Federico II di Svevia: differenze tra le versioni

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|fine regno = 13 dicembre [[1250]]
|incoronazione = 22 novembre [[1220]]
|altrititoli = [[Duca di Svevia]], [[Re di Tessalonica]]
|stemma = Shield and Coat of Arms of the Holy Roman Emperor (c.1200-c.1300).svg
|predecessore = [[Ottone IV di Brunswick|Ottone IV]]
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}}
 
Apparteneva alla nobile famiglia [[Svevia|sveva]] degli [[Hohenstaufen]] e fu l'ultimo sovrano a [[Re di Sicilia|regnare in Sicilia]] ad appartenere a tale [[dinastia]]. Discendeva per parte di madre dai [[normanna|normanni]] di [[Altavilla]] (Hauteville in francese), conquistatori di Sicilia e fondatori del suddetto [[Regno di Sicilia]]. Conosciuto con gli appellativi ''[[stupor mundi]]'' ("[[meraviglia]] o stupore del mondo") o ''puer Apuliae'' ("fanciullo di [[Puglia]]")<ref name="De Stefano IV 1951">{{cita pubblicazione|autore=[[Antonino De Stefano (storico)|Antonino De Stefano]]|titolo=Fridericus, puer Apuliae|rivista=Archivio Storico Pugliese|anno=1951|volume=IV|numero=1 (Il convegno Federiciano di Foggia)|città=Bari|url=http://emeroteca.provincia.brindisi.it/Archivio%20Storico%20Pugliese/1951/fasc.%201%20articoli/Fridericus,%20Puer%20Apuliae.pdf|formato=pdf|editore=Società di Storia Patria per la Puglia|accesso=20 dicembre 2010}}</ref>, Federico II era dotato di una personalità poliedrica e affascinante che, fin dalla sua epoca, ha polarizzato l'attenzione degli storici e del popolo, producendo anche una lunga serie di miti e leggende popolari, nel bene e nel male. Il suo mito finì per confondersi con quello del nonno paterno, [[Federico Barbarossa]]. Il carisma di Federico II è stato tale che all'indomani della sua morte, il figlio [[Manfredi di Sicilia|Manfredi]], futuro re di Sicilia, in una lettera indirizzata al fratello [[Corrado IV di Svevia|Corrado IV]] citava tali parole: "Il sole del mondo si è addormentato, lui che brillava sui popoli, il sole dei giusti, l'asilo della pace".[[File:Dominions of Friedrick II (Kingdom of Sicily, Holy Roman Empire, Kingdom of Jerusalem).png|thumb|220px|Estensione dell'impero di Federico II di Svevia]]
 
Il suo regno fu principalmente caratterizzato da una forte attività legislativa e di innovazione artistica e culturale, volta a unificare le terre e i popoli, ma fortemente contrastata dalla Chiesa, di cui il sovrano mise in discussione il potere temporale. Ebbe infatti ben due scomuniche dal [[Papa Gregorio IX]], che arrivò a vedere in lui l'[[anticristo]].{{Senza fonte}} Federico fu un apprezzabile letterato, convinto protettore di artisti e studiosi: la sua corte fu luogo di incontro fra le culture greca, latina, germanica, araba ed ebraica. Uomo straordinariamente colto ed energico, stabilì in [[Regno di Sicilia|Sicilia]] e nell'[[Italia meridionale]] una struttura politica molto somigliante a un moderno regno, governato centralmente e con un'amministrazione efficiente.<ref>{{cita libro |lingua = en |autore = Donald S. Detwiler |titolo = Germany: A Short History |edizione = 3 |città = |editore = Southern Illinois University Press |anno = 1999 |pagina = 43 |isbn = 0-8093-2231-5}}</ref>
 
Federico II parlava sei lingue ([[Lingua latina|latino]], [[Lingua siciliana|siciliano]], [[Lingua tedesca|tedesco]], [[Lingua francese|francese]], [[Lingua greca|greco]] e [[Lingua araba|arabo]])<ref>[[Giovanni Villani]], [[s:Nuova_Cronica/Libro_settimo|''Nuova cronica'', VII,1 [https://it]].wikisource.org/wiki/Nuova_Cronica/Libro_settimo]</ref> e giocò un ruolo importante nel promuovere le lettere attraverso la poesia della [[Scuola siciliana]]. La sua corte reale siciliana a [[Palermo]], dal [[1220]] circa sino alla sua morte, vide uno dei primi utilizzi letterari di una [[lingua romanza]] (dopo l'esperienza [[Lingua occitana|provenzale]]), il [[Lingua siciliana|siciliano]]. La poesia che veniva prodotta dalla ''[[Scuola siciliana]]'' ha avuto una notevole influenza sulla letteratura e su quella che sarebbe diventata la moderna [[lingua italiana]]. La scuola e la sua poesia furono salutate con entusiasmo da [[Dante Alighieri|Dante]] e dai suoi contemporanei, e anticiparono di almeno un secolo l'uso dell'[[Dialetto toscano|idioma toscano]] come lingua d'''élite'' letteraria d'Italia.<ref>{{cita libro |lingua = en |autore = |curatore = Gaetana Marrone |curatore2 = Paolo Puppa |curatore3 = Luca Somigli |titolo = Encyclopedia of Italian Literary Studies (A-J) |volume = 1 |città = |editore = Taylor & Francis |anno = 2007 |pagine = 780–82; anche 563; 571; 640; 832–36 |isbn = 1-57958-390-3}}</ref>
 
== Biografia ==
=== La nascita ===
{{Hohenstaufen}}
[[File:Frederick is born in Jesi.JPG|thumb|left|upright=1.2|Nascita di Federico II a [[Jesi]], in una tenda, secondo una «fantasiosa tradizione».<ref name="Houben16">[[Hubert Houben]], ''Federico II. Imperatore, uomo, mito'', 2009, [[Il Mulino]], [[Bologna]], ISBN 978-88-15-13338-0 (p. 16)</ref> dovuta a [[Ricordano Malispini]].<ref>[[Ricordano Malispini]], in ''[[Cronica malispiniana|Istoria fiorentina]]'', [http://books.google.it/books?id=TG85AAAAcAAJ&pg=PA124#v=onepage&q&f=false LXXVI], colloca il parto in un padiglione nel mezzo di una piazza di Palermo. La tradizione del padiglione è anche in [[Giovanni Villani]], ''[[Nova Cronica]]'', [[:s:Nuova Cronica/Libro sesto#XVI|VI, 16]].</ref>]]
Federico nacque nel 1194 da [[Enrico VI di Svevia|Enrico VI]] (a sua volta figlio di [[Federico Barbarossa]]) e da [[Costanza d'Altavilla]], figlia di [[Ruggero II di Sicilia]]<ref>L'essere nato come nipote in linea diretta di due grandi sovrani quali [[Federico Barbarossa]] e [[Ruggero II di Sicilia|Ruggero il Normanno]] segnò sin dall'inizio il destino di Federico.</ref>, e zia di Guglielmo II, a [[Jesi]], nella [[Marca anconitana]], mentre l'imperatrice stava raggiungendo a [[Palermo]] il marito, [[Incoronazione|incoronato]] appena il giorno prima, giorno di [[Natale]], [[re di Sicilia]]. Data l'età avanzata, aveva 40 anni, nella popolazione vi era un diffuso scetticismo circa la gravidanza di Costanza, perciò fu allestito un baldacchino al centro della piazza di [[Jesi]], dove l'imperatrice partorì pubblicamente, al fine di fugare ogni dubbio sulla nascita dell'erede al trono.<ref>"«Quando la 'mperatrice Costanza era grossa di Federigo, s'avea sospetto in [[Sicilia|Cicilia]] e per tutto il reame di [[Puglia]], che per la sua grande etade potesse esser grossa; per la qual cosa quando venne a partorire fece tendere un padiglione in su la piazza di Palermo e mandò bando che qual donna volesse v'andasse a vederla; e molte ve n'andarono e vidono, e però cessò il sospetto"». [[Giovanni Villani]], ''[[Nova Cronica]]'', [[:s:Nuova Cronica/Libro sesto#XVI|VI, 16]]</ref>
 
