Storiografia sull'attentato di via Rasella: differenze tra le versioni

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Joachim Staron, storico tedesco autore di un ampio studio sugli eccidi delle Fosse Ardeatine e di [[strage di Marzabotto|Marzabotto]] nel mito nazionale dell'Italia repubblicana, scrive che ai vari miti sugli eventi romani del marzo 1944 diffusi a destra corrispondono «altre leggende, diffuse soprattutto a sinistra, come quella riassumibile nell'affermazione, più volte ripetuta dagli attentatori di via Rasella nel corso dei vari processi, secondo cui essi non avrebbero assolutamente potuto prevedere l'eventualità di una rappresaglia»<ref>{{cita|Staron 2007|p. 9}}.</ref>.
 
L'autore cita diversi testimoni del [[processo Kappler]] del 1948 a sostegno del fatto che, prima dell'attentato di via Rasella, i tedeschi avessero già eseguito a Roma rappresaglie per azioni partigiane mediante fucilazioni di dieci prigionieri per ogni loro caduto{{#tag:ref|Tra i testimoni citati, due ex difensori dei partigiani innanzi al tribunale di guerra tedesco: Ottone (Otto) Vinatzer, che – giudicato da Staron «non sospettabile di nutrire simpatia per i tedeschi» – si disse peraltro convinto che i gappisti avessero agito per creare un «monumento» di odio antitedesco; e Arturo Gottardi, il quale riferì che in precedenza uno dei suoi assistiti era stato inserito in una lista di dieci persone da fucilare per rappresaglia. Negli anni settanta Vinatzer ribadì la sua convinzione: dopo via Rasella, presagendo insieme al collega [[Bruno Cassinelli]], difensore di Montezemolo, una rappresaglia contro prigionieri (essendocene già state in precedenza «tre o quattro»), Vinatzer aveva contattato padre [[Pancrazio Pfeiffer]], portavoce vaticano presso il comando tedesco, il quale gli aveva risposto di essersi già attivato per dissuadere i tedeschi dal compiere la strage, «onde non cadere nel tranello teso loro dagli attentatori, ai quali non interessava l'uccisione di una trentina di vecchi piantoni, ma che volevano provocare l'inevitabile rappresaglia tedesca, onde costruire a Roma [...] un momento di odio antitedesco, perenne». Cfr. {{cita news|Giovanni Preziosi|http://www.vatican.va/news_services/or/or_quo/071q01.pdf#page{{=}}4|E padre Pancrazio allargò le braccia|L'Osservatore Romano|25-26 marzo 2013|p=4}}|group=N}}. Inoltre rileva, sulla base delle testimonianze rese da [[Ivanoe Bonomi|Bonomi]] e dai generali [[Roberto Bencivenga|Bencivenga]] e [[Quirino Armellini|Armellini]] al processo Kappler, che la Resistenza romana era spaccata in merito all'opportunità di compiere attentati, con i favorevoli in posizione di minoranza, nonché, sulla base delle memorie di Bentivegna, che la questione era discussa all'interno dello stesso PCI<ref>{{cita|Staron 2007|p. 39}}.</ref>. Staron quindi scrive:
 
{{citazione|Se si considerano le rappresaglie compiute nelle settimane precedenti l'attentato di via Rasella e il gran numero di segnali che dovevano aver messo in qualche modo sull'avviso gli attentatori (occorre ricordare, al riguardo, che già prima dell'attentato anche in seno al Partito comunista si era discusso in merito alle possibili rappresaglie), l'affermazione più volte ripetuta dopo la guerra dagli attentatori, secondo cui non si era messa in conto una rappresaglia come quella delle Fosse Ardeatine (di più: si sarebbero costituiti se avessero immaginato che altrimenti ne avrebbero fatto le spese degli innocenti), non appare molto convincente. Certo, non si può che concordare con Klinkhammer quando afferma che fino a quel momento non era mai stata eseguita una rappresaglia di tali proporzioni, ma occorre anche tener conto del fatto che gli attentati precedenti avevano causato un numero di gran lunga inferiore di vittime, e quindi non si può ragionevolmente sostenere, come invece fa Katz, che "qualsiasi azione partigiana, fra le cento compiute a Roma, avrebbe potuto avere per conseguenza l'eccidio delle Ardeatine"<ref>{{cita|Staron 2007|p. 42}}.</ref>.}}