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Con l'arrivo della stagione autunnale la situazione nei campi divenne più difficile, soprattutto in quelli in cui erano reclusi i "repressivi" dove le piogge provocarono più volte il riversamento del liquame delle latrine del campo e la notte del 29 ottobre 1942 una violenta tempesta distrusse quattrocento tende e provocò l'annegamento di alcuni bambini<ref>{{cita|Gianni Oliva|pp. 131-132}}</ref>. Si iniziarono quindi a costruire le prime baracche di legno<ref name="autogenerato3" /><ref name="autogenerato6" /> ma per la lentezza dei lavori molti internati trascorsero comunque l'inverno al freddo dentro le tende<ref name="autogenerato2" />. Nel novembre 1942 il numero di internati diminuì come riporta [[Carlo Spartaco Capogreco|Capogreco]] per la partenza di parte degli internati per altri campi di concentramento, soprattutto di donne e bambini destinati al [[Campo di concentramento di Gonars|campo di Gonars]]<ref name="autogenerato6" />.
=== L'internamento repressivo degli slavi ===▼
Con l'espandersi dei confini orientali, fino a prima della Seconda guerra mondiale, l'Italia aveva annesso molti territori storicamente non abitati da gente di nazionalità e lingua italiana. Lo stato italiano attuò fin dall'inizio una politica di violenza efferata, tesa alla cancellazione e all'annientamento delle popolazioni "slave" in territorio italiano. Già dal 1866, ossia dalla fine della Terza Guerra d'Indipendenza, l'Italia ebbe all'interno dei propri confini la Benecija, zona appartenente alle regioni di Veneto e Friuli, abitata da alcune migliaia di persone, la grande maggioranza di origine slovena. Per quanto già da subito tali popolazioni subirono da parte del Regno d'Italia una politica orientata alla completa snazionalizzazione, il problema si ripresentò con maggiore drammaticità dopo il 1918, quando cinquecentomila sloveni e croati divennero nuovi sudditi del Regno d'Italia. Negli anni di massima tensione interna alla Jugoslavia (1927-29), dovuta al problema dei rapporti tra serbi e croati, la politica estera fascista comincia a mostrare una certa aggressività nei confronti dell’area danubiano-balcanica: l’Italia, infatti, ambisce al controllo dell’Albania e del mare Adriatico (considerato dalla propaganda fascista un “golfo veneziano”) e, in più, nutre velleità irredentiste sui territori jugoslavi abitati da minoranze italiane (parti della Dalmazia), che rappresentano la “vittoria mutilata” della prima guerra mondiale. ▼
L’Italia di Mussolini, dunque, comincia a prendere in considerazione l’invasione e si attiva nel tentativo di indebolire la Jugoslavia stringendo alleanze con paesi confinanti ad essa ostili (Ungheria e Bulgaria) e con movimenti estremisti e terroristici interni al paese.▼
La repressione fascista contro sloveni e croati degli anni Venti e Trenta divenne una vera e propria persecuzione razziale di massa con la Seconda Guerra mondiale e l'aggressione nazifascista alla Jugoslavia. Questa avvenne, senza alcuna dichiarazione di guerra, il 6 aprile 1941, per mano dell'esercito tedesco e dell'esercito italiano, la II Armata del generale Ambrosio. come reazione al colpo di stato anti-tedesco avvenuto il 27 marzo a Belgrado, dopo che il reggente Paolo Karađorđević aveva aderito al Patto Tripartito.▼
Quando le truppe italiane arrivano a Lubiana, l’esercito jugoslavo, già sbandato a causa dell’attacco tedesco, non oppone la minima resistenza. ▼
A questo punto l’Italia tratta direttamente con la Croazia, sottoposta al predominio tedesco, la delimitazione dei confini e ottiene ufficialmente l’annessione della Dalmazia da Zara a Spalato, istituendo il Governatorato di Dalmazia.▼
Trionfa così una linea di compromesso che non tiene assolutamente conto delle istanze croate e che ha necessariamente come risultato la diffusione di un sentimento antitaliano, non solo nelle popolazioni slave soggette all’Italia, ma anche negli organi di amministrazione e di governo dello Stato indipendente croato, che, inoltre, si trova a dover accettare l’ingiustificata presenza di truppe delle forze armate italiane stazionanti, senza uno scopo preciso, sul suo territorio. ▼