Costanza, che prima del battesimo del figlio lo avrebbe chiamato inizialmente col nome matronimico di Costantino<ref>Secondo uno dei massimi studiosi ''federiciani'', il tedesco [[Norbert Kamp]] (cfr.: N. Kamp, Federico II di Svevia ecc., op. cit.) la notizia sarebbe dovuta a ''fonti posteriori'', da ritenere poco attendibili; in realtà, come testimoniato sin dal 1195, i genitori si erano orientati verso i nomi di ''Ruggero'' o ''Federico'', portati dai celebri nonni del bimbo: prevalse alla fine il nome di casa [[Hohenstaufen]], anche se poi, durante il battesimo, a quello di ''Federico'' venne cumulato anche il nome di ''Ruggero''.</ref>, portò il neonato a [[Foligno]], città dove Federico visse i suoi primissimi anni, affidato alla duchessa di [[Urslingen]], moglie del [[duca di Spoleto]] [[Corrado di Urslingen|Corrado]], uomo di fiducia dell'imperatore. Poi partì immediatamente alla volta della Sicilia per riprendere possesso del regno di famiglia, poco prima riconquistato dal marito. Qualche tempo più tardi, nella [[battesimo|cerimonia battesimale]], svoltasi nella [[Cattedrale di San Rufino]] in [[Assisi]], in presenza del padre Enrico, il nome del futuro sovrano venne meglio precisato e definito in quello, "''in auspicium cumulande probitatis''", di '''Federico Ruggero'''; "Federico" per indicarlo come futura guida dei principi germanici quale nipote di [[Federico Barbarossa]], "Ruggero" per sottolinearne la legittima pretesa alla corona del Regno di Sicilia quale nipote anche di [[Ruggero II di Sicilia|Ruggero il Normanno]]. Quella fu la seconda e ultima occasione in cui Enrico VI vide il figlio.
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Nell'ottobre [[1199]], [[Marcovaldo di Annweiler]]<ref>[[Marcovaldo di Annweiler]] (in tedesco ''Markwald von Annweiler'') non apparteneva alla nobiltà ma alla casta dei funzionari del governo.</ref>, per volere di [[Filippo di Svevia]], zio paterno di Federico, s'impadronì della Sicilia per averne la reggenza e prese su di sé anche la custodia del giovane, sottraendola a Gualtiero di Palearia e, quindi, al tutoraggio di Innocenzo III, in aperto contrasto col Papa e col suo paladino in Sicilia, [[Gualtieri III di Brienne]]; ciononostante, Marcovaldo non privò Federico della tutela dei suoi maestri. Il Papa accusò Gualtiero di Palearia di tradimento quando suo fratello Gentile di Manoppello [[Consegna delle verghe|consegnò]] Federico, assieme alla città di Palermo, a Marcovaldo. Nel 1202 Gualtiero di Palearia guidò una spedizione, unitamente al conte [[Diopoldo di Acerra]], contro il pretendente al trono Gualtieri di Brienne, il quale, a sua volta, dopo la morte di Marcovaldo, consegnò Federico a [[Guglielmo di Capparone]], successore alla reggenza di Marcovaldo. Diopoldo liberò Federico da Capparone nel 1206 e lo riconsegnò alla custodia di Gualtiero di Palearia.
 
Guglielmo Francesco, Gentile di Manoppello e un [[imam]] musulmano, rimasto sconosciuto alla storia, furono i precettori di Federico sino al 1201, quando Guglielmo Francesco fu costretto ad abbandonare la Sicilia; tornò a essere il maestro di Federico dal 1206 al 1209, anno dell'emancipazione del giovane. Nel periodo tra il 1202 e il 1206, in cui fu sotto la custodia di Guglielmo, Federico II visse probabilmente nel [[Palazzo dei Normanni|Palazzo reale]]: è probabile che il giovane re abbia ricevuto nel palazzo dei suoi avi una buona educazione e un'istruzione adatta al suo rango. La tesi secondo la quale Federico II si sarebbe aggirato per i vicoli e i mercati di Palermo, che gli avrebbero offerto molteplici stimoli in una sorta di autoformazione, è invece frutto della fantasia di autori moderni<ref>Stürner, 1998, p. 109.</ref>; ugualmente non è attendibile la notizia del ''Breve Chronicon de rebus Siculis'', secondo la quale il giovane re avrebbe in questo periodo addirittura sofferto la fame, avrebbe vagato per le strade di Palermo ricevendo il sostentamento dai sudditi<ref>Stürner, 1998, p. 106.</ref><ref>"«Che Federico II sotto la custodia di G. non si trovasse male risulta indirettamente dalla lettera che il pontefice gli indirizzò, esprimendo la propria gioia per il fatto che crescesse costantemente sia in età sia in sapienza e capacità. Il papa era ben informato sulla situazione a Palermo da Tommaso da Gaeta, giustiziere di corte altamente stimato dalla Curia pontificia, che nell'autunno del 1204 si trovava a Roma come inviato di Guglielmo. Nel settembre 1206 Innocenzo III scrisse di nuovo direttamente a Federico II mostrandosi molto contento del fatto che, avvicinandosi all'età della pubertà, crescesse così bene e ‒ come scriveva il papa ‒, per le sue virtù e la sua sapienza apparisse davanti a Dio e agli uomini molto più maturo di quanto la sua età anagrafica lasciasse presagire."» (''Federiciana'', 2005).</ref>.
 
=== Al governo del regno di Sicilia ===
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In Germania, nel frattempo, dopo la morte di Enrico VI nessuno era più riuscito a farsi incoronare imperatore. Due erano i rivali che puntavano al titolo imperiale vacante: il primo era appunto Filippo di Svevia, fratello minore di Enrico VI, che fu eletto re dai principi tedeschi nel [[1198]] e incoronato a Magonza; il secondo era [[Ottone IV di Brunswick]], figlio minore del [[duca di Baviera]] e Sassonia [[Enrico il Leone]], che fu eletto anch'egli re da alcuni principi tedeschi che si opponevano all'elezione dello [[Staufer]] e incoronato ad Aquisgrana.<ref>Stürner 1998, p. 79.</ref> Ottone poteva contare sull'appoggio del [[re d'Inghilterra]] [[Giovanni d'Inghilterra|Giovanni I]], che era suo zio, e di [[Innocenzo III]], che voleva evitare di vedere uno svevo imperatore per scongiurare una rivendicazione di quest'ultimo del [[regno di Sicilia]]; Filippo, a sua volta, poteva contare sull'appoggio del [[re di Francia]] [[Filippo II Augusto]]. La situazione si risolse solo nel [[1208]] quando Filippo di Svevia fu assassinato per motivi personali e Ottone ebbe campo libero. Egli fece numerose concessioni al papato, in particolare la corona doveva rinunciare all'ingerenza nelle elezioni dei prelati e accettare senza limiti il diritto d'appello del pontefice negli affari ecclesiastici; inoltre si sarebbe posto fine ad abusi quali l'appropriazione delle rendite delle diocesi vacanti.<ref>Abulafia 1990, p. 87.</ref> Il 4 ottobre del [[1209]], a Roma, Innocenzo III incoronò imperatore [[Ottone IV di Brunswick|Ottone IV]]. Nonostante le numerose promesse di Ottone IV, lo stesso imperatore, richiamandosi all'antiquum ius imperii, rivendicava il dominio sull'Italia intera; così egli sostò per circa un anno nell'[[Italia centrale]], cosa che preoccupò non poco Innocenzo III che proprio in quei territori stava cercando di estendere lo [[Stato della Chiesa]]. [[Riccardo di San Germano]] ci dice che:
 
