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==Cultura greca==
[[File:Antalya Museum - Sarkophag 5a Achilles schlägt Thersites.jpg|150pxupright=0.7|left|thumb|Achille trascina per i capelli Tersite]]
{{Vedi anche|Kalokagathia}}
La deformità ancora oggi nella cultura popolare è associata a comportamenti morali riprovevoli<ref>''«Ddiu li sègna, e tu javìtili!»'' [Dio li segna, e tu evitali] (Dialetto tarantino)</ref>: un pregiudizio che sembra tramandato dall'antica società greca del V secolo a.C. dove il principio della [[kalokagathia]], del bello e del buono, contrassegnava invece l'ideale di perfezione fisica e morale dell'uomo che nella più antica letteratura omerica era rappresentato dall'eroe che incarnava i valori aristocratici. All'opposto è il caso di [[Tersite]] che nell'[[Iliade]] di [[Omero]]<ref>Maria Rosa Tabellini, ''L’altro nel poema epico'', Università di Siena, p. 1.</ref> rappresenta, per la sua deformità<ref>Così descritta:
{{QuoteCitazione|aveva il naso largo e schiacciato ed era zoppo da un piede, aveva le spalle torte, gobbe e rientranti sul petto, il cranio aguzzo, coi capelli radi». (''Iliade'', vv.274-360)}}</ref> e per la sua codardia, il modello dell'anti-eroe, il contrario del prototipo dell'eroe classico, bello e virtuoso<ref>Pierluigi Barrotta,''Scienza e valori: Il bello, il buono, il vero'', Armando Editore, 2015, p. 92.</ref>
 
[[File:Perikles altes Museum.jpg|thumb|150pxupright=0.7|Busto di Pericle, custodito nell'[[Altes Museum]] di [[Berlino]].]]
 
La bellezza infatti nella cultura greca arcaica era concepita come un valore assoluto donato dagli dei all'uomo e quindi la deformità poteva segnalare l'ostilità degli dei nei confronti del malvagio.<ref>[http://www.treccani.it/scuola/lezioni/scienze_umane_e_sociali/bellezza_e_arte_1_kalokagathia.html Bellezza e arte 1. La bellezza come dono divino – Kalokagathia]</ref>
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È infatti nel momento della generazione che si appunta la visione negativa dei greci antichi che vedono nella nascita del deforme una punizione inflitta ai genitori che si sono macchiati di una colpa precedente, commettendo ὕβρις (''hýbris''), che si trasmette di generazione in generazione per aver oltrepassato per ambizione i limiti imposti dagli dei che intervengono, secondo il principio arcaico dello φθόνος τῶν θεῶν (''phthónos tôn theôn''), l'"[[invidia degli dei]]", con la τίσις (''tísis'') divina: una "punizione" mirante a ristabilire l'equilibrio che l'uomo ha violato.<ref>Anna Jellamo, ''Il cammino di Dike: l'idea di giustizia da Omero a Eschilo'', Donzelli Editore, 2005, pp. XII e sgg.</ref>
 
[[File:Socrate silenico.jpg|150pxupright=0.7|left|thumb|Busto di Socrate come Sileno risalente all'età di Traiano.]]
 
Perciò la società spartana militarista ed elitaria ritiene che coloro che sono, per volere degli dei, contro natura debbano, per legge, essere abbandonati. Non altrettanto avviene ad Atene dove la deforme testa di [[Pericle]]<ref>«Pericle, irreprensibile in tutte le altre parti nella forma del corpo, ma prominente e asimmetrico nella testa. Per questo quasi tutte le statue sono cinte da elmi, non volendo come sembra gli artisti schernirlo. E i poeti attici lo chiamavano "dalla testa a forma di scilla", dal momento che la cipolla si può chiamare anche scilla. Tra i comici Cratino nei Chironi dice: "La Discordia e il vecchio Crono unitisi tra loro generarono un grandissimo tiranno, che gli dei chiamano 'Cefaloghereta' ", e ancora nella Nemesi dice: "Vieni, Zeus, protettore dell'ospitalità dall'alta testa".» (Plut. ''Per.'', 3, 3-4)</ref>, non gli impedisce di governare.
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Così nel Teeteto Socrate testimonia che era uso abituale allevare un neonato deforme poiché nessuna legge lo impediva<ref>Plat. ''Theaet.'', 161a</ref>. L'aristocratico Platone invece ritiene ingiusto far continuare a vivere un neonato che la natura ha privato delle gioie della vita<ref>Platone, ''La Politica'', Leggi, 461</ref>. Giudizio condiviso da Aristotele che contesta la scelta di allevare bimbi deformi.<ref>Aristot., ''Pol.'' 7, 1335b, 19-21</ref>
 
