Lingua sarda: differenze tra le versioni

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La relazione tra il nuovo idioma e quello nativo, inserendosi entro un contesto storicamente contrassegnato da una marcata percezione di alterità linguistica<ref>[https://www.degruyter.com/view/product/180542 Manuale di linguistica sarda], 2017, A cura di Eduardo Blasco Ferrer, Peter Koch, Daniela Marzo. Manuals of Romance Linguistics, De Gruyter Mouton, pp.209: <<...La più diffusa, e storicamente precocissima, consapevolezza dell'isola circa lo statuto di "lingua a sé" del sardo, ragion per cui il rapporto tra il sardo e l'italiano ha teso a porsi fin dall'inizio nei termini di quello tra due lingue diverse (benché con potere e prestigio evidentemente diversi), a differenza di quanto normalmente avvenuto in altre regioni italiane, dove, tranne forse nel caso di altre minoranze storiche, la percezione dei propri "dialetti" come "lingue" diverse dall'italiano sembrerebbe essere un fatto relativamente più recente e, almeno apparentemente, meno profondamente e drammaticamente avvertito. Né prima né dopo il passaggio del Regno di Sardegna dalla Spagna ai Savoia, infatti, nessun sardo, per quanto incolto, avrebbe potuto condividere o prendere per buono il noto cliché, piuttosto diffuso in altre regioni, del proprio dialetto quale forma "corrotta" e degradata dell'italiano stesso. Ma la percezione di alterità linguistica era condivisa e avvertita da qualsiasi italiano che avesse occasione di risiedere o passare nell'isola [...].</ref>, si pose fin da subito nei termini di un rapporto (ancorché ineguale) tra lingue fortemente distinte, piuttosto che tra una lingua e un suo dialetto come invece avvenne in altre regioni; gli stessi spagnoli, costituenti la classe dirigente aragonese e castigliana, solevano inquadrare il sardo come una lingua distinta sia rispetto alle proprie sia all'italiano<ref>[https://www.degruyter.com/view/product/180542 Manuale di linguistica sarda], 2017, A cura di Eduardo Blasco Ferrer, Peter Koch, Daniela Marzo. Manuals of Romance Linguistics, De Gruyter Mouton, pp.210</ref>. Nonostante l'italiano venisse da taluni ritenuto "non nativo" o "forestiero"<ref>[...]''È tanto nativa per me la lingua italiana, come la latina, francese o altre forestiere che solo s'imparano in parte colla grammatica, uso e frequente lezione de' libri, ma non si possiede appieno''[...] diceva infatti tale Andrea Manca Dell'Arca, agronomo sassarese della fine del Settecento ('Ricordi di Santu Lussurgiu di Francesco Maria Porcu In Santu Lussurgiu dalle Origini alla "Grande Guerra" - Grafiche editoriali Solinas - Nuoro, 2005)</ref>, tale idioma aveva svolto fino ad allora un proprio ruolo nella Sardegna settentrionale, la quale aveva subito nelle parlate e nella tradizione scritta un processo di toscanizzazione iniziatosi nel XII° secolo e consolidatosi successivamente<ref>[[Francesco Sabatini (linguista)|Francesco Sabatini]], ''Minoranze e culture regionali nella storiografia linguistica italiana'', sta in ''I dialetti e le lingue delle minoranze di fronte all'italiano'' (Atti dell'XI Congresso internazionale di studi della SLI, Società di linguistica italiana, a cura di Federico Albano Leoni, Cagliari, 27-30 maggio 1977 e pubblicati da Bulzoni, Roma, 1979, p. 14)</ref>; nelle zone sardofone, corrispondenti all'area centro-settentrionale e meridionale dell'isola, era invece pressoché sconosciuto alla grande maggioranza della popolazione, dotta e no.
 
A detta didel giurista [[Carlo Baudi di Vesme]] ([[Cuneo]] [[1809]] – [[Torino]] [[1877]]), la proscrizione e lo sradicamento della lingua sarda da ogni profilo privato e sociale dell'isola sarebbe stato auspicabile nonché necessario, quale opera di "incivilimento" dei sardi, perché fossero così integrati nell'orbita ormai spiccatamente italiana del Regno<ref>''Una innovazione in materia di incivilimento della Sardegna e d'istruzione pubblica, che sotto vari aspetti sarebbe importantissima, si è quella di proibire severamente in ogni atto pubblico civile non meno che nelle funzioni ecclesiastiche, tranne le prediche, l'uso dei dialetti sardi, prescrivendo l'esclusivo impiego della lingua italiana… È necessario inoltre scemare l'uso del dialetto sardo ed introdurre quello della lingua italiana anche per altri non men forti motivi; ossia per incivilire alquanto quella nazione, sì affinché vi siano più universalmente comprese le istruzioni e gli ordini del Governo…'' (Considerazioni politiche ed economiche sulla Sardegna, 1848 - Carlo Baudi di Vesme)</ref>. L'istruzione primaria, offerta solo in italiano, contribuì dunque a una pur lenta diffusione di tale lingua tra i nativi, innescando per la prima volta un processo di [[Attrito linguistico|erosione]] ed [[estinzione linguistica]]; il sardo venne infatti presentato dal sistema educativo come la lingua dei socialmente emarginati, nonché come ''sa limba de su famine'' o ''sa lingua de su famini'' ("la lingua della fame"), corresponsabile endogeno dell'isolamento e miseria secolare dell'isola, e per converso l'italiano quale agente di emancipazione sociale attraverso l'integrazione socioculturale con la terraferma continentale.
 
Nonostante queste politiche di [[acculturazione]], accompagnate dalla perdita della residuale autonomia politica con la [[Fusione perfetta del 1847|Fusione Perfetta]] e l'[[Unificazione d'Italia|unificazione della penisola italiana]]<ref name="Toso">{{cita web|url=http://www.treccani.it/magazine/lingua_italiana/articoli/scritto_e_parlato/Toso8.html|titolo=Toso, Fiorenzo. ''Lingue sotto il tetto d'Italia. Le minoranze alloglotte da Bolzano a Carloforte - 8. Il sardo''}}</ref>, l'inno del [[Regno di Sardegna]] [[Casa Savoia|sabaudo]] e del [[Regno d'Italia]] (composto da [[Vittorio Angius]] e musicato da Giovanni Gonella nel [[1843]]) sarebbe stato ''[[S'hymnu sardu nationale]]'' finché, nel 1861, non venne sostituito dalla [[Marcia Reale]]<ref>[http://www.ilisso.com/inno/innonazionalesardo.pdf Spanu, Gian Nicola. ''Il primo inno d'Italia è sardo]</ref>.