{{Citazione|Il detto imperatore Ottone, attratto da Diopoldo e da Pietro conte di Celano, […] gettatosi dietro le spalle il giuramento che aveva fatto alla chiesa di Roma, entra nel regno dalla parte di Rieti e sotto la guida di coloro che vi avevano prestato il giuramento di fedeltà, vi giunge attraverso la Marsia e quindi attraverso il Comino; [...] Il papa Innocenzo lo scomunicò e pose l'interdetto alla chiesa di Capua, perché aveva osato celebrare alla sua presenza e nell'ottava di S. Martino scomunica anche tutti i suoi fautori|[[Riccardo da San Germano]], ''Chronicon'', a.D. 1210, pp. 53-54}}
 
[[Salimbene de Adam]] aggiunge:
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Lasciata Roma, Federico giunse per nave a [[Genova]] dove fu ben accolto, specialmente dalla potente famiglia [[Doria]]. Si apriva a quel punto il tratto più pericoloso del viaggio attraverso l'Italia settentrionale dove città che parteggiavano per Federico (come [[Pavia]] e [[Cremona]]) si mischiavano a quelle che sostenevano Ottone (come [[Milano]], [[Lodi]] e [[Piacenza]]). Singolare coincidenza è il fatto che, mentre lo svevo attraversava il Nord Italia, lo stesso territorio veniva percorso nel frattempo anche dalla famosa [[Crociata dei fanciulli]].
 
Federico, nel suo itinerario, attraversando il territorio di Pavia al momento di passare nel territorio di Cremona scampò fortunosamente alla cattura da parte di alcune truppe milanesi guadando il fiume [[Lambro]].<ref name=":0">Horst, 1981, paggpp. 52-55.</ref> Passò quindi per [[Mantova]] e [[Verona]], risalendo poi la valle dell'[[Adige]] giunse a [[Trento]]. Poiché il signore di [[Merano]], che presidiava il [[Brennero]], simpatizzava per Ottone, Federico ed il suo seguito furono costretti a passare per l'[[Engadina]] superiore giungendo alla città di [[Coira]], appartenente al [[Ducato di Svevia]] e prima città tedesca a rendergli omaggio.<ref name=":0" /> Il vescovo di Coira, Arnoldo, lo scortò fino a [[San Gallo]] dove 300 cavalieri si unirono al seguito dell'Hohenstaufen.<ref name=":0" />
 
Ottone dal nord della Germania fece sapere che si stava approssimando al [[Lago di Costanza]], accompagnato da un esercito, accampandosi ad [[Überlingen]] in attesa di un trasporto. Federico intanto era accampato fuori dalle mura della città di [[Costanza (Germania)|Costanza]] il cui vescovo dichiarava che avrebbe aperto solamente al legittimo imperatore. Il giovane svevo non poteva ancora permettersi uno scontro con Ottone, vista la disparità di risorse militari disponibili, quindi se non fosse riuscito a ripararsi in città avrebbe dovuto fuggire. La situazione si sbloccò grazie al vescovo di Coira e all'abate di San Gallo, che dichiararono il proprio sostegno allo svevo, oltre che a Berardo di Castagna, il quale in veste di legato papale lesse l'atto di scomunica e di destituzione di [[Ottone IV di Brunswick|Ottone IV]] firmato da papa [[Papa Innocenzo III|Innocenzo III]]. A settembre del [[1212]], Federico entrò quindi trionfalmente nell'importante città anticipando l'arrivo del suo avversario di poche ore.<ref name=":0" />
 
Ottone provò allora ad assediare [[Haguenau]] ma fu scacciato dal signore di [[Lotaringia]] rifugiandosi nella fedele città di [[Colonia (Germania)|Colonia]].<ref name=":(">Horst, 1981, paggpp. 56-57.</ref>
 
Federico indisse una prima piccola dieta a [[Basilea]], dove si recò anche il vescovo di Strasburgo accompagnato da cinquecento cavalieri, a cui presero parte e gli resero omaggio molti esponenti dell'antica nobiltà sveva tra i quali i conti di [[Absburgo]] e [[Kiburgo]].<ref name=":("/>
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Tornato nel 1220 in Sicilia, che aveva lasciato otto anni prima, Federico poté dedicarsi a consolidare le istituzioni nel Regno, indicendo due grandi assise a [[Capua]] e a [[Messina]] ([[1220]]-[[1221]]). In quelle occasioni stabilì, rivendicando quanto accaduto in passato, che ogni diritto regio confiscato precedentemente a vario titolo dai feudatari venisse immediatamente reintegrato al sovrano. Introdusse inoltre il [[diritto romano]], nell'accezione giustinianea rielaborata dall'[[Università di Bologna]] su impulso di suo nonno il Barbarossa.
 
A [[Napoli]] fondò l'[[Università degli Studi di Napoli Federico II|Università]] nel [[1224]], dalla quale sarebbe uscito il ceto di funzionari in grado di servirlo, senza che i sudditi a lui fedeli dovessero recarsi fino a [[Bologna]] per studiare. Favorì anche l'antica e gloriosa [[scuola medica salernitana]].<ref>Cardini-Montesano, ''Storia Medievale'', 2006, pagp. 285.</ref>
 
Il tentativo di Federico di accentrare l'amministrazione del Regno e ridurre il potere dei feudatari locali (soprattutto ordinando la distruzione delle fortificazioni che potessero rappresentare un potenziale pericolo per il potere centrale) incontrò molte resistenze nella parte continentale del regno, tra queste principalmente quella del conte di [[Bojano]], [[Tommaso da Celano (conte)|Tommaso da Celano]], la cui contea, unita con i possedimenti originali in [[Marsica]], rappresentava il feudo di maggiore estensione del regno.
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{{vedi anche|Papa Gregorio IX}}
 
