Biennio rosso in Italia: differenze tra le versioni

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# la mozione dei ''[[Massimalismo (politica)|massimalisti]]'' di [[Giacinto Menotti Serrati]], che avevano come obiettivo immediato la creazione di una "''[[stato socialista|repubblica socialista]]''" su modello sovietico<ref>G. Sabbatucci e V. Vidotto, ''Storia contemporanea, il novecento'', Bari, Edizioni Laterza, 2008, p. 70: "I massimalisti (...) si ponevano come obiettivo immediato l'instaurazione della repubblica socialista fondata sulla dittatura del proletariato e si dichiaravano ammiratori entusiasti della rivoluzione bolscevica"</ref> si distingueva da quella di Amadeo Bordiga per pochi particolari, infatti sia Serrati che Bordiga proponevano l'adesione del partito alla [[Internazionale Comunista|Terza Internazionale]]<ref name="G. Candeloro, p. 299">G. Candeloro, ''op. cit.'', p. 299.</ref>; tuttavia, mentre i massimalisti di Serrati ritenevano che la rivoluzione fosse comunque inevitabile e l'attendevano passivamente<ref>G. Sabbatucci e V. Vidotto, ''Storia contemporanea, il novecento'', Bari, Edizioni Laterza, 2008, p. 71: "Più che preparare la rivoluzione la aspettavano, ritenendola comunque inevitabile."</ref>, l'estrema sinistra di Bordiga, in polemica con i massimalisti, e in modo più coerente con l'esempio sovietico, riteneva doveroso impegnarsi attivamente per la riuscita della rivoluzione<ref>G. Sabbatucci e V. Vidotto, ''Storia contemporanea, il novecento'', Bari, Edizioni Laterza, 2008, p. 71: "In polemica con questa impostazione, si formarono nel Psi gruppi di estrema sinistra, composti per lo più da giovani, che si battevano per un più coerente impegno rivoluzionario e per una più stretta adesione all'esempio russo."</ref>.
# la mozione di [[Costantino Lazzari]], che concordava con Serrati sull'obiettivo finale della rivoluzione proletaria da raggiungersi con l'"''azione rivoluzionaria''"<ref>[[Roberto Vivarelli]], Storia delle origini del fascismo, volume II, Il Mulino, 2012, pag 229</ref> e l'abbattimento del sistema democratico, riaffermava il principio secondo cui nel partito dovevano continuare ad avere cittadinanza anche i ''[[Riformismo|riformisti]]''. La mozione di Lazzari era l'unica a non citare espressamente la [[Rivoluzione d'ottobre|Rivoluzione d'Ottobre]] e la [[Internazionale Comunista|Terza Internazionale]]<ref name="ref_A">[[Roberto Vivarelli]], Storia delle origini del fascismo, volume II, Il Mulino, 2012, pag 230</ref> anche se nel suo intervento congressuale la rivoluzione veniva definita come "''la via che dobbiamo seguire anche a costo di essere ritenuti noi, socialisti italiani, i bolscevichi del nostro paese''"<ref>[[Roberto Vivarelli]],name="ref_A" Storia delle origini del fascismo, volume II, Il Mulino, 2012, pag 230</ref>. In ogni caso Lazzari dopo le reiterate proposte di ricorrere alla violenza per abbattere lo Stato borghese ribadì la necessità di ricorrere esclusivamente ai metodi legali<ref name="ref_B">[[Roberto Vivarelli]], Storia delle origini del fascismo, volume II, Il Mulino, 2012, pag 231</ref>.
# la mozione di [[Amadeo Bordiga]], che aderente ai principi della [[rivoluzione d'ottobre|rivoluzione d'Ottobre]], in cui vedeva la corretta rotta che avrebbe dovuto seguire il [[Partito Socialista Italiano]], proponeva di cambiare il nome del partito con quello di "Partito Comunista"<ref name="ref_C">[[Roberto Vivarelli]], Storia delle origini del fascismo, volume II, Il Mulino, 2012, pag 228</ref> e di espellerne i "''socialisti riformisti''" di Turati<ref>[[Roberto Vivarelli]],name="ref_C" Storia delle origini del fascismo, volume II, Il Mulino, 2012, pag 228</ref>. Infatti Bordiga, convinto dell'incompatibilità tra [[socialismo]] e [[democrazia]]<ref>[[Roberto Vivarelli]], Storia delle origini del fascismo, volume II, Il Mulino, 2012, pag 224: "Si doveva ancora a Bordiga la formulazione più chiara della assoluta incompatibilità tra socialismo e democrazia"</ref>, dato che "''il proletariato poteva davvero impadronirsi del potere politico solo strappandolo alla minoranza capitalista con la lotta armata, con l'azione rivoluzionaria''"<ref>[[Roberto Vivarelli]], Storia delle origini del fascismo, volume II, Il Mulino, 2012, pag 224</ref>, riteneva che il partito non avrebbe dovuto partecipare alle elezioni. La sua corrente fu detta "''comunista astensionista''"<ref>G. Candeloro, ''op. cit.'', pp. 298-300.</ref>.
 
