Cartiere Burgo: differenze tra le versioni
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Negli anni settanta, dopo l'incursione di [[Giovanni Fabbri]], definito dai giornali "il re della carta" prima del suo fallimento, l'azienda si trovò in difficoltà dal punto di vista proprietario costringendo [[Mediobanca]] ed [[Enrico Cuccia]] a promuovere nel [[1981]] un sindacato di controllo formato da nomi importanti dell'imprenditoria italiana: oltre a Mediobanca (azionista con una quota del 14%), ne fecero parte [[Pirelli (famiglia)|Pirelli]] con il 7,1%, [[Gemina]] (quindi gli [[Agnelli]]) con all'inizio il 2,99% per poi aumentare poco a poco, l'[[Italmobiliare]] di Giampiero Pesenti con l'1,7%, la Fineurop Gaic di [[Camillo De Benedetti]] con l'1,4% e le [[Generali]]. Di fatto la Burgo si trasformò in una public company, la seconda in Italia dopo le Generali.<ref>''Repubblica.it'', 2 ottobre 1987.</ref>
Nell seconda metà degli anni ottanta, con Lionello Adler presidente (sarà anche presidente della [[Comit]] privatizzata) e Giuseppe Lignana (classe 1937, esperienze alla Ceat, Union Cavi, Sirti) nel ruolo di amministratore delegato e direttore generale, Cuccia ebbe anche l'idea (ma il progetto rimase sulla carta e le trattative furono anche smentite) di dare vita ad una "grande Burgo" insieme al gruppo canadese Mac Millan Bhedel, il maggiore produttore di legname, cellulosa e carta del Nord America.<ref>''Repubblica.it'', 29 aprile 1994.</ref> Da lì a poco l'azienda entrò in crisi con una sovracapacità produttiva che portò ad avviare una guerra di sconti: nel [[1992]] il bilancio presentò una perdita record di 136 miliardi di
La pesante crisi industriale del settore comportò importanti ristrutturazioni. Nel 2004 la Burgo (chiamata da allora ''Burgo Group'') fu integrata nel gruppo cartario Marchi, realizzando una concentrazione di 15 stabilimenti.
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