Negli anni in cui Federico si dedicò a riordinare il Regno di Sicilia, eluse le continue richieste del [[papa Onorio III]] di intraprendere la crociata promessa. Per dilazionare ulteriormente il suo impegno, Federico stipulò col papa un trattato ([[Dieta di San Germano]], nel luglio [[1225]]), con il quale si impegnava a organizzare la crociata entro l'estate del [[1227]], pena la [[scomunica]]. In realtà il vero obiettivo di Federico era l'unione fra Regno di Sicilia e Impero, nonché l'estensione del potere imperiale all'Italia. In questo disegno rientrò il suo tentativo di recuperare all'impero la [[marca di Ancona]] e il [[ducato di Spoleto]], rientranti nella sovranità papale. Inoltre in Sicilia procedette all'occupazione di cinque vescovadi con sede vacante, alla confisca dei beni ecclesiali e alla cacciata dei legati pontifici che si erano colà recati per la nomina dei vescovi, pretendendo di provvedere direttamente alle nomine. Il papa era molto adirato con Federico sia perché non aveva adempiuto ai patti di tenere separati Impero e Regno di Sicilia, sia perché non rispettava la libertà del clero nei suoi territori intromettendosi sistematicamente nell'elezione dei vescovi, sia, infine, perché non si decideva a partire per la crociata<ref>Cardini-Montesano, ''Storia Medievale'', 2006, pagp. 286.</ref>: durante la fallimentare crociata del [[1217]]-[[1221]] (la [[Quinta crociata|quinta]]) Federico si era ben guardato dal prestare assistenza ai crociati, avendo più a cuore la pace con il [[Sultano]] [[Ayyubidi|ayyubide]] d'Egitto [[al-Malik al-Kamil]], i cui territori erano molto vicini alla Sicilia e con il quale manteneva buoni rapporti, con frequenti contatti diplomatici.
 
==== I preparativi, la malattia e la scomunica ====
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Nell'agosto [[1225]] Federico inviò a Gerusalemme venti galee per accompagnare in Italia la tredicenne Jolanda col padre<ref>La spedizione, guidata da Enrico conte di Malta, comprendeva Lando di Anagni, vescovo di Reggio Calabria, Giacomo vescovo di Patti e Richiero vescovo di Melfi (Riccardo di San Germano, ''Cronaca''). Ad Acri, Giacomo di Patti sposò Isabella e Federico per procura.</ref>. Le galee attraccarono al [[porto di Brindisi]] in ottobre e già il 9 novembre 1225 nella [[cattedrale di Brindisi|cattedrale]] il vescovo brindisino unì in matrimonio Federico e Jolanda.<ref>Prawer, p. 549</ref> Le cronache del tempo indulgono sulla descrizione degli esotici festeggiamenti, avvenuti nel [[Castello di Oria]]<ref>[http://www.castellodioria.it/la-storia/content/4/1/il-castello.htm Castello di Oria | La Storia | Il castello<!-- Titolo generato automaticamente -->] {{webarchive|url=https://web.archive.org/web/20141022072506/http://www.castellodioria.it/la-storia/content/4/1/il-castello.htm |data=22 ottobre 2014 }}</ref>, che seguirono alla cerimonia, nello specifico sul particolare che, la prima notte di nozze, l'imperatore avrebbe trascurato la giovanissima e impreparata sposa per sollazzarsi con un harem di bellezze orientali e sulla sdegnata reazione del suocero Giovanni di Brienne, da un lato offeso dal comportamento del genero e dall'altro esautorato prima del previsto dell'autorità regia.
 
L'unione con Federico II era soprattutto un accordo diplomatico, anche perché nello stesso anno, forse proprio al suo matrimonio con Jolanda, Federico aveva conosciuto [[Bianca Lancia]], suo grande amore, che divenne sua amante prima e sua moglie dopo. Federico, quindi, contraendo il matrimonio con Jolanda, divenne subito reggente di Gerusalemme; alla morte di costei, conservò la reggenza per la minorità del figlio [[Corrado IV di Svevia|Corrado]] (1228); poi si autoproclamò re ([[1229]]) contro la volontà del papa. Jolanda morì appena sedicenne, dieci giorni dopo aver dato alla luce Corrado<ref>''(Elisabeth) mater autem sua X die postquam peperit eum (Conradum), apud eandem civitatem (Andriam) migravit ad Dominum'' (''Breve chronicon de rebus siculi'', ed. W. Stuerner, Hannover 2004, p. 80.</ref>.
 
Nel frattempo, a causa delle mire di controllo sull'Italia da parte di Federico, era risorta nel nord Italia la [[Lega Lombarda]]: nell'aprile [[1226]] Federico convocò la [[Dieta di Cremona]] con il pretesto di preparare la crociata ed estirpare le dilaganti eresie, ma questa non poté avere luogo per l'opposizione della Lega Lombarda, che impedì l'accesso ai delegati, mentre Federico non aveva al nord forze sufficienti per contrastare i Comuni ribelli.
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Nel periodo di pace e distensione che seguì gli eventi precedenti, Federico volle sistemare alcune questioni giuridiche nei suoi regni, con particolare riguardo a quello siciliano. Nel [[1231]] Federico convocò una Dieta a [[Ravenna]] nella quale fece riaffermare l'autorità imperiale sui Comuni, ma ciò ebbe poca influenza sugli eventi successivi. Sempre dal [[1231]] Federico cominciò inoltre ad emettere una nuova valuta per il suo regno, l'[[Augustale]], una [[moneta]] d'[[oro]] coniata dalle [[Zecca (moneta)|zecche]] di [[Messina]] e di [[Brindisi]].
 
Giunto a [[Melfi]] nel 1231, l'imperatore, accolto calorosamente dalla popolazione locale, pernottò nel [[castello di Melfi|castello]] costruito dai suoi ascendenti normanni, cui apportò in seguito alcuni importanti restauri<ref>Sulla cinta muraria del feudo (precisamente sulla ''[[Melfi#Porta Venosina|Porta Venosina]]'') fece apporre una lapide che glorificava la grandezza della città, anche se anni dopo questa lapide fu sostituita dal principe [[Giovanni Caracciolo]] con quella visibile al giorno d'oggi.</ref>. Federico II, al termine dell'[[assise]] svoltasi in giugno, con l'ausilio di [[Pier della Vigna]], emanò nel settembre [[1231]] il ''Liber Augustalis'' (note anche come ''[[Costituzioni di Melfi]]''), tra cui le [[Constitutiones Regni Siciliarum]], codice legislativo e giudiziario del Regno di Sicilia.
Queste norme miravano anche a limitare i poteri e i privilegi delle famiglie nobiliari e dei prelati, accentrando il potere nelle mani dell'imperatore e a rendere partecipi anche le donne per quanto riguardava la successione dei feudi. Ne doveva nascere uno Stato centralizzato, burocratico e tendenzialmente livellatore, con caratteristiche che gli storici hanno reputato "moderne".<ref>Cardini-Montesano, ''Storia Medievale'', 2006, pagp. 287.</ref>
 
Sempre nelle Costituzioni di Melfi venne definita la suddivisione del regno in ''[[Giustizierato|Giustizierati]]'' che designavano ogni distretto amministrativo in cui era suddiviso il [[Regno di Sicilia|regno]], governato dal [[giustiziere (funzionario)|giustiziere]], funzionario di nomina imperiale che rappresentava l'autorità regia a livello provinciale. Un'attività di revisione e integrazione delle norme avvenne poi nella assise di [[Siracusa]] del 1233, e l'anno successivo a Lentini e Messina<ref>{{cita web|url=http://www.treccani.it/enciclopedia/novelle_(Federiciana)/|titolo=Enciclopedia Federiciana}}</ref>
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Nel maggio dello stesso anno alcuni violenti tumulti, organizzati in [[Roma]] dal [[Senatore di Roma|Senatore]] (cioè ''governatore'') di [[Roma]] [[Savelli (famiglia)|Luca Savelli]] e da varie famiglie [[ghibelline]] ostili a Gregorio IX, costrinsero quest'ultimo a fuggire in Umbria. Federico, cui faceva molto comodo politicamente apparire come il difensore della Chiesa, accorse in armi e si unì, a [[Montefiascone]] nell'agosto del [[1234]], alle milizie pontificie guidate dal cardinale [[Raniero Capocci]].
 
