Utente:Distico/Sandbox/7: differenze tra le versioni
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Il substrato archetipico universale del mito, secondo Peterson, tende a descrivere il mondo come ''forum'' per l'azione di tre elementi costitutivi, che tendono a manifestarsi nei miti delle varie culture umane in tipici schemi di rappresentazione metaforica. Il primo di questi tre elementi è il «territorio inesplorato – la [[Grande Madre]], la natura, il creativo e il distruttivo, la fonte e il luogo di riposo finale di tutte le cose determinate».<ref name="xx" /> Il secondo è il «territorio esplorato – il Grande Padre, la cultura, la saggezza protettrice e tirannica, ancestrale e cumulativa».<ref name="xx" /> Il terzo è il «processo che media tra territorio inesplorato ed esplorato: il Figlio Divino, l'individuo archetipo, la Parola esplorativa creativa e l'avversario vendicativo».<ref name="xx">Jordan B. Peterson, ''Maps of Meaning: The Architecture of Belief'', p. xx</ref>
Secondo Peterson questi miti archetipici sono serviti a cementificare, in termini biologico-evolutivi, un'innata tendenza morale nell'uomo (rintracciabile, in forma abbozzata, anche nei primati, come evidenziato dagli studi di [[Frans de Waal]]), dando alla morale una potente base astratta di significato. Secondo Peterson infatti gli antichi miti contengono al loro interno, evolutivamente parlando, la base psicologica e filosofica della morale umana. Il [[significato (psicologia)|significato]] infatti, secondo Peterson, ha delle evidenti implicazioni per l'output comportamentale; e logicamente, di conseguenza, il mito – che è la forma archetipica della costruzione del significato – non può che presentare «informazioni rilevanti per il più fondamentale dei problemi morali».<ref name="p13">Jordan B. Peterson, ''Maps of Meaning: The Architecture of Belief'', p. 13</ref>
«I miti – arguisce Peterson – sono centrati e correttamente interessati alla natura del successo [evolutivo] dell'esistenza umana. Un'attenta analisi comparativa di questo grande corpo della filosofia religiosa potrebbe consentirci di determinare provvisoriamente la natura essenziale della motivazione e della moralità umane».<ref name="p12" /> Secondo Peterson infatti: «una precisa specificazione degli aspetti comuni mitologici sottostanti potrebbe permettere di comprendere il primo stadio di sviluppo nell'evoluzione cosciente di un sistema veramente universale di moralità».<ref name="p12">''Ibid.'', p. 12</ref>
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Secondo Peterson è il "diavolo" lo spirito archetipico «alla base dello sviluppo del totalitarismo»,<ref name="p316" /> ovvero «uno spirito che è caratterizzato da una rigida credenza ideologica (espressa con il "predominio della mente razionale"), dall'affidamento sulla menzogna come modello di adattamento (espressa con il rifiuto di ammettere l'esistenza dell'errore e di apprezzare la necessità della devianza) e dall'inevitabile sviluppo dell'odio verso sé e verso il mondo».<ref name="p316">''Ibid.'', p. 316</ref> Secondo Peterson infatti «la presunzione della conoscenza assoluta», che è il "peccato cardinale" dello spirito razionale è, di conseguenza, ''prima facie'' «equivalente al rifiuto dell'eroe»<ref name="p321" /> – al rifiuto cioè dell'archetipo di [[Cristo]], della Parola di Dio, dell'intuizione del "processo divino" come mediatore tra ordine e caos. L'arroganza della posizione totalitaria viene quindi inestirabilmente opposta «all'umiltà dell'esplorazione creativa».<ref name="p321">''Ibid.'', p. 321</ref>
Peterson evidenzia dunque che il totalitarismo è – in fondo – una «malattia spirituale», intendendolo, in altre parole, come un risultato dell'aver trascurato o peggio negato la tradizione morale evolutivamente radicata nella mitologia umana. Per questo motivo ritiene che la soluzione agli orrori totalitari e alla "malattia spirituale"
Per Peterson dunque, la soluzione al totalitarismo risiede in una combinazione tra un [[individualismo]] pragmatico e la consapevolezza del valore etico-morale, in termini evolutivi, della tradizione delle religioni e degli antichi sistemi di credenza.
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