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=== XV secolo ===
Nel XV secolo (1406) assistiamo alla caduta della Repubblica di Pisa sotto la dominazione Fiorentina.
Ne conseguì una grave crisi economica e sociale che interessò soprattuto commercianti e artigiani, colpiti da una dura tassazione sulle esportazioni delle proprie manifatture. Iniziò così un fenomeno migratorio importante, basti pensare che nel primo quarto del secolo i ceramisti censiti erano 66, mentre nell'ultimo quarto solo 18<ref>{{cita|Clemente 2017|p. 138}}; {{cita|Tongiorgi 1964}}.</ref>.
Una prima causa di questo decremento può essere attribuita agli scontri iniziali tra pisani e fiorenti: si ha infatti notizia che molti cittadini legati al mondo della ceramica parteciparono attivamente al conflitto come guardie cittadine, capitani di guardia, o guardie del gonfalone bianco<ref>{{cita|Clemente 2017|p. 139}}; {{cita|Tongiorgi 1979|pp. 25, 26, 32, 55, 56, 91, 93-95, 98, 102, 130.}}</ref>.
Come già accennato, l’annessione di Pisa allo stato Fiorentino ha influenzato negativamenteDopo la fiorenteconquistà attivitàfiorentina delleinoltre botteghevenne pisane:imposto basti pensare alil confino politico imposto dagli occupanti che costrinse siaa imolti cetiuomini dirigenti che quelli più poveri addi allontanarsi dalla città.; Fufu vietato inoltre l’ingresso agli abitanti del contado pisano<ref>{{cita|Alberti - Giorgio 2013|p. 19}}; {{cita|Petralia 1991|p. 180}}.</ref>.
Alcune fornaci già attive tra la fine del XIV secolo e gli inizi del XV secolo furono distrutte dai fiorentini e talvolta case e botteghe rimaste vuote a causa della guerra venivano distrutte dagli stessi proprietari per non essere tassati<ref>{{cita|Casini 1965|p. 79}}.</ref>.
 
Va detto comunque che almeno in questo periodo, artigiani stranieri arrivarono verso Pisa. Questi (12 in totale) si spostarono da centri quali Lucca, Milano, Montaione, Piombino, Pistoia, Siena, Viterbo, etc. Solo più avanti si assiste ad alcune partenze verso Lucca, Savona e Faenza<ref>{{cita|Clemente 2017|p. 138}}</ref>.
 
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*chi aveva l'attività fuori le mura, poteva vendere direttamente ai marinai, anche nelle ore notturne. La vendita dei pezzi doveva comunque rispettare le cifre pattuite, e un affiliato dell'Arte o un apposito delegato doveva essere presente durante l'operazione di carico.
*per l’invenduto venivano stabiliti nuovi prezzi almeno da due artigiani appartenenti all’Arte.
 
 
La documentazione archivistica non riporta un rinnovo del contratto del 1421, ma le fonti testimoniano una florida attività anche in questo periodo.
Poco dopo infatti, nel 1426 viene creata una società di tre anni tra Giovanni di Cione di Lenzo e Niccolò di Jacopo Mangiacauli<ref>{{cita|Clemente 2017|p. 139}}</ref>, mentre nel 1427-1428, venne a formarsi una compagnia molto importante tra tre ceramisti<ref>{{cita|Berti 2005|pp. 114-115, 125-140}}; {{cita|Berti - Renzi Rizzo 2000|pp. 135-136}}; {{cita|Tongiorgi 1979|p. 52}}.</ref>.:
I tre soci erano:
{| class="wikitable"
|-
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|}
 
Anche nel secondo quarto del XV secolo non mancano attività dedite alla sola rivendita/noleggio. Nel 1428 ad esempio, Gaspare di Paolo del Rosso dichiara di avere nella sua bottega<ref>{{cita|Berti - Tongiorgi 1977a|p. 149}}; {{cita|Clemente 2017|p. 141}}.</ref>: {{Quote|più masserizie da nozze, cioè da desinari la quale poi prestiamo, cioè caldaie, treppie, schiedoni, altri taglieri e scodelle e altre cose, come richiede il mestiere.}}
Queste venivano vendute ancora nella zona di San Iacopo al Mercato insieme a saltuari pezzi di importazione. Ancora si registrano donne legate alla rivendita con qualche esempio di artigiana dedita alla produzione di vasellame<ref>{{cita|Tongiorgi 1964|pp. 7-8}}</ref>.
 