L'armata così costituita andò ad assediare, alla fine di agosto dello stesso 1234, l'esercito romano del Savelli, che si era asserragliato nella rocca di Respampani, una decina di chilometri a sud di [[Viterbo]]. Dopo una ventina di giorni, peraltro, l'imperatore abbandonò l'assedio, lasciando il comando al cardinale viterbese che, nonostante alcune difficoltà<ref>I maggiori problemi vennero dall'esercito tedesco che, non avendo più la guida dell'imperatore, si mostrò titubante ed insicuro, arretrando davanti al nemico. Raniero a quel punto guidò con determinazione i viterbesi, presenti in gran numero nelle schiere papali, ad un coraggioso contrattacco, che riportò in linea anche i tedeschi, fino alla vittoria; cfr. C. Pinzi, op. cit.. Peraltro, il comportamento di Federico II e la sua partenza prematura dal luogo dello scontro potrebbero essere stati alla base dell'ostilità che nacque, da quel momento tra l'imperatore ed il porporato, anche perché -secondo quello che scrive ancora il Pinzi- durante la sua permanenza a Respampani il sovrano svevo si disinteressò palesemente dell'assedio, dedicandosi alla cura dei suoi levrieri ed a ripetute battute di caccia con i falchi. Questi fatti alimentarono in Raniero il sospetto che Federico, in realtà, non volesse la sconfitta dei romani.</ref>, riuscì ad infliggere ai romani una dura sconfitta, costringendoli a sottoscrivere, nel marzo [[1235]], pesanti accordi di pace con il pontefice. L'ambiguo comportamento in questa vicenda di Federico II, che forse perseguiva un preciso disegno politico ostile al papa, aumentò ulteriormente le già esistenti distanze tra l'imperatore, da una parte, e Gregorio IX con il suo fedelissimo cardinale, dall'altra: da quel momento non si contarono più i momenti di attrito tra le due parti che culminarono con una pesante [[scomunica]], scagliata dal papa contro Federico II in occasione della [[domenica delle Palme]]<ref>Secondo C.Pinzi (op. cit.) la scomunica sarebbe stata scagliata durante le funzioni del [[Giovedì santo]]. Il noto storico gesuita Hans Wolter sostiene addirittura che Gregorio IX avrebbe scagliato conto Federico II la scomunica il 20 marzo, [[domenica delle Palme]], reiterandola il 24 marzo, [[giovedì santo]], cfr. {{Cita libro|Hubert|Jedin|wkautore=Hubert Jedin|Storia della Chiesa|JakaJaca Book|1999}}, Civitas Medievale, vol.V/1, articolo di Hans Wolter S.I.</ref> del [[1239]]. Il Capocci stesso divenne da quel momento un suo mortale nemico<ref>Si veda in proposito l'articolo di [[Norbert Kamp]]:''Raniero Capocci'' in ''Dizionario Biografico degli Italiani'' {{Treccani [http://www.treccani.it/enciclopedia/|raniero-capocci_%28Dizionario(Dizionario-Biografico%29/ )|CAPOCCI, Raniero|autore=[[Norbert inKamp]]|accesso=14 Dizionarionovembre Biografico – Treccani]2018}}</ref>.
 
Sempre nel 1235, Federico emise la cosiddetta ''[[Bolla d'oro di Rimini]]'' con cui riconobbe all'[[Ordine Teutonico]] la sovranità sulla [[Terra di Chełmno]] (''Culmland'', ''Culmerland'' o in tedesco ''Kulmerland''), una regione della [[Polonia]] centrale ad Est del fiume [[Vistola]], e su tutte le terre che i membri dell'Ordine fossero riusciti a conquistare ai Prussiani<ref name="Fridericiana">{{Treccani|ermanno-di-salza_(Federiciana)/|Ermanno di Salza|accesso=14 novembre 2018}}</ref>. Centrale nel documento, oltre al riconoscimento per l'Ordine Teutonico di tutti i diritti di sovranità sui territori in questione (tra cui quello di emanare leggi e coniare moneta), è anche l'assegnazione all'Ordine del compito di conquista di una terra ancora pagana, in vista della sua [[evangelizzazione]].
 
==== La [[Battaglia di Cortenuova sull'Oglio|battaglia di Cortenuova]] ====
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=== Di nuovo in lotta col papato ===
==== La questione sarda e la nuova scomunica ====
L'anno successivo il figlio [[Enzo di Sardegna|Enzo]] (o Enzio) sposò [[Adelasia di Torres]], vedova di [[Ubaldo Visconti]], giudice di [[Giudicato di Torres|Torres]] e [[Gallura]] e Federico lo nominò [[Re di Sardegna]]. Ciò non poteva essere accettato dal papa, visto che la [[Sardegna]] era stata promessa in successione al papa dalla stessa Adelasia. Alle rimostranze del pontefice, Federico rispose nel marzo [[1239]] tentando di sollevargli contro la curia, ma il papa scagliò subito contro di lui la scomunica durante la [[settimana santa]]<ref>Sulla data esatta di questa scomunica gli storici sono in disaccordo tra il 20 marzo, [[domenica delle Palme]], indicato dal Kamp, e il 24 marzo, [[giovedì santo]], secondo il Pinzi; lo storico gesuita Hans Wolter sostiene, con una interessante indicazione, che Federico sarebbe stato scomunicato domenica 20 marzo e la scomunica sarebbe stata reiterata dal papa il successivo giovedì 24, durante i riti del giovedì santo. cfr. {{Cita libro|Hubert|Jedin|wkautore=Hubert Jedin|Storia della Chiesa|Jaka Book|1999}}, Civitas Medievale, vol.V/1, articolo di Hans Wolter S.I.</ref>, indicendo successivamente un concilio a Roma per la Pasqua del [[1241]]. Federico, per impedire lo svolgimento del Concilio che avrebbe confermato solennemente la sua scomunica, bloccò le vie di terra per [[Roma]] e fece catturare due cardinali e molti prelati, in viaggio per mare con navi della flotta genovese, da navi della flotta pisana guidate dal figlio Enzo, con una [[Battaglia dell'Isola del Giglio|battaglia navale]] avvenuta presso l'[[isola del Giglio]] (3 maggio [[1241]]). Le truppe imperiali giunsero alle porte di Roma, ma il 22 agosto [[1241]] l'anziano papa Gregorio IX morì<ref>"Colui che rifiutò la pace e le trattative e solo intese alla discordia, non doveva oltrepassare i confini dell'agosto (''augustus'') vendicatore: egli che operò a offesa dell'Augusto". (Elogio funebre di papa Gregorio pronunciato da Federico II).</ref> e Federico, dichiarando diplomaticamente che lui combatteva il papa ma non la Chiesa (egli era sempre sotto scomunica), si ritirò in Sicilia.
 