Il neonato Stato indipendente croato, era sotto la guida del poglavnik (duce) Ante Pavelić, capo degli ustascia. Gli ustascia portano avanti una politica fortemente nazionalista cosicché ebrei, rom e serbi sono colpiti da violente persecuzioni: la maggior parte delle uccisioni avviene tra la primavera e l’estate del 1941; ciò provoca due fenomeni paralleli, ossia le conversioni di massa al cattolicesimo e la fuga verso le montagne o Serbia, Dalmazia e Montenegro. ▼
Il 22 giugno dello stesso anno scoppia una rivolta, destinata a trasformarsi in una vera e propria guerra civile tra la fine del ’41 e il ’42. La rivolta si diffonde in tutto il territorio e ne segue una violenta repressione da parte dell’esercito italiano che cerca anche l’appoggio di forze collaborazioniste: è il caso dell’esercito jugoslavo in Serbia guidato da Draza Mihailović e del movimento cetnico, un’organizzazione politico-militare nata per contrastare le forze comuniste. La guerra civile jugoslava vedrà appunto contrapposti il fronte collaborazionista e il movimento partigiano guidato dal generale comunista Josip Broz Tito, a capo del neonato Esercito popolare di liberazione della Jugoslavia.▼
Per contrastare le rivolte in atto e mantenere l’ordine pubblico, la II Armata (Regio Esercito) istituisce un tribunale di guerra che adotta maggiormente come soluzione l’internamento: Per tutta l’estate del 1941 gli scontri generano un gran numero di prigionieri, che iniziano a essere dislocati in vari campi di concentramento come quelli di Lovran, Bakar e Kraljevica; il sovraffollamento di questi ultimi fu la causa, nel maggio del 1942, dell’istituzione del campo di concentramento di Arbe per ordine del prefetto di Fiume Temistocle Testa. ▼
Il campo, divenuto il più famoso di quelli italiani in Jugoslavia per il suo alto tasso di mortalità, aveva una capienza di circa 10.000 persone.▼
{{C|i dati numerici dei deceduti, sono sicuramente molto gravi, tuttavia le stime le percentuali e i confronti con Buchenwald non sembrano così inequivocamente fontati e precisi, vedi discussione in corso|storia|dicembre 2014}}
[[File:Inmate_at_the_Rab_concentration_camp.jpg|link=https://it.wikipedia.org/wiki/File:Inmate_at_the_Rab_concentration_camp.jpg|miniatura|Internato nel campo di Arbe.]]
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Negli [[Anni 1950|anni cinquanta]], fu eretto un monumento ad opera dell'architetto [[Slovenia|sloveno]] [[Edvard Ravnikar]].
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▲'''Contesto storico'''
▲Con l'espandersi dei confini orientali, fino a prima della Seconda guerra mondiale, l'Italia aveva annesso molti territori storicamente non abitati da gente di nazionalità e lingua italiana. Lo stato italiano attuò fin dall'inizio una politica di violenza efferata, tesa alla cancellazione e all'annientamento delle popolazioni "slave" in territorio italiano. Già dal 1866, ossia dalla fine della Terza Guerra d'Indipendenza, l'Italia ebbe all'interno dei propri confini la Benecija, zona appartenente alle regioni di Veneto e Friuli, abitata da alcune migliaia di persone, la grande maggioranza di origine slovena. Per quanto già da subito tali popolazioni subirono da parte del Regno d'Italia una politica orientata alla completa snazionalizzazione, il problema si ripresentò con maggiore drammaticità dopo il 1918, quando cinquecentomila sloveni e croati divennero nuovi sudditi del Regno d'Italia. Negli anni di massima tensione interna alla Jugoslavia (1927-29), dovuta al problema dei rapporti tra serbi e croati, la politica estera fascista comincia a mostrare una certa aggressività nei confronti dell’area danubiano-balcanica: l’Italia, infatti, ambisce al controllo dell’Albania e del mare Adriatico (considerato dalla propaganda fascista un “golfo veneziano”) e, in più, nutre velleità irredentiste sui territori jugoslavi abitati da minoranze italiane (parti della Dalmazia), che rappresentano la “vittoria mutilata” della prima guerra mondiale.
