Arbegnuoc: differenze tra le versioni

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La situazione ad Addis Abeba nelle prime settimane dopo la conquista era difficile per gli italiani; le comunicazioni erano possibili solo attraverso la lunga pista dalla [[Somalia]], la violenza e il disordine erano diffusi dentro la città, mentre il maresciallo Graziani, disponendo inizialmente solo di 9.000 soldati, temeva un attacco dei guerriglieri etiopici che erano segnalati "tutti intorno Addis Abeba"; correvano voci che molte migliaia di ''arbegnuoc'' fossero pronti all'assalto<ref>{{cita|Del Boca|vol. III, pp. 15 e 20}}</ref>. La situazione degli italiani migliorò alla metà di luglio con l'arrivo di cospicui rinforzi che fecero salire la guarnigione a 35.000 uomini; inoltre da Roma giungevano nuove esortazioni al governatore di estendere l'occupazione e di "essere duro, implacabile con tutti gli abissini...."; Mussolini richiese di instaurare un "regime di assoluto terrore"<ref>{{cita|Del Boca|vol. III, pp. 15-16}}</ref>.
 
Gli ''arbegnuoc'' dello Scioa erano effettivamente decisi ad attaccare Addis Abeba; in un incontro a [[DebraDebre Libanos]], con la presenza di Aberra Cassa, dell'abuna Petros e degli altri capi, venne deciso un piano temerario per assaltare la capitale con cinque colonne separate, contando soprattutto di sfruttare una sollevazione generale della popolazione<ref>{{cita|Del Boca|vol. III, pp. 20-21}}</ref>. L'assalto ebbe inizio il 28 luglio 1936 in una mattina nebbiosa ma, nonostante alcuni successi, i guerriglieri non riuscirono a coordinare i loro attacchi; mentre gli uomini di Aberra Cassa giunsero di sorpresa senza incontrare resistenza fin nel centro di Addis Abeba dove scatenarono il panico, Ficrè Mariam venne fermato dal corso di un torrente in piena e poi bloccato da reparti italiani rafforzati da mezzi meccanizzati. Nel frattempo gli ''arbegnuoc'' di Abebe Aregai inizialmente avanzarono fino quasi alla residenza di Graziani ma furono poi contrattaccati da [[Camicie Nere|militi delle Camicie Nere]] e da [[àscari]] eritrei; infine le ultime due colonne etiopiche non riuscirono il primo giorno neppure ad entrare in azione a causa della piena di vari corsi d'acqua<ref>{{cita|Del Boca|vol. III, pp. 21-22}}</ref>.
 
[[File:Belay Zeleke ethiopian Arbenuoch resistance heros.jpg|left|thumb|[[Belai Zellechè]] è stato uno dei principali capi della resistenza nel Goggiam.]]
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In realtà la vera repressione non era ancora iniziata; il maresciallo Graziani, apparentemente convinto, sulla base delle superficiali indagini giudiziarie svolte in fretta dalle autorità, che l'attentato fosse opera di un vasto gruppo di opposizione etiopico coinvolgente gran parte delle personalità superstiti della dirigenza abissina, diede inizio il 26 febbraio alla sistematica fucilazione degli esponenti più importanti della resistenza già sottomessi o catturati in precedenza<ref>{{cita|Del Boca|vol. III, pp. 89-91}}</ref>. In pochi giorni furono quindi uccise personalità della cultura, ex-funzionari, gli ultimi cadetti di Oletta, giovani ufficiali ''arbegnuoc'' come Keflè Nasibù, Belai Haileab e Ketema Bechà, capi prestigiosi come [[Bellahu Deggafù]], ritenuto il principale capo del complotto<ref>{{cita|Del Boca|vol. III, pp. 92-93}}</ref>. Subito dopo il maresciallo Graziani, sulla base anche delle direttive provenienti da Roma, estese ulteriormente l'azione di repressione; dal 19 marzo, con l'approvazione del ministro Lessona, il viceré procedette all'arresto di tutti i cantastorie, stregoni e indovini, considerati diffusori di notizie false e suscitatori di idee "pericolose per l'ordine pubblico", che vennero subito brutalmente "passati per le armi"<ref>{{cita|Del Boca|vol. III, pp. 98-99}}</ref>. Il numero dei fucilati crebbe costantemente nei mesi dell'estate 1937; le azioni di violenza spesso si svolsero senza alcuna norma legale, nella confusione, sulla base di direttive generali che disponevano la distruzione dei villaggi e l'eliminazione soprattutto dell'etnia amahra, anche in assenza di segni di ostilità verso l'occupante o della presenza di combattenti ''arbegnuoc''; alcuni ufficiali italiani mostrarono grande durezza nelle operazioni repressive; in particolare il generale [[Pietro Maletti]] che affermò di aver messo "a ferro e fuoco" lo Scioa<ref>{{cita|Del Boca|vol. III, pp. 99-102}}</ref>.
 
Il culmine delle violenze venne raggiunto a maggio 1937 con i tragici eventi del [[massacro di Debra Libanos]]; informato di una presunta collaborazione della [[Copti|chiesa copta]] con gli autori dell'attentato, il maresciallo Graziani decise di colpire il luogo sacro di [[DebraDebre Libanos]] dove il generale Pietro Maletti tra il 20 e il 25 maggio 1937 arrestò e fece fucilare 1500-2000 tra preti, monaci e diaconi; vennero brutalmente uccisi anche giovani di 12-13 anni e il 26 maggio nella vicina Engecha furono fucilati altri 500 ragazzi in un primo tempo risparmiati<ref>{{cita|Dominioni|pp. 179-180}}</ref>. Oltre alle fucilazioni in massa e alle distruzioni di villaggi, le misure repressive del maresciallo Graziani, pienamente condivise da Mussolini e Lessona, prevedevano anche la deportazione di capi e notabili e l'organizzazione di campi di concentramento e detenzione in Etiopia; furono organizzati cinque viaggi di deportati da [[Massaua]] all'Italia che trasferirono 323 persone tra maggio e dicembre 1937 prima all'isola dell'[[Asinara]] e poi in varie localita italiane tra cui [[Longobucco]], [[Mercogliano]], [[Tivoli]], Roma e [[Firenze]]<ref>{{cita|Dominioni|pp. 180-181}}</ref>. Nel giugno 1937 venne invece aperto il campo di concentramento di [[Danane]] dove furono imprigionate in condizioni estremamente disagiate per le carenze di assistenza e vettovagliamento, circa 6.500 persone tra guerriglieri, notabili di medio rango e famigliari, comprese donne e bambini, di combattenti ''arbegnuoc''<ref>{{cita|Dominioni|pp. 181-182}}</ref>.
 
La violenza della repressione e gli apparenti successi delle operazioni di "polizia coloniale" tuttavia non consolidarono in modo decisivo il dominio italiano in Etiopia; al contrario la crescente brutalità dell'occupante esasperò la popolazione e accrebbe l'ostilità<ref>{{cita|Dominioni|pp. 196-197}}</ref>. Eventi come le azioni del capitano [[Gioacchino Corvo]] nella regione di [[Bahar Dar]] nella seconda metà del 1937 contribuirono a rafforzare la volontà di resistenza degli ''arbegnuoc''; le impiccagioni pubbliche, le fuciliazioni di "ribelli" e le esecuzioni segrete di notabili locali con metodi barbari come gli annegamenti nelle acque del lago Tana, sollevarono l'indignazione dei civili che avrebbero ben presto sostenuto la rinascita della resistenza dei "patrioti"<ref>{{cita|Dominioni|pp. 197-198}}</ref>.