==== Il nuovo papa ====
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==== Il declino ====
[[File:Federico II Parma.jpg|thumb|upright=1.3|La disfatta di Vittoria, presso Parma (1248).]]
Papa Innocenzo IV decise di indire un Concilio per confermare la scomunica a Federico e far nominare un altro imperatore, rivolgendosi ai suoi nemici che in Germania erano numerosi. Giunto a [[Lione]]<ref>Per eludere la sorveglianza delle truppe imperiali che stazionavano pericolosamente vicino a Viterbo, Innocenzo si recò travestito a [[Civitavecchia]] ove si imbarcò su galee genovesi, transitò da Genova, sua patria originaria, e quindi giunse a Lione, città sotto il controllo del re di Francia.</ref> svolse un'intensa attività diplomatica presso i nobili tedeschi e indisse un [[Concilio di Lione I|Concilio]] che si aprì il 28 giugno [[1245]]. Inoltre, durante il concilio, il cardinale [[Raniero Capocci]], acerrimo nemico dell'imperatore che voleva allontanare ogni possibilità di accordo, fece circolare nella città francese due ''libelli'' da lui ispirati nei quali Federico veniva dipinto come un ''eretico'' e un ''anticristo''<ref>I titoli dei due ''libelli'' erano ''Aspidis nova'' e ''Iuxta vaticinium Ysaiae'' e in essi il Capocci si avvaleva di argomentazioni di difficile interpretazione e talora anche false; i libelli ebbero comunque grande successo tra i ''padri conciliari'' e contribuirono certo alla deposizione di Federico. V. [[Norbert Kamp]], ''Raniero Capocci'', op. cit.. Da notare come il Kamp, uno dei massimi studiosi ''federiciani'', attribuisca grande importanza alle azioni svolte da Raniero Capocci con autentico ''odio'', sia pure temperato da motivazioni mistiche, nei confronti di Federico: secondo lo studioso tedesco dietro la politica anti-sveva prima di [[Gregorio IX]], poi di [[Innocenzo IV]], vi sarebbe stato quasi sempre il cardinale viterbese.</ref>. Da notare che Lione, sebbene formalmente in [[Borgogna]], quindi di proprietà dell'imperatore, era fuori dal tiro del sovrano svevo ed era sotto la protezione del re di Francia.
 
Il concilio non solo confermò la scomunica a Federico, ma addirittura lo depose<ref>La ''deposizione'' dell'imperatore venne promulgata con una [[bolla papale]] e non con una ''deliberazione conciliare''.</ref>, sciogliendo sudditi e vassalli dall'obbligo di fedeltà, e invitò i nobili elettori tedeschi a proclamare un altro imperatore, bandendo contro Federico una nuova crociata. Non tutta la Cristianità però accettò quanto deliberato nel concilio, che si era tenuto in condizioni non troppo chiare. Il papa aveva finto fino all'ultimo di voler patteggiare con Federico e molti si domandarono se fosse giusto un provvedimento così grave contro l'imperatore in un momento in cui nuove minacce si affacciavano all'orizzonte (l'offensiva [[Mongoli|mongola]]).
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[[File:Tomb of Frederick II, Holy Roman Emperor - Cathedral of Palermo - Italy 2015.jpg|thumb|left|upright|Il sarcofago di Federico II nella [[Cattedrale di Palermo]].]]
 
Stando al racconto del cronista inglese [[Matthew Paris]] († 1259) – non confermato però da altre fonti&nbsp;– l'imperatore, sentendosi in punto di morte, volle indossare l'abito [[cistercense]] e dettare così le sue ultime volontà nelle poche ore di lucidità. Il testamento, dettato alla presenza dei massimi rappresentanti dell'Impero, reca la data del 7 dicembre 1250, secondo alcune fonti<ref>{{cita libro | nome= Vittorio| cognome= Gleijeses| titolo= La storia di Napoli dalle origini ai nostri giorni| anno= 1974| editore=Napoli| città= Societa Editrice Meridionale|p=264}}</ref><ref>{{cita libro | nome= Mario| cognome= Bernabò Silorata| titolo= Federico II di Svevia: saggezza di un imperatore| anno= 1993| editore=Convivio | città= Firenze|p=14}}</ref><ref>{{cita libro | nome= Renato| cognome=Russo | titolo= Federico II e la Puglia| anno= 2000| editore=Editrice Rotas | città= Barletta|p=169}}</ref>. Tuttavia, da recenti ultimi studi<ref>{{Treccani|testamenti-di-federico-ii_(Federiciana)|I testamenti di Federico II|autore=TTheoTheo Kölzer}}</ref>, sarebbero almeno due i testamenti. La sua fine fu rapida e sorprese i contemporanei, tanto che alcuni cronisti anti-imperiali diedero adito alla voce, storicamente infondata, secondo cui l'imperatore era stato ucciso da Manfredi, il figlio illegittimo che in effetti gli successe in Sicilia. Una nota miniatura raffigura persino il [[Manfredi di Sicilia|principe]] mentre soffoca col cuscino il padre morente.
 
La salma di Federico fu sommariamente imbalsamata, i funerali si svolsero nella sede imperiale di Foggia, per sua espressa volontà il cuore venne deposto in un'urna collocata nel Duomo, la sua salma omaggiata dalla presenza di moltitudini di sudditi venne [[Esposizione pubblica della salma|esposta]] per qualche giorno; fu poi trasportato a Palermo, per essere tumulato in [[duomo di Palermo|Cattedrale]], entro il sepolcro di [[porfido rosso antico]], come voleva la tradizione normanno-sveva, accanto alla madre Costanza, al padre [[Enrico VI di Svevia|Enrico VI]] e al nonno [[Ruggero II di Sicilia|Ruggero II]].
 
Recentemente il sepolcro è stato riaperto<ref>{{cita newstesto|autore=Barbara Saporiti|url=http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1998/11/03/violata-dalla-scienza-la-tomba-di-federico.html|titolo=Violata dalla Scienza la tomba di Federico II |pubblicazione=repubblica.itLa Repubblica|data=3 novembre 1998|accesso=2918-07-25|lingua=|formato= luglio 2018}}</ref>. Federico giace sul fondo sotto altre due spoglie (quelle di [[Pietro III d'Aragona]] e di una donna dell'età di quasi 30 anni<ref>{{cita newstesto|autore=Stella Cervasio|url=http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2001/03/30/federico-ii-irrisolto-il-mistero-del-volto.html|titolo=Federico II, irrisolto il mistero del volto |pubblicazione=repubblica.itLa Repubblica|data=30 marzo 2001|accesso=2918-07-25|lingua=|formato= luglio 2018}}</ref>, {{senza fonte|forse la moglie di quest'ultimo e nipote di Federico}}). La tomba era stata già ispezionata nel tardo [[XVIII secolo]]: il corpo, nel Settecento, era mummificato e in buone condizioni di conservazione; ne risulta che l'imperatore sia stato inumato con il globo dorato, la spada, calzari di seta, una [[dalmatica]] ricamata con iscrizioni [[cufico|cufiche]] e una corona a cuffia.
 
