Per Marco Biffi prevale l'uso del sostantivo al femminile, sebbene vi siano anche casi di ''post-verità'' al maschile.
In un recente contributo dal titolo ''Post-verità o psicoverità?'' ['''nota [http://www.leussein.eurom.it/post-verita-psicoverita/ http://www.leussein.eurom.it/post-verita-psicoverita<nowiki/>)]''' Francesco Gambino ha scritto: “Il prefisso «post-» nasconde e omette ciò che invece sarebbe utile esplicitare, vale a dire, la radice psicologica ed emotiva di un giudizio di massa. Ciò che resta sottinteso – e che caratterizza il senso complessivo del fenomeno – è la logica interna, ignota e talvolta indesiderata, della formazione di un modo di pensare e di agire collettivi […]. Allude in particolare ad un diffuso disinteresse per la verità, ad un atteggiamento di indifferenza, di rinuncia al disinganno. Introduce l’idea di una generale indolenza nell’acquisire e nel verificare informazioni utili ad una decisione consapevole. Emerge, dietro questo profondo senso di inerzia, una volontà indebolita che da questo punto di vista sconfina – si potrebbe dire – in una forma di abulia collettiva. Più opportuno sarebbe allora discorrere, non di post-verità, bensì di psicoverità (o, se si vuole, di psicorealtà). Parola, questa, più adeguata ad esprimere un fenomeno psichico collettivo concernente una certa idea di «verità» (o di «realtà»). In questo contesto, dominato da giudizi impulsivi e conclusioni infondate, ciò che resta della «verità» è destinato a rifluire in quel presumersi nella ragione per il solo fatto di decidere e compiere una scelta”.