Discussione:Hacker: differenze tra le versioni
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Un Hacker in senso stretto è colui che associa ad una profonda conoscenza dei sistemi una intangibilità dell'essere, esso è invisibile a tutti eccetto che a se stesso. Non sono certamente Hacker in senso stretto tutti coloro che affermano di esserlo, in un certo senso gli Hacker in senso stretto non esistono, perché se qualcuno sapesse della loro esistenza per definizione non esisterebbero.
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Il [[New Hacker Dictionary]], compendio online dove sono raccolti i termini gergali dei programmatori, elenca ufficialmente nove diverse connotazioni per la parola "hack" e un numero analogo per "hacker". Eppure la stessa pubblicazione include un saggio d'accompagnamento in cui si cita [[Phil Agre]], un hacker del MIT che mette in guardia i lettori a non farsi fuorviare dall'apparente flessibilità del termine. "''Hack ha solo un significato''" - sostiene Agre - "''Quello estremamente sottile e profondo di qualcosa che rifiuta ulteriori spiegazioni.''"
A prescindere dall'ampiezza della definizione, la maggioranza degli odierni hacker ne fa risalire l'etimologia al [[Massachusetts Institute of Technology|MIT]], dove il termine fece la sua comparsa nel gergo studentesco all'inizio degli [[Anni 1950|anni cinquanta]]. Secondo una pubblicazione diffusa nel [[1990]] dal MIT Museum, a documentare il fenomeno dell'hacking, per quanti frequentavano l'istituto in quegli anni il termine "hack" veniva usato con un significato analogo a quello dell'odierno "''goof''" (''scemenza'', ''goliardata''). Stendere una vecchia carcassa fuori dalla finestra del dormitorio veniva considerato un "hack", ma altre azioni più pesanti o dolose - ad esempio, tirare delle uova contro le finestre del dormitorio rivale, oppure deturpare una statua nel campus - superavano quei limiti. Era implicito nella definizione di "hack" lo spirito di un divertimento creativo e innocuo.
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