Cristianesimo in Cina: differenze tra le versioni

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prima della formazione della Chiesa assira d'Oriente
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Nel [[XIII secolo]] arrivarono monaci [[Ordine francescano|francescani]] con [[Giovanni da Montecorvino]], la cui opera missionaria fu interrotta un secolo più tardi per ordine dell'Imperatore.
 
Ma furono i missionari [[gesuiti]], inizialmente [[Portogallo|portoghesi]], che stabilirono contatti regolari tra mondo cinese

e Occidente, anche se la Cina rimase relativamente impermeabile all'evangelizzazione cristiana.
 
Nel [[1601]] [[Matteo Ricci]] ed altri gesuiti furono ammessi a [[Pechino]]. Alla fine del secolo nacquero le prime diocesi in territorio cinese.
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Il regime intanto procedeva nella chiusura di seminari, cattolici e protestanti, e nell'espulsione di missionari europei. Venne colpito anche l'impegno dei cristiani nell'aiuto agli orfani e nelle scuole. <br/>
Tra il [[1951]] e il [[1952]] un'ondata di arresti e di esecuzioni sommarie attraversò il paese. Tra le centinaia di migliaia di vittime, vennero colpiti anche molti cristiani<ref>Andrea Riccardi, ''op. cit.'', pag. 240, riferisce che: "c'è che parla di milioni di vittime".</ref>.
Fu altissimo il numero delle persone imprigionate. Nella Cina maoista le forme di reclusione erano diverse. Nelle prigioni vere e proprie venivano inviati i condannati a morte (in attesa di esecuzione) o i quadri di partito caduti in disgrazia. La grande massa dei detenuti condannati per reati comuni scontava invece la pena nei campi di lavoro. Ce n'erano di due tipi: campicampirrstyyuyfyuii di lavoro forzato (chiamati in cinese ''[[laogai]]'') e forme attenuate di deportazione come il ''laojiao'' e il ''jiuye''. In quest'ultimo i lavoratori coatti avevano qualche libertà: potevano ricevere visite e sposarsi.<br/>
La maggior parte dei cristiani veniva inviata nei campi di lavoro forzato. In teoria lo scopo della reclusione era far cambiare pensiero ai “rei” per farne socialisti modello e poi reintegrarli nella società. In realtà i condannati rimanevano chiusi nei campi per il resto della loro vita<ref>Andrea Riccardi, ''op. cit.''.</ref>.<br/>