La tomba imperiale custodita nella Cattedrale era destinata in origine al nonno [[Ruggero II di Sicilia|Ruggero II]], che l'aveva voluta come suo sarcofago per il [[Duomo di Cefalù]]. Il sepolcro inoltre reca i simboli dei quattro [[evangelisti]] e la corona regia.
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== L'eredità ==
[[File:Frederick II and eagle.jpg|miniatura|Ritratto di Federico II con il falco dal suo trattato ''[[De arte venandi cum avibus]]'']]
Federico fu chiamato dai suoi contemporanei ''Stupor Mundi'' (Stupore del Mondo), appellativo che deriva dalla sua inestinguibile curiosità intellettuale, un eclettismo che lo portò ad approfondire la [[filosofia]], l'[[astrologia]] (consigliere molto ascoltato fu l'astrologo [[Guido Bonatti]]), la [[matematica]] (ebbe corrispondenza e fu in amicizia con il matematico pisano [[Leonardo Fibonacci]], che gli dedicò il suo ''Liber quadratorum''), l'[[algebra]], la [[Medicina medievale|medicina]] e le [[scienze naturali]] (impiantò a Palermo persino uno zoo, famoso ai suoi tempi, per il numero di animali esotici che conteneva); scrisse anche un libro, un manuale sulla [[falconeria]], il ''[[De arte venandi cum avibus]]'' che fu uno dei primi manoscritti con disegni in tema naturalistico. Si dice che Federico conoscesse ben nove lingue e che fosse un governante molto moderno per i suoi tempi, visto che favorì la [[scienza]]<ref>[{{Cita testo |url = http://www.antoniothiery.it/federico%20e%20la%20cultura%20scientifica.htm ANTONIO|autore=Antonio THIERY,Thiery ''|titolo=Intellectual Life at the Court of Frederick II Hohenstaufen'', STUDIES|pubblicazione=Studies INin THEthe HISTORYHistory OFof ARTArt |volume=44, Center for Advanced Study in the Visual Arts, Symposium Papers XXIV, edited by |curatore=William Tronzo, |editore=University Press of New England, Hanover and London].|città=Hannover-Londra}}</ref> e professò punti di vista piuttosto avanzati in [[economia]].
 
Alla sua corte soggiornarono uomini di gran cultura di quei tempi quali il poeta errante [[Tannhäuser]], [[Michele Scoto]], che tradusse alcune opere di [[Aristotele]], l'ebreo francese [[Jacob Anatoli]], traduttore di testi scientifici arabi che diffuse la conoscenza in Europa di testi di tradizione araba (in particolare le opere di [[Averroè]]) nonché del pensiero di [[Mosè Maimonide]], l'arabo cristiano [[Teodoro da Antiochia]] e [[Juda ben Salomon Cohen]], grande enciclopedista ebreo.
 
Da una corrispondenza fra Federico e il [[Filosofia islamica|filosofo islamico]] [[Ibn Sab'in]] nacque il testo ''[[Questioni siciliane]]'' (''Al-masāʾil al-Ṣiqilliyya''), redatto dal filosofo per rispondere a cinque quesiti che gli erano stati posti dal regnante svevo.<ref>{{Cita libro Treccani|autore = Bruna Soravia |url_capitolo = http://www.treccani.it/enciclopedia/ibn-sabin_(Federiciana)/ |capitolo = Ibn Sa῾bīn |titolo autore=Bruna “[[Enciclopedia federiciana|Federiciana]]” |città = Roma |editore = [[Istituto dell'Enciclopedia Italiana]] Soravia|anno = 2005 |accesso = 16 dicembre 2015}}</ref>
 
=== Corte e amministrazione di Federico II ===
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== Fra mito e leggenda ==
{{Citazione|Qui con più di mille giaccio:<br />qua dentro è 'l secondo Federico|parole di [[Farinata degli Uberti]], posto nel girone degli eretici o degli epicurei, [[Dante Alighieri]], [[Inferno - Canto decimo|Inf. X]] 118-119}}
qua dentro è 'l secondo Federico|parole di [[Farinata degli Uberti]], posto nel girone degli eretici o degli epicurei, [[Dante Alighieri]], [[Inferno - Canto decimo|Inf. X]] 118-119}}
La intensa attività politica e militare, l'innovazione portata nella sua legislazione del Regno di Sicilia, l'interesse per scienze e letteratura fecero di Federico un personaggio mitico, talvolta attirando una serie di leggende che in parte resistettero alla sua scomparsa. L'amicizia praticata nei confronti degli [[arabi]] (ebbe a lungo una Guardia personale costituita da guerrieri arabi, e lui stesso parlava correntemente tale lingua) unitamente alla lotta contro il [[papa Gregorio IX]], che arrivò perfino a definirlo anticipatore dell'[[Anticristo]], fecero crescere attorno a lui un alone di mistero e di leggende.
 
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* ''Paradiso''
{{Citazione|Quest'è la luce della [[Costanza d'Altavilla|gran Costanza]]<br />che del secondo vento di [[Hohenstaufen|Soave]]<br />generò il terzo e l'ultima possanza.| Divina Commedia, [[Paradiso - Canto terzo|Par. III]] 118-120, [[Piccarda Donati]]}}
:Dante si riferisce al fatto che Federico fu il terzo e ultimo imperatore appartenente alla Casa di Svevia.
 
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{{vedi anche|Stemma degli Hohenstaufen}}
[[File:Erbeutung des Mailänder Carroccios.jpg|thumb|upright=1.4|Cattura del [[Carroccio]] dopo la [[battaglia di Cortenuova]] ([[miniatura]] dalla ''[[Nova Cronica]]'').]]
La prima o, comunque, una delle prime [[Figura araldica|figure araldiche]] adottate dagli Hohenstaufen per le proprie insegne fu quella del [[Leone (araldica)|leone]], o, meglio, dei leoni [[Passante (araldica)|passanti]], poiché, in seguito a evoluzioni e implementazioni degli elementi componenti l'arme staufica, il numero degli [[animali araldici]] fu fissato a tre. Essi, di [[Smalto (araldica)|smalto]] [[Nero (araldica)|nero]] o, in alternativa, [[Rosso (araldica)|rosso]], erano disposti [[in palo]] in [[Campo (araldica)|campo]] d'[[Oro (araldica)|oro]] o, in talune versioni, d'[[Argento (araldica)|argento]]<ref>{{cita|Angelo Scordo|pp. 108-111}}.</ref><ref>{{cita|Gianantonio Tassinari|pp. 283-300}}.</ref>.
 
A rappresentare la dignità imperiale degli Staufen, fu introdotta, poi, un'ulteriore insegna, ovvero un'[[Aquila (araldica)|aquila]] al volo [[abbassato]] di nero posta in campo d'oro o d'argento, con il primo [[Metallo (araldica)|metallo]] che finì con il prevalere sul secondo: siffatta arme doveva esprimere la continuità tra l'[[Impero romano]] e l'Impero germanico<ref>{{cita|Angelo Scordo|pp. 113-127}}.</ref><ref>{{cita|Gianantonio Tassinari|pp. 300-317}}.</ref>.
 
L'aquila costituì «una vera e propria impresa personale» per Federico II: molteplici, difatti, sono le rappresentazioni del [[rapace]] nell'iconografia legata all'imperatore siciliano<ref name="Scordo114">{{cita|Angelo Scordo|p. 114}}.</ref>. Indicative, al riguardo, sono le numerose aquile, diversamente scolpite, poste a ornamento di mura o altri [[Elemento architettonico|elementi architettonici]], rinvenibili negli ''edifici federiciani'', come nel caso del castello di Barletta<ref name="Tassinari316">{{cita|Gianantonio Tassinari|p. 316}}.</ref>. Particolarmente significative, inoltre, appaiono le opere che riproducono l'aquila nell'atto di straziare, con i propri [[Artiglio|artigli]], altri animali, come serpenti o lepri, deputati a rappresentare i nemici dell'Impero<ref name="Scordo114"/>. Esemplificativa, in tal senso, è l'[[edicola]] sovrastante l'ingresso principale del Castello Ursino di Catania: la [[scultura]] posta al suo interno riproduce un'aquila che tiene tra gli artigli una lepre esanime<ref>{{cita|Angelo Scordo|pp. 128 e 144}}.</ref>.
 