Delle tre mozioni, fu quella ''massimalista elezionista'' di Serrati ad ottenere la maggioranza assoluta dei voti<ref name="ReferenceC"/> e ad esprimere la direzione del partito; la minoritaria corrente riformista (i cui esponenti principali erano [[Filippo Turati]] e [[Claudio Treves]]), che non credeva nella possibilità di uno sbocco rivoluzionario della crisi, fece confluire i suoi voti sulla mozione di Lazzari<ref name="G. Candeloro, p. 299"/> Ma l'approvazione avvenuta all'unanimità dell'adesione alla [[Internazionale Comunista|Terza Internazionale]] pose in sostanza i "''socialisti riformisti''" fuori dal partito<ref>[[Roberto Vivarelli]],name="ref_B" Storia delle origini del fascismo, volume II, Il Mulino, 2012, pag 231</ref>.
 
Due furono sostanzialmente le novità introdotte nel Congresso bolognese: innanzitutto si individuò come punto di riferimento concreto la [[Rivoluzione d'ottobre|Rivoluzione di Ottobre]] elemento che prima mancava. Accettandone anche tutti i previsti sviluppi successivi destinati a sfociare nel "''[[bolscevismo]]''"<ref>[[Roberto Vivarelli]], Storia delle origini del fascismo, volume II, Il Mulino, 2012, pag 213</ref>. Si accettarono inoltre della Rivoluzione di ottobre anche la soppressione del Parlamento e la nascita della [[dittatura]] in Russia. Le poche voci discordi furono quelle dei ''[[Riformismo|socialisti riformisti]]'' guidati da [[Filippo Turati]] ma che furono sconfitti da una mozione di Serrati che impegnava il [[Partito Socialista Italiano]] a ergersi difensore dei "[[Soviet]]"<ref>[[Roberto Vivarelli]], Storia delle origini del fascismo, volume II, Il Mulino, 2012, pag 214</ref>. Inoltre la crisi delle democrazie indicava, secondo i socialisti, come l'unica soluzione da perseguirsi fosse quella "''rivoluzionaria''" che portava al [[socialismo]] e il modo per raggiungerla fosse la "''guerra civile''"<ref>[[Roberto Vivarelli]], Storia delle origini del fascismo, volume II, Il Mulino, 2012, pag 216-217</ref>.
{{Citazione|Quale è oggi la realtà se non la rivoluzione? Che cosa c'è di più reale, di più vero al giorno d'oggi che questo risorgere in ogni paese delle classi proletarie alla conquista della loro completa emancipazione? Che cosa c'è di più vero nel mondo odierno che il fallimento della borghesia ed il trionfo della rivoluzione? Ed allora noi siamo nella realtà, siamo sul terreno dei fatti e voi, cari compagni riformisti, voi compagni dell'ala destra, siete fuori dei vostri tempi, siete fuori della realtà.|[[Giacinto Menotti Serrati]] rivolto ai riformisti di [[Filippo Turati]]<ref>[[Roberto Vivarelli]], Storia delle origini del fascismo, volume II, Il Mulino, 2012, pag 216</ref>}}
La contestazione alla classe borghese, di cui la guerra era considerata una espressione, all'interno del Partito si spinse a richiedere l'espulsione dei socialisti che erano stati [[Interventismo|interventisti]] o volontari di guerra. Il deputato [[Mario Cavallari]] che era stato [[Interventismo di sinistra|interventista]] e volontario di guerra era già stato espulso nell'agosto<ref>[[Roberto Vivarelli]], Storia delle origini del fascismo, volume II, Il Mulino, 2012, pag 217</ref>. Al di fuori invece si decise di escludere in qualsiasi modo ogni rapporto con tutti i partiti non socialisti<ref name="ref_D">[[Roberto Vivarelli]], Storia delle origini del fascismo, volume II, Il Mulino, 2012, pag 218</ref>.
 
Notevole, inoltre, fu l'accettazione del ricorso alla violenza, considerata come necessaria "''levatrice della storia''"<ref>[[Roberto Vivarelli]],name="ref_D" Storia delle origini del fascismo, volume II, Il Mulino, 2012, pag 218</