continuata al di là dello scritto, nell'anima, e la sua acquisizione è un evento immediato e improvviso, non comunicabile.<ref>F. Trabattoni, ''Scrivere nell'anima'', Firenze 1994, pp. 200-245.</ref> D'altra parte, la stessa incomunicabilità di queste dottrine porterebbe a pensare che non solo la scrittura, ma anche l'oralità non sia in grado di trasmetterle.<ref>M. Isnardi Parente, ''Filosofia e politica nelle Lettere di Platone'', Napoli 1970, pp. 152-154.</ref> Infine, per quanto riguarda la ricostruzione di queste dottrine orali, in molti hanno messo in dubbio la validità delle testimonianze di Aristotele e Sesto Empirico – il primo perché scrisse quei passi animato da spirito teoretico e non storiografico, interessato cioè a confrontarsi con le teorie dei predecessori reinterpretandole alla luce della sua filosofia,<ref>Si vedano al riguardo i contributi di [[Margherita Isnardi Parente]] a: E. Zeller, R. Mondolfo, ''La filosofia dei Greci nel suo sviluppo storico'', vol. III/1, pp. 108-131, vol. III/2, pp. 907-14, 938-963.</ref> e il secondo, nonostante un diverso approccio alle dottrine precedenti, perché vissuto molti secoli dopo Platone.