Processo a Galileo Galilei: differenze tra le versioni
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== Gli antefatti ==
Nella Chiesa, due erano i maggiori Ordini tutelari della cultura scientifica e teologica: l'Ordine dei [[gesuiti]], che vantava nelle sue fila numerosi matematici e fisici, e quello [[domenicano]], fedele all'insegnamento dottrinario di [[Tommaso d'Aquino|san Tommaso]], e pertanto sospettoso di ogni novità che a quella metafisica potesse in qualunque modo opporsi. Mentre i gesuiti, in un primo tempo, si mostrarono aperti di fronte alle nuove scoperte astronomiche, furono i domenicani i più decisi oppositori di Galileo, denunciando i pericoli che le teorie galileiane potevano apportare alla tradizionale dottrina della Chiesa. Tuttavia l'atteggiamento dei due Ordini nei confronti di Galileo si rovescerà due decenni dopo: nel [[1633]] saranno i gesuiti a denunciare il ''Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo'', coinvolgendo nelle accuse anche i domenicani che avevano autorizzato la pubblicazione dell'opera.
Il
[[File:Nikolaus Kopernikus.jpg|thumb|Niccolò Copernico]]
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Naturalmente Galileo mente e del resto l'inquisitore non gli crede e vuole un'esplicita confessione che Galileo sia copernicano, e «nisi se resolvat fateri veritatem, devenietur contra ipsum ad remedia iuris et facti opportuna»; Galileo nega ancora di essere copernicano e «del resto son qua nelle loro mani, faccino quello gli piace». L'inquisitore lo minaccia di tortura: «quod dicat veritatem, alias deveniutur ad torturam»; risponde Galileo: «Io son qua per far l'obedienza; e non ho tenuta questa opinione dopo la determinazione fatta, come ho detto».
«Et cum nihil aliud posset haberi in executionem decreti, habita eius subscriptione, remissus fuit ad locum suum».<ref>«Non risulta provato che il rigore contro l'illustre vecchio» si sia spinto fino alla tortura: cfr. L. Geymonat, ''Galileo Galilea'', 1983, p. 189. In un saggio del 1865, [http://books.google.it/books?id=IAUzAAAAIAAJ&dq=%22Storia+ed+esame+della+enciclica+e+del+Sillabo+dell%278+Dicembre+1864%22&printsec=frontcover&source=bl&ots=mjQVhZ3NBY&sig=UTvH2H9I7wWvdk1QZZ9PSSSMQv4&hl=it&sa=X&oi=book_result&resnum=1&ct=result#PPA79,M1 ''Storia ed esame della enciclica e del Sillabo dell'8 dicembre 1864'', Ed. Torino Stamperia dell'Unione Tip. Editrice, 1865, pag. 79], fortemente polemico contro la gerarchia ecclesiastica, l'abate Antonio Isaia sostenne che la frase «giudicassimo essere necessario venire contro di te al rigoroso esame» debba essere interpretata nel senso che Galileo fu effettivamente torturato, non solo minacciato di tortura; questa tesi è stata ripresa da [[Italo Mereu]], "[[Storia dell'intolleranza in Europa]]", 1979 (ed. riv. Bompiani, 2000) ISBN 88-452-4696-5. Secondo Orio Giacchi, professore di diritto ecclesiastico nell'Università Cattolica di Milano, invece il Tribunale, non procedendo alla tortura di Galileo, incorse in una «irregolarità»: cfr. O. Giacchi, ''Considerazioni giuridiche sui due processi contro Galileo'', Milano 1942. Al contrario, secondo lo storico [[Giorgio De Santillana|De Santillana]] la minaccia di tortura rappresentava una mera formalità, in quanto le regole della stessa Inquisizione ne impedivano l'applicazione ad un uomo vecchio e ammalato come Galileo: cfr. ''Processo a Galileo'', 1960, pag. 548 e secondo lo storico Maurice Finocchiaro dalla tortura erano protetti i chierici (Galileo aveva ricevuto la tonsura clericale nel 1631) e le accuse portate allo scienziato toscano non sarebbero state gravi abbastanza da giustificarne l'effettivo utilizzo: cfr. ''Galileo Goes to Jail, and Other Myths about Science and Religion'', Cambridge, MA: Harvard University Press, 2009, pag. 77.<br />
Secondo Finocchiaro, l'interpretazione odierna degli storici competenti sarebbe che il verbale del costituto del 22 giugno attesti la sola minaccia della tortura, e la convinzione dell'avvenuta tortura risalirebbe ad un'epoca in cui erano noti meno documenti sugli eventi: cfr. ''Galileo Goes to Jail'', pag. 78.</ref>
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