CostuiNella probabilmente già nellaseconda metà del XV secolo, Sano di Gherardo Borghesi aveva già introdotto nella propria bottega la produzione di ceramiche ingobbiate e graffite. Tale affermazione è possibile sulla base di alcuni documenti che citano per la prima volta la presenza di “terre bianche” a Pisa.
===== Il quadro economico dei ceramisti negli anni 1428-1429 =====
Il primo documentoUno risale al 1441, quando Sano paga alla dogana di Porta a Mare una certa somma per alcuni “sacchi di bianco”.
Un altro documento invece concerne il testamento dello stesso, registrato presso un notaio nel 1485. Vengono spartite tra i figli tutte le proprietà del vasaio, comprese le materie prime necessarie alla produzione di vasellame; tra queste vengono citate anche le “terre bianche”. Tale citazione, e la compresenza di stagno nella bottega, permette di ipotizzare la contemporanea di produzione della prima ceramica ingobbiata e dell’ultima maiolica arcaica{{#tag:ref|La famiglia Borghesi, di origine livornesi, si stanziò a Pisa con Gherardo nel 1382; la moglie Gadduccia rimane vedova nel 1412 con tre figli: Domenico, Sano e Matteo.
Sano, fu molto attivo nella sua professione di vasaio, ed il suo lavoro gli permise di mantenere una numerosa famiglia.
Suo figlio Gherardo, nato nel 1427, lavora come “fornaciaio”, ma anche “vagellaio”, anche se la sua attività sembra dedita soprattutto alla fabbricazione e vendita di materiali edilizi<ref>, si veda {{cita|Berti 2005|p. 124}}; notizie sulla famiglia Borghesi si trovano anche in {{cita|Tongiorgi 1979|pp. 30-31, 96}}.</ref>|group=N}}.
 
La zona di San Paolo a Ripa d'Arno e di San Giovanni al Gatano continua ad essere intensamente sfruttata da 10 fornaci. Sant'Andrea in Chinzica e San Marco vengono abbandonate, mentre viene intensamente popolata da ceramisti la cappella di San Pietro ad Ischia, a nord dell'Arno nei pressi dell'odierna via Sant'Apollonia<ref>{{cita|Clemente|p. 139}}</ref>{{#tag:ref|Le evidenze archeologiche sono illustrate da Marcella Giorgio (https://www.academia.edu/13408119/Un_occasione_per_recuperare_il_passato_lo_scavo_di_Sant_Apollonia_a_Pisa).|group=N}}.
 
Il totale censito per tutto il XV secolo è di 144 ceramisti<ref>{{cita|Clemente 2017}}. Per una parziale lista dei nomi degli artigiani si veda {{cita|Berti 2005|pp. 138-140}}</ref>.
 
===== Il quadro economico dei ceramisti negli anni 1428-1429 =====
Durante la Repubblica fino ai primi decenni del XV secolo le imposte venivano ripartite con il sistema dell’estimo che favoriva mercanti e banchieri<ref name=B_115>{{cita|Berti 2005|p. 115}}</ref>.
 
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Tra i ceramisti più ricchi troviamo il broccaio Andrea del maestro Andrea e Casuccio di Giovanni.
 
Il motivo per il quale gli artigiani pisani cominciarono a costituire compagnie lavorative potrebbe essere legato anche al nuovo sistema esattoriale e per non competere trafra loro. Infatti, le imposte gravavano soprattutto sugli artigiani che avrebbero potuto fare concorrenza a quelli di Firenze<ref>{{cita|Berti 2005|pp. 115-119}}. Il catasto del 1428-29 è stato pubblicato da Bruno Casini ({{cita|Casini 1964}} e {{cita|Casini 1965|pp. 6,7,9, 20-25}}).</ref>.
 
===== Commercio di ceramiche all'entrata della ''Legathia (Degazia)'' tra il 1441 e il 1443 =====
Il registro della dogana di Porta a Mare, (nota in quel periodotempo come Porta della Degazia o Legathia) chedegli sianni erge1441 ancora- oggi ad ovest della città1443, costituisce una testimonianza fondamentale perché mostra come alcuni ceramisti pisani produssero una molegrandi impressionantequantità di vasellame destinato all'esportazione<ref>{{cita|Berti - Tongiorgi 1977a|p. 152}}. Il documento doganale è possibile trovarlo in {{cita|Casini 1969|p. 140}}. Le notizie riportate di seguito sono tratte da quest’opera. I documenti sono conservati nell’Archivio di Stato di Pisa - Comune B55.</ref>.
Di questo è possibile avere molte informazioni grazie alle gabelle riscosse dalla dogana tra gli anni 1441 e 1443<ref>{{cita|Berti - Tongiorgi 1977a|p. 152}}. Il documento doganale è possibile trovarlo in {{cita|Casini 1969|p. 140}}. Le notizie riportate di seguito sono tratte da quest’opera. I documenti sono conservati nell’Archivio di Stato di Pisa - Comune B55.</ref>.
 