Un caso particolare di deformità nell'antica cultura greca è la tradizionale rappresentazione della figura di [[Socrate]] che fu descritto dai suoi contemporanei, [[Platone]], [[Senofonte]] e [[Aristofane]], come fisicamente "brutto"<ref> Platone, ''Simposio'' 215 B-C; Senofonte ''Simposio'', IV,197; Aristofane, ''Le nuvole''.</ref> In particolare, nel ''Simposio'' Platone lo accosta alla figura dei "[[Sileno|Sileni]]" quegli esseri propri della cultura religiosa greca, a metà tra un dèmone e un animale, che formavano i cortei del dio dell'ebbrezza, [[Dioniso]]. Ma la "bruttezza" di Socrate cela, per mezzo di una maschera, qualcos'altro: {{quotecitazione|Alcibiade paragona Socrate a quei Sileni che nelle botteghe degli scultori servono da contenitori per le raffigurazioni degli dèi. Così, l'aspetto esteriore di Socrate, l'apparenza quasi mostruosa, brutta, buffonesca, imprudente, non è che una facciata, una maschera.<ref>Pierre Hadot, ''Elogio di Socrate'', Genova, Il Melangolo, 1999, p. 13.</ref>}}
 
==Cultura romana==
{{quotecitazione|Guardati dai segnati||''Cave a signatis''<ref>L. De Mauri, Angelo Paredi, Gabriele Nepi, ''5000 proverbi e motti latini. Flores sententiarum: raccolta di sentenze, proverbi e motti latini di uso quotidiano, in ordine per materie, con le fonti indicate, schiarimenti e la traduzione italiana'', Hoepli Editore, 1995, p. 667.</ref>|La}}
Non diversa è la considerazione della deformità fin dalle origini del mondo romano:
{{quotecitazione|Romolo ordinò agli abitanti della città di allevare tutti i figli maschi e la primogenita delle femmine e di non uccidere alcun bimbo al di sotto dei tre anni di età, a meno che non fosse deforme o mostruoso (παιδίον ἀνάπηρον ἢ τέρας)<ref>[[Dionigi di Alicarnasso]], 2, 15, 1-2)</ref>.}}
 
[[File:Seneca-berlinantikensammlung-1.jpg|150pxupright=0.7|thumb|Busto di Seneca (''[[Antikensammlung (Berlino)|Antikensammlung]]'' di [[Berlino]], da un'[[Erma (scultura)|erma]] di Seneca e [[Socrate]]]]
 
Come nel mondo greco anche per i Romani il deforme è il segno profetico di sventure dovute alla violazione della pax deorum. Mentalità che prosegue con diverse motivazioni nell'età imperiale come in [[Lucio Anneo Seneca]] che vede nella soppressione dei deformi un principio di igiene sociale per la salvaguardia della sanità dello Stato:
{{QuoteCitazione|Che motivo ho, infatti, di odiare un essere al quale giovo solo quando lo sottraggo a se stesso? Forse qualcuno odia le sue membra, quando se le fa amputare? Quello non è odio: è una cura tormentosa. Abbattiamo i cani rabbiosi, uccidiamo il bue selvaggio e riottoso, trafiggiamo con il ferro le bestie malate perché non infettino il gregge, soffochiamo i feti mostruosi, ed anche i nostri figli, se sono venuti alla luce minorati e anormali, li anneghiamo, ma non è ira, è ragionevolezza separare gli esseri inutili dai sani.<ref>[[Lucio Anneo Seneca]], ''De Ira'', Libro I, 15.c)</ref>}}
Nella terminologia latina il soggetto deforme viene indicato con ''monstrum'', un fenomeno che è diverso dalla cosiddetta normalità naturale e perciò si riferisce, in senso ampio, a un essere vivente reale<ref>Definizione di "mostro" nel ''Dizionario della lingua italiana Sabatini Coletti''</ref> o [[creatura immaginaria|immaginario]] a cui sono attribuite una o più caratteristiche straordinarie. Per questo il termine viene spesso usato per designare esseri umani dalle doti eccezionali, che nell'antichità normalmente vengono giudicate con sospetto in quanto segni soprannaturali del deterioramento del rapporto tra uomini e dei. In questo caso il termine ''mostro'' assume una connotazione negativa ma può esprimere anche un senso positivo o ambivalente nel suo significato, conservato anche nella lingua italiana, di "portento", "prodigio" quando viene accostato ai ''[[mirabilia]]'' e ai cosiddetti "[[fenomeni da baraccone]]".
 
