Gioco (filosofia): differenze tra le versioni

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La riflessione filosofica sul gioco<ref>{{Cita|Abbagnano 1994|pp. 432-433}}</ref> è presente dagli inizi della storia del pensiero sino a quando l'interesse per questo tema si interrompe e si ripresenta all'attenzione della filosofia solo nel [[secolo XVIII]].
 
[[Platone]] scriveva che «l'uomo è fatto per essere un giocattolo, strumento di Dio, e ciò è veramente la migliore cosa in lui. Egli deve, dunque, seguendo quella natura e giocando i giochi più belli, vivere la sua vita, proprio all'inverso di come fa ora»<ref>Platone, ''Leggi'', in ''Opere complete'', vol.VII, Laterza, Bari, 1983, pp. 228 e ss.</ref> Per Platone dunque l'uomo è soltanto un giocattolo nelle mani degli dei, non un giocatore che possa sedersi al loro tavolo.
 
[[Aristotele]] distingueva il gioco dal lavoro e lo assimilava alla [[felicità]] e alla [[virtù]], poiché come queste il gioco non nasceva per necessità ma si caratterizzava per l'[[autosufficienza]] e la [[libertà]]. Tutta la società poi è un grande gioco, nel quale ogni pezzo si muove secondo regole predeterminate<ref>Aristotele, ''Politica'', in ''Opere'', vol.IX, ed. Laterza, Bari. p.6</ref>