NonostanteIn il campo della ceramica contasse in questi anni numerosi artigiani, nelle pagine datate dal 24 febbraio 1441 al 27 giugno 1443,esso spiccano solo tre “vasai”: Sano di Gherardo Borghesi, Frediano Mangiacavoli e Antonio di Andrea del Mancino.
Dal giugno 1442 quest'ultimo non compare più nei registri della dogana perché aveva costituito una compagnia di cinque anni con Frediano Mangiacavoli.
Nei registri sono annotate sia importazioni sia esportazioni che sono prevalenti. Le cifre da pagare per queste ultime sono valutate secondo quanto stabilito dalla Gabella fiorentina del 1408, per “''ciascuna cotta di vagelli … cioè fornace quando quocie''”, tassata ciascuna soldi 14.e Ogniogni “cotta” comprendeva circa 2000-2100 pezzi<ref>{{cita|Berti - Tongiorgi 1977a|p. 152}}; {{cita|Pagnini 1765-1766|Tomo IV, p. 65}}.</ref>.
Le annotazioni relative a questi vasai concernono sia ceramiche importate sia esportate (che sono prevalenti).
Le cifre da pagare per queste ultime sono valutate secondo quanto stabilito dalla Gabella fiorentina del 1408, per “''ciascuna cotta di vagelli … cioè fornace quando quocie''”, tassata ciascuna soldi 14. Ogni “cotta” comprendeva circa 2000-2100 pezzi<ref>{{cita|Berti - Tongiorgi 1977a|p. 152}}; {{cita|Pagnini 1765-1766|Tomo IV, p. 65}}.</ref>.
 
Sano di Gherardo, mantiene una posizione preminente dal 1441 al 1442, mentre nel 1443 ilprimeggia piùla attivosocietà risultada Frediano Mangiacavoli che già in questo anno, come detto, è in società cone Antonio di Andrea del Mancino.
Nel periodo in cui la compagnia fra Antonio di Andrea del Mancino e Frediano Mangiacauli è stata più attiva, sisono hannostate fatte fino a quattro cotte al mesemensili; la stessa capacità di produzione aveva la fornace di Sano di Gherardo. Risulta quindi che tra il 24 febbraio 1441 e il 27 giugno 1443 sono state pagate complessivamente le gabelle per 113 “cotte”, cioè per circa 230.000 pezzi.
 
Contemporaneamente però sono registrati a parte dei pagamenti anche per varie migliaia di pezzi calcolati in base al loro numero o al loro valore.
Nei documenti in questione vengono citati anche ceramisti provenienti da aree anche molto lontane da Pisa: genti di Livorno (2-3), Elba (1), località liguri come Noli, Chiavari, Rapallo, Genova, Moneglia, Levanto (8), dalla Corsica (3), da Cremona (1), e forse da altri siti iberici eche importavano propri prodotti ed esportavano prodotti pisani<ref>{{cita|Clemente 2017|p. tedeschi141}}</ref>.
Sebbene le esportazioni di ceramiche sono quelle maggiormenteSono attestate, sono presenti anche esportazioni di manufatti non pisani. Sicome tratta soprattutto dile ceramiche di Montelupo Fiorentino ma anche di maioliche valenzane. La loro presenza è giustificata perché Pisa costituiva ancora, almeno in Toscana, il principale punto d’ingresso e di smistamento per qualsiasi tipo di prodotto<ref>L’argomento viene trattato dettagliatamente in {{cita|Berti 2005|pp. 119-124}}</ref>.
 
===== L'apprendistato =====
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Una volta finito il suo apprendistato, che durava normalmente da 1 a 3 anni, il garzone poteva rimanere nella bottega del suo maestro oppure aprirne una propria<ref>{{cita|Clemente 2017|p. 138}}</ref>.
In questo periodo comunque era praticata anche la schiavitù. Sappiamo infatti che nel 1441 presso due fornaci in società, lavorava uno schiavo di origine russa il cui stipendio veniva incassato dal suo padrone<ref>{{cita|Berti - Tongiorgi 1977a|p. 153}}.</ref>.
 
