Girolamo d'Adda: differenze tra le versioni
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Nel [[1824]] il padre lo inviò a studiare nel collegio dei gesuiti di [[Novara]] da cui il giovane tentò di fuggire per ben due volte. Alla morte di suo padre e dopo breve della madre, suo tutore venne nominato il nobile Antonio De Barzi che lo fece trasferire nel [[1830]] al [[Collegio Longone]] presso l'Imperial Regio Liceo di Porta Nuova dove ebbe tra i propri compagni di classe anche [[Cesare Correnti]] e [[Giulio Carcano]]. Successivamente si portò all'[[Università di Pavia]] per studiare diritto sotto la guida del prof. Cotta Morandini, ma dopo due anni abbandonò l'ateneo. Nel [[1835]] partì per un ''[[Grand Tour]]'' in Europa nel quale ebbe l'occasione tra le altre cose di conoscere a [[Lubiana]] suo zio materno, Giorgio, il quale era appena uscito dalle carceri austriache locali.
Nel [[1837]] venne dichiarato maggiorenne e poté disporre delle ricche sostanze della sua famiglia, ancor più dopo la morte di sua nonna Virginia Nava che gli lasciò un patrimonio personale di 920.000 lire austriache e fu in quell'occasione che divise l'eredità dei suoi genitori con suo fratello minore Luigi, il quale ereditò sostanzialmente i beni di sua madre coi possedimenti lasciatele dai [[Trivulzio (famiglia)|Trivulzio]], sua famiglia d'origine.
Sposatosi nel frattempo con Ippolita Pallavicino, cugina di sua madre, di sentimenti apertamente antiliberali e austricanti, sebbene il rapporto tra i due non si fosse mai spezzato, Girolamo iniziò sempre più progressivamente a rifugiarsi nel suo collezionismo, dimettendosi anche dalle associazioni di cui da decenni faceva parte.
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Nel [[1848]], ne corso delle [[Cinque giornate di Milano]], sottoscrisse con [[Carlo Tenca]] e [[Cesare Cantù]] il cosiddetto "Saluto ai fratelli genovesi", un documento per l'esaltazione delle "piccole patrie" per inneggiare all'unità nazionale e, nel contempo, si avvicinò agli ambienti monarchici-unitari di cui la capofila, [[Cristina Trivulzio di Belgiojoso]], risiedeva proprio a Milano, pur distaccandosene ad ogni modo poco dopo per dedicarsi ad una visione politica più tendente al liberalismo. Questo non gli impedì ad ogni modo nel [[1853]], dopo il tentativo fallito di attentato ai danni di [[Francesco Giuseppe d'Austria]], di sottoscrivere un atto di vicinanza all'imperatore.
Con il raggiungimento dell'unificazione della penisola, divenne una delle personalità di spicco della società milanese nonché fervente sostenitore del neonato regno al punto che nel [[1873]] (in occasione del rinnovo del consiglio comunale di Milano a seguito dell'aggregazione dei [[Corpi Santi di Milano|Corpi Santi]]) venne inserito nel novero dei consiglieri cittadini. Il d'Adda, che già era stato consigliere comunale di [[Pregnana Milanese]] e di [[Agrate Brianza]] come estimato locale, si dedicò con passione al suo impegno per il capoluogo lombardo, pur mantenendo un giudizio sostanzialmente negativo nei confronti della politica del suo tempo.
Dal [[1863]] al [[1869]] fu inoltre membro del consiglio direttivo del [[Conservatorio Giuseppe Verdi (Milano)|Conservatorio di Milano]], occupandosi attivamente di teatro. Nel [[1873]], assieme a [[Cesare Cantù]], fu tra i fondatori della Società Storica Lombarda.
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Con l'unità nazionale, divenne un fedele servitore della corona tanto da meritarsi il cavalierato dell'Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro, per quanto la sua politica divenne sempre più estrema passando dapprima al [[conservatorismo]] ed infine al pessimismo totale, ritenendo sempre più che una vera unificazione sarebbe stata impossibile a livello dell'intera penisola dal momento che al suo interno sussistevano differenze invalicabili. Egli criticò anche l'eccessiva liberalità lasciata ai nuovi politici ed agli statisti i quali, in nome della libertà, avevano favorito un eccessi di libertà stessa, premesse che espresse anche con la penna come introduzione alla versione italiana di un noto saggio sull'educazione per il popolo del francese [[François-Auguste Mignet]].
Antindustrialista convinto, legato ad una concezione statica dei rapporti fra i vari [[
Girolamo d'Adda era ad ogni modo tra coloro che ritenevano che il processo di "educazione" dei nuovi italiani non fosse impossibile, ma richiedesse davvero moltissimo tempo e pertanto non si potevano bruciare le tappe come molti a suo parere stavano facendo, soprattutto in ambito politico, rischiando di sollevare le masse contro la classe politica corrotta e complice di questa corsa verso il baratro. Il suo pessimismo si concretizzò al fine quando ne concluse di non vedere alcuna forza, né sociale né politica, in grado di arginare questo proseguire delle cose dal momento che anche il terzo stato si era autodelegittimato con atti di "feroce egoismo". Di conseguenza, diceva il d'Adda, la decadenza della società era naturale che si riflettesse anche nelle arti e nelle lettere e per questo egli preferì stampare molte delle proprie opere per il pubblico straniero, soprattutto quello francese, che sin dalla sua corrispondenza col ''Bulletin de bibliophile et du bibliothécaire'' ([[1859]]) aveva avuto modo di esaltare le profonde differenze che in Italia albergavano anche in campo letterario, sottolineando ancor di più l'abisso culturale che si apriva tra l'"Alta Italia" e lo [[Stato Pontificio]] col [[Regno delle due Sicilie]].
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