[[File:Friedrich II. mit Sultan al-Kamil.jpg|thumb|upright=1.4|left|[[Sesta crociata]] (miniatura dalla ''Nova Cronica'').]]
Altrettanto emblematici, sia «per le varie tipologie di figura dell'aquila che vi campeggiano con superba eleganza», sia perché concepiti con intenti celebrativi dell'immagine dello stupor mundi, sono «gli stupendi [[Cammeo|cammei]]», che, nella prima metà del [[XIII secolo]], furono realizzati in tutto il Regno di Sicilia. In tali manufatti artistici di pregevole fattura, le aquile sono [[Cesello|cesellate]] «con straordinario gusto per i particolari naturalistici»<ref name="Tassinari316"/>.
 
Anche la monetazione d'età federiciana non manca di coni recanti l'effige dell'aquila, che fu presente in numerose emissioni di [[tarì]], denari e [[Augustale|augustali]]. Il disegno non fu sempre il medesimo, si passa da esemplari con aquile stilizzate<ref name="Gentile">{{cita|Alberto Gentile}}.</ref>, ad aquile che, invece, assumono sembianze più naturali, aggressive e dinamiche: quest'ultimo è il caso degli augustali<ref name="Scordo114"/>: battute presso le [[Zecca (moneta)|zecche]] di [[Brindisi]] e [[Messina]], tali monete recavano, sul recto, l'immagine dell'imperatore siciliano, mentre, sul verso, un'aquila sorante con la testa volta verso la sinistra araldica<ref name="Gentile"/><ref>{{cita|Angelo Scordo|pp. 114 e 143}}.</ref><ref>{{cita|Gianantonio Tassinari|p. 312}}</ref>. La posizione della testa, in particolare, fu variabile e, a seconda delle emissioni, si ritrovano, infatti, monete con aquila rivoltata e altre no<ref>{{cita|Gianantonio Tassinari|p. 313}}.</ref>; così come è possibile rinvenire sia esemplari con aquila senza [[Corona (araldica)|corona]], sia esemplari con aquila coronata<ref name="Gentile"/>. Relativamente alle coniazioni tedesche, invece, è possibile citare un'emissione del XIII secolo, sulla quale compare raffigurato, a cavallo, l'imperatore con corona, vessillo e scudo: su quest'ultimo campeggia la figura dell'aquila<ref name="Tassinari321">{{cita|Gianantonio Tassinari|p. 321}}.</ref>.
 
[[File:Seeschlacht Friedrichs II..jpg|thumb|upright=1.4|Battaglia del Giglio (miniatura dalla ''Nova Cronica'').]]
Quanto agli smalti dello [[stemma]], Giovanni Antonio Summonte, nell'''Historia della Città e Regno di Napoli'', riferendo in merito all'arme di Federico II, non manca di specificare che egli «portò il Campo d'oro, e l'Aquila nera»<ref name="Summonte195">{{cita|Giovanni Antonio Summonte|p. 195}}.</ref>. Inoltre, è possibile asserire che nelle miniature, coeve o meno, raffiguranti lo stupor mundi, l'oro per il campo degli scudi rappresentasse la norma<ref name="Scordo113">{{cita|Angelo Scordo|p. 113}}</ref>. Parimenti, d'oro all'aquila di nero era il drappo dei vessilli dispiegati «dagli armati di Federico II», durante la [[sesta crociata]], o dalla flotta siciliana, durante la battaglia del Giglio<ref>{{cita|Angelo Scordo|pp. 114 e 127}}.</ref>.
{{citazione|d'oro, all'aquila col volo abbassato di nero<ref name="Scordo127">{{cita|Angelo Scordo|p. 127}}.</ref>|Blasonatura}}
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Immagine:Shield and Coat of Arms of the Holy Roman Emperor (c.1200-c.1300).svg|[[Stemma]] del [[Sacro romano impero]]
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[[File:Enzo Codice Chigi.JPG|upright=1.2|thumb|left|[[Reclusione|Imprigionamento]] di [[Enzo di Sardegna]]: si noti la compresenza di [[Scudo (araldica)|scudi]] d'[[Oro (araldica)|oro]] e d'[[Argento (araldica)|argento]]. Miniatura dalla ''Nova Cronica''.]]
Alla luce della rilevanza attribuita alla figura dell'aquila da Federico II, è lecito sostenere che fu proprio durante il regno dello stupor mundi che detta figura si attestò, in via definitiva, «come distintivo araldico dell'Impero per eccellenza», finendo, in questo modo, con il sopravvivere alla stessa estinzione della dinastia staufica e andando a contraddistinguere tutti i successivi sovrani assurti alla carica imperiale<ref>{{cita|Gianantonio Tassinari|pp. 316-317}}.</ref>.
 
Direttamente connessa all'avvento della dinastia staufica sul trono siciliano, sebbene le diverse fonti non concordino in merito al sovrano che l'introdusse, fu l'adozione, quale nuova insegna reale, dell'aquila al volo abbassato di nero, che, posta in campo d'argento, entrò a far parte dei segni distintivi del Regno di Sicilia<ref name="Scordo113"/>. Tale arme, dunque, fu derivata dall'originaria insegna imperiale: l'argento del campo, che può essere considerato una [[brisura]] rispetto all'oro dello stemma dell'Impero, andò, infatti, a rappresentare la dignità reale, in contrapposizione al campo aureo, rappresentativo, invece, della dignità imperiale<ref name="Tassinari321"/>.
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[[File:Attributed Coat of Arms of Frederick II, Holy Roman Emperor (Descrittione del Regno di Napoli).png|thumb|upright=1.0|Stemma riprodotto nella tavola che apre la [[biografia]] di Federico II nell'edizione del [[1601]] della della ''Descrittione del Regno di Napoli'' dello storico napolitano Scipione Mazzella.]]
Un particolare stemma, infine, è associato a Federico II, in alcune riproduzioni pubblicate in due importanti opere [[Storiografia|storiografiche]]: ''Descrittione del Regno di Napoli'', di Scipione Mazzella, e ''Historia della Città e Regno di Napoli'', di Giovanni Antonio Summonte. In detti stemmi, l'aquila (nel primo caso è monocipite e funge da [[Supporto (araldica)|supporto esterno]], nel secondo caso è bicipite ed è [[Carico araldico|caricata]] sul campo dello stemma) reca in [[cuore (araldica)|cuore]] uno [[Scudo (araldica)|scudo]] o uno [[Scudetto (araldica)|scudetto]] (a seconda del caso), il quale, con [[Capo (araldica)|capo]] [[troncato]] [[cuneato]] da parte a parte, è [[interzato in palo]], con, nel primo terziere, tre pigne, nel secondo, tre leoni passanti (ovvero l'arme di Svevia), e, nell'ultimo, la [[croce di Gerusalemme]]<ref>{{cita|Angelo Scordo|pp. 105-112}}</ref>. Quest'ultima, in particolare, entrò a far parte delle insegne federiciane in seguito alle nozze con Jolanda di Brienne e all'acquisizione, da parte dello stupor mundi, del titolo di Re di Gerusalemme<ref>{{cita|Giovanni Antonio Summonte|p. 93}}</ref>.
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