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==Cristianesimo==
[[File:Antonello da Messina 010.jpg|200px|thumb|''Gregorio I'', dipinto di [[Antonello da Messina]]]]
La considerazione della deformità muta teoricamente del tutto con l'avvento del [[Cristianesimo]] che fin dall'inizio della predicazione evangelica non considera più i deformi in base al concetto di inutilità o ripugnanza anche se permangono nei loro confronti discriminazioni di ordine culturale. Quando il governo imperiale dei [[Flavi]] e degli [[Dinastia degli Antonini|Antonini]] attua una riforma della scuola promuovendo la diffusione della cultura, la legge romana dichiara l'ineducabilità di chi è colpito da disabilità, deformità o malattie, sventure che i cristiani associano alle conseguenze del peccato tanto che un papa santo come [[Gregorio Magno]] è convinto che «un'anima sana non troverà mai albergo in una dimora malata.»<ref>Gian Antonio Stella, ''Corriere della Sera '', 17 febbraio 2012</ref>
 
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==Restaurazione==
[[File:Geoffroy Saint Hilaire, Etienne.jpg|150pxupright=0.7|thumb|Étienne Geoffroy Saint-Hilaire]]
 
Nell'età della [[Restaurazione]] il tema della deformità viene indagato sotto il triplice aspetto della [[teratologia]], della [[poetica]] del [[grottesca|grottesco]] e dell'[[estetica]] del brutto<ref>Giancarlo Urbinati, Gianni Carchia, ''Deformità'' in ''Universo del corpo'', 1999</ref>.
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Questa teoria viene tradotta sul piano estetico dove ora il deforme non coincide più con la bruttezza ma anzi l'artista, secondo [[Charles Baudelaire]] e [[Victor Hugo]], è colui che sa cogliere nel deforme lo spirito creativo della natura che esce dal caos con nuove forme:
 
[[File:Victor_Hugo.jpg|150pxupright=0.7|left|thumb|Victor Hugo nel 1875, fotografato da Walery Rzewuski]]
 
{{QuoteCitazione|Sì, senza che ciò possa per nulla distruggere e sminuire l'idea di perfezione attribuita alle evoluzioni successive delle leggi naturali, sì, secondo la nostra ottica umana, all'inizio delle cose il brancolamento terribile del sogno è confuso; la creazione, prima di raggiungere il proprio equilibrio, ha oscillato dall'informe al difforme, è stata nuvola, è stata mostro e ancor oggi l'elefante, la giraffa, il canguro, il rinoceronte, l'ippopotamo, ci mostrano, fissa e viva, l'immagine di questi sogni che hanno attraversato l'immenso cervello sconosciuto.<ref>Victor Hugo, ''William Shakespeare'', prefazione (1864)</ref>}}
Il deforme, immagine creatrice della realtà, assume nella creazione artistica la figura del grottesco:
{{QuoteCitazione|Il cristianesimo conduce la poesia alla verità. Al pari di esso, la musa moderna vedrà le cose da un punto di vista più elevato e più ampio. Sentirà che tutto nella creazione non è umanamente bello, che il brutto vi esiste accanto al bello, il deforme accanto al grazioso, il grottesco sul rovescio del sublime, il male con il bene, l'ombra con la luce.<ref>Victor Hugo, ''Cromwell'', prefazione (1827)</ref>}}
Nasce così nell'opera ''[[Notre-Dame de Paris (romanzo)|Notre-Dame de Paris]]'' il personaggio di [[Quasimodo (personaggio)|Quasimodo]] (1831), che in un corpo grottescamente deforme contiene un animo nobile e gentile.
 
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==Il XXI secolo==
In questo secolo la deformità entra a far parte dei disturbi di natura psichica con la definizione di "disturbo di dismorfismo corporeo" noto anche come "Quasimodofobia"<ref>Il termine indica la paura (fobia) di essere come [[Quasimodo (personaggio)|Quasimodo]] personaggio immaginario di un gobbo deforme e di mostruosa bruttezza ideato da [[Victor Hugo]] per il suo romanzo [[Notre-Dame de Paris (Victor Hugo)|Notre-Dame de Paris]] del 1831.(In [http://www.stateofmind.it/2015/07/disturbo-dismorfismo-corporeo/ ''State of mind'', il giornale delle scienze psicologiche])</ref>. A differenza del passato la deformità non è più l'oggetto reale di una visione che genera ripugnanza ma è una percezione angosciosa che l'individuo ha di se stesso:
{{QuoteCitazione|Declinandosi sempre più nell'apparire, l'individuo impara a vedersi nell'occhio dell'altro. Impara che l'immagine di sé è più importante delle sue capacità...<ref>Adriano Purgato, ''Fobie. Le nuove ossessioni del XXI secolo'', Castelvecchi, 2006, p. 94.</ref>}}
Sentendosi fisicamente inadeguato l'individuo per superare il malessere psicologico ricorre a pratiche chirurgiche per modificare il proprio corpo che spesso non rientra nelle caratteristiche della deformità tanto è vero che «la clinica ci dice che l'angoscia provata dai pazienti che ricorrono a chirurgie estetiche non diminuisce a operazione avvenuta, anzi nella maggior parte dei casi il "problema" si sposta in un'altra regione del corpo o s'incancrenisce in quella che non è stata "operata" bene.»<ref>A. Purgato, ''op. cit.'', p. 96.</ref>