▲L’Italia di Mussolini, dunque, comincia a prendere in considerazione l’invasione e si attiva nel tentativo di indebolire la Jugoslavia stringendo alleanze con paesi confinanti ad essa ostili (Ungheria e Bulgaria) e con movimenti estremisti e terroristici interni al paese.
▲La repressione fascista contro sloveni e croati degli anni Venti e Trenta divenne una vera e propria persecuzione razziale di massa con la Seconda Guerra mondiale e l'aggressione nazifascista alla Jugoslavia. Questa avvenne, senza alcuna dichiarazione di guerra, il 6 aprile 1941, per mano dell'esercito tedesco e dell'esercito italiano, la II Armata del generale Ambrosio. come reazione al colpo di stato anti-tedesco avvenuto il 27 marzo a Belgrado, dopo che il reggente Paolo Karađorđević aveva aderito al Patto Tripartito.
▲Quando le truppe italiane arrivano a Lubiana, l’esercito jugoslavo, già sbandato a causa dell’attacco tedesco, non oppone la minima resistenza.
▲A questo punto l’Italia tratta direttamente con la Croazia, sottoposta al predominio tedesco, la delimitazione dei confini e ottiene ufficialmente l’annessione della Dalmazia da Zara a Spalato, istituendo il Governatorato di Dalmazia.
▲Trionfa così una linea di compromesso che non tiene assolutamente conto delle istanze croate e che ha necessariamente come risultato la diffusione di un sentimento antitaliano, non solo nelle popolazioni slave soggette all’Italia, ma anche negli organi di amministrazione e di governo dello Stato indipendente croato, che, inoltre, si trova a dover accettare l’ingiustificata presenza di truppe delle forze armate italiane stazionanti, senza uno scopo preciso, sul suo territorio.
▲Il neonato Stato indipendente croato, era sotto la guida del poglavnik (duce) Ante Pavelić, capo degli ustascia. Gli ustascia portano avanti una politica fortemente nazionalista cosicché ebrei, rom e serbi sono colpiti da violente persecuzioni: la maggior parte delle uccisioni avviene tra la primavera e l’estate del 1941; ciò provoca due fenomeni paralleli, ossia le conversioni di massa al cattolicesimo e la fuga verso le montagne o Serbia, Dalmazia e Montenegro.
▲Il 22 giugno dello stesso anno scoppia una rivolta, destinata a trasformarsi in una vera e propria guerra civile tra la fine del ’41 e il ’42. La rivolta si diffonde in tutto il territorio e ne segue una violenta repressione da parte dell’esercito italiano che cerca anche l’appoggio di forze collaborazioniste: è il caso dell’esercito jugoslavo in Serbia guidato da Draza Mihailović e del movimento cetnico, un’organizzazione politico-militare nata per contrastare le forze comuniste. La guerra civile jugoslava vedrà appunto contrapposti il fronte collaborazionista e il movimento partigiano guidato dal generale comunista Josip Broz Tito, a capo del neonato Esercito popolare di liberazione della Jugoslavia.
▲Per contrastare le rivolte in atto e mantenere l’ordine pubblico, la II Armata (Regio Esercito) istituisce un tribunale di guerra che adotta maggiormente come soluzione l’internamento: Per tutta l’estate del 1941 gli scontri generano un gran numero di prigionieri, che iniziano a essere dislocati in vari campi di concentramento come quelli di Lovran, Bakar e Kraljevica; il sovraffollamento di questi ultimi fu la causa, nel maggio del 1942, dell’istituzione del campo di concentramento di Arbe per ordine del prefetto di Fiume Temistocle Testa.
▲Il campo, divenuto il più famoso di quelli italiani in Jugoslavia per il suo alto tasso di mortalità, aveva una capienza di circa 10.000 persone.
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