Alasdair MacIntyre: differenze tra le versioni
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=== L'interpretazione aristotelica delle virtù ===
Aristotele parla di una prassi precisa, inserita in una precisa forma politica, quella della “migliore città stato”, e di questa elabora la forma razionale. Il baricentro dell'intera morale aristotelica è il ragionamento pratico: la premessa maggiore dice che una certa azione è buona per l'uomo, la premessa minore che questo caso rientra nella fattispecie delle azioni descritte nella maggiore, ne consegue l'azione. L'azione dunque può essere vera o falsa. Il motivo risiede nell'intima connessione fra tutti i tasselli del mosaico. L'azione, come il giudizio, si radica nelle convinzioni profonde e condivise riguardo a ciò che è bene, nella conoscenza teoretica dei fini, di ciò che è buono per l'uomo, nella capacità, educata dall'educazione morale/sentimentale di giudicare se il caso in questione rientri nel modello generale. «L'etica di Aristotele presuppone la sua biologia metafisica».
La determinazione di cos'è bene per l'uomo è fondamentale: il telos, il fine dell'uomo non è un possesso, un culmine, un momento di felicità o di prosperità, ma «un'intera vita umana vissuta nel modo migliore, e l'esercizio delle virtù è una parte necessaria e fondamentale di una vita del genere, non un semplice esercizio preparatorio per assicurarsela. Perciò non possiamo dare una caratterizzazione adeguata del bene per l'uomo senza aver fatto riferimento alle virtù». Ci si pongono fini buoni nell'agire in quanto si esercita una virtù, essa conduce alla scelta giusta e all'azione giusta. E la virtù è disposizione che si acquista, coltivabile ed educabile, ad agire ma anche a «sentire» nel modo “giusto”. L'educazione morale è educazione anche sentimentale, che educa le inclinazioni. Il giudizio morale è un giudizio in situazione, non è un giudizio che applichi meccanicamente regole. Leggi e virtù richiedono valutazione in relazione a un bene che viene prima, il bene della comunità e il bene per l'uomo. Il giudizio di ciò che richiede la giustizia nelle circostanze particolari non applica formule statiche ed è definito da Aristotele un agire «kata ton orthón lógon», secondo giusta ragione. È un uso saggio e complesso della ragione che non ha nulla di esecutivo, per questo occorre la phrónesis, la saggezza pratica ed educata. Aristotele – come già Platone - vede in connessione sistematica tutte le virtù: come il telos e il ragionamento pratico come l'azione giusta da compiere in ciascun tempo e luogo particolare». Dopo aver indicato gli elementi più preziosi della concezione morale aristotelica, M. si pone il problema della loro recuperabilità all'interno di un tempo e di un contesto così radicalmente mutati, e articola il problema in tre punti precisi. È plausibile immaginare di tenere la teleologia aristotelica senza la sua biologia metafisica? E di tenere l'etica in assenza della struttura sociale della polis che la sostiene? E ancora, può esistere un aristotelismo etico senza la concezione armonicista e ostile al conflitto? Su quest'ultimo punto specialmente MacIntyre ravvisa un errore di Aristotele, più che una circostanza storica: Aristotele non ha compreso la condizione conflittuale, lo scontro di bene e male che fa da sfondo alla tragedia greca e l'ha ridotta a espressione contingente e eliminabile di un deficit di conoscenza e di educazione morale dell'eroe rappresentato.
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