Programma atomico sovietico: differenze tra le versioni
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[[File:RUSMARKA-1660.jpg|thumb|left|[[Georgij Flërov]], lo scienziato che scrisse la famosa lettera a [[Stalin]] sollecitando la ricerca sulla "super-bomba".]]
Le cose iniziarono a cambiare in seguito all'acquisizione da parte di agenti del [[Narodnyj komissariat vnutrennich del|NKVD]] ("Commissariato del popolo per gli affari interni") diretto da [[Lavrentij Berija]], di informazioni segrete sull'attività di ricerca sull'atomo in sviluppo nelle altre nazioni; il 4 ottobre 1941 una prima comunicazione ufficiale dell'NKVD riferì che un "agente nel [[Regno Unito]]" aveva sottratto un documento segreto britannico in cui si descriveva la possibilità di costruire ordigni esplosivi sfruttando l'energia nucleare<ref>C. Bellamy, ''Guerra assoluta'', pp. 557-558.</ref>. Nel documento di parlava di una "bomba nucleare" in grado di produrre un risultato "circa mille volte superiore a quello di una bomba convenzionale dello stesso peso". L'agente segreto in Inghilterra era verosimilmente [[John Cairncross]], uno dei componenti dei famosi ''[[Cinque di Cambridge|Cambridge Five]]'' e le sue informazioni erano
Dopo questo primo documento, nei mesi seguenti i servizi di informazione sovietici raccolsero molte altre notizie riguardo alle ricerche segrete sulle nuove armi nucleari svolte dai più importanti paesi occidentali; nel marzo 1942 Berija in persona comunicò a [[Stalin]] una sintesi di queste informazioni anche se apparentemente egli sottovalutò l'importanza delle notizie e la potenza teorica di questa nuova arma<ref>C. Bellamy, ''Guerra assoluta'', p. 559.</ref>. Anche successive informazioni raccolte dai partigiani ucraini che avevano sottratto documenti tedeschi in cui si parlava di ricerche in corso di uranio, non sembrarono impressionare gli esperti sovietici che erano stati consultati da [[Sergej Kaftanov]], il ministro dell'istruzione e il principale consulente scientifico del Comitato statale di Difesa, il comando supremo politico-militare diretto da Stalin<ref>C. Bellamy, ''Guerra assoluta'', pp. 559-560.</ref>.
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