==== Seconda metà del XV secolo ====
In questo periodo spicca l'attività di un ceramista in particolare, Sano di Gherardo Borghesi.
Costui probabilmente già nella metà del XV secolo, aveva introdotto nella propria bottega la produzione di ceramiche ingobbiate e graffite. Tale affermazione è possibile sulla base di alcuni documenti che citano per la prima volta la presenza di “terre bianche” a Pisa.
Il primo documento risale al 1441, quando Sano paga alla dogana di Porta a Mare una certa somma per alcuni “sacchi di bianco”.
Un altro documento invece concerne il testamento dello stesso, registrato presso un notaio nel 1485. Vengono spartite tra i figli tutte le proprietà del vasaio, comprese le materie prime necessarie alla produzione di vasellame; tra queste vengono citate anche le “terre bianche”. Tale citazione, e la compresenza di stagno nella bottega, permette di ipotizzare la contemporanea di produzione della prima ceramica ingobbiata e dell’ultima maiolica arcaica.
La famiglia Borghesi, di origine livornesi, si stanziò a Pisa con Gherardo nel 1382; la moglie Gadduccia rimane vedova nel 1412 con tre figli: Domenico, Sano e Matteo.
Sano, fu molto attivo nella sua professione di vasaio, ed il suo lavoro gli permise di mantenere una numerosa famiglia.
Suo figlio Gherardo, nato nel 1427, lavora come “fornaciaio”, ma anche “vagellaio”, anche se la sua attività sembra dedita soprattutto alla fabbricazione e vendita di materiali edilizi<ref>{{cita|Berti 2005|p. 124}}; notizie sulla famiglia Borghesi si trovano anche in {{cita|Tongiorgi 1979|pp. 30-31, 96}}.</ref>.
 
Tra la prima e la seconda metà del XV secolo sono attivi a Pisa 115 artigiani: 6 barattolai (1 indicato come barattolaio e vasaio), 20 broccai (3 indicati come broccai e vasai), 1 orciolaio, 1 scodellaio, 4 stovigliai, 68 vasai (2 indicati come vasai e barattolai, 2 vasai e broccai, 1 vasaio e fornaciao), 14 apprendisti (6 indicati come apprendisti vasai) e 1 fornaciaio{{#tag:ref|({{cita|Berti - Renzi Rizzo 1997|pp. 232-235}}) Insieme ai due broccai della cappella di Sant’Andrea sono indicati con asterisco quattro vasai delle zone limitrofe di San Martino Chinzica e di San Marco Chinzica. Nei riferimenti relativi a San Paolo a Ripadarno sono inclusi tre vasai ed un apprendista vasai di San Giovanni al Gatano.
Le “altre” cappelle sono in undici/dodici casi a nord dell’Arno. Fra queste si segnalano San Iacopo del Mercato, cui vengono riferiti cinque operatori, probabilmente tutti solo rivenditori; San Pietro in Vincoli e San Nicola in Ponte. Altre otto cappelle, in parti varie della città sono ricordate per un barattolaio, un broccaio, un vasaio - barattolaio e cinque vasai. A sud dell’Arno troviamo due broccai e tre vasai in San Casciano, cappella subito a est di San Paolo a Ripadarno; tre vasai in quella di San Cosimo (o Santi Cosimo e Damiano), mentre è indicato di Sant’Egidio un apprendista. Per uno schema esauriente vedi {{cita|Berti 2005|pp. 138-140}}.
I dati possono essere soggetti a cambiamenti e revisioni in quanto la ricerca archivistica è ancora oggi oggetto di studio, ad esempio in {{cita|Alberti - Giorgio 2013}} sono indicati 139 ceramisti in questo periodo e 177 sul sito di Pisa città della ceramica (https://www.pisacittaceramica.it/la-produzione-di-ceramica-a-pisa-ed-aree-limitrofe-dal-mille-allottocento/).|group=N}}.
 
Come già accennato, l’annessione di Pisa allo stato Fiorentino ha influenzato negativamente la fiorente attività delle botteghe pisane: basti pensare al confino politico imposto dagli occupanti che costrinse sia i ceti dirigenti che quelli più poveri ad allontanarsi dalla città. Fu vietato inoltre l’ingresso agli abitanti del contado pisano<ref>{{cita|Alberti - Giorgio 2013|p. 19}}; {{cita|Petralia 1991|p. 180}}.</ref>.
Alcune delle fornaci attive a Pisa tra la fine del XIV secolo e gli inizi del XV secolo furono distrutte dai fiorentini durante i primi periodi della dominazione.
Infine, l’innalzamento delle imposte costrinse in ginocchio i cittadini.
Spesso case e botteghe rimaste vuote dopo il conflitto venivano distrutte dagli stessi proprietari per non essere tassati<ref>{{cita|Tongiorgi 1964}}. Per ulteriori dettagli sulla distruzione delle proprietà da parte dei proprietari pisani vedi {{cita|Casini 1965|p. 79}}.</ref>.
I vasai pisani, nell'ultimo quarto del XV secolo erano solamente 13 a fronte dei 66 del primo quarto<ref>{{cita|Tongiorgi 1964}}. Per ulteriori dettagli sulla distruzione delle proprietà da parte dei proprietari pisani vedi {{cita|Casini 1965|p. 79}}.</ref>.
 
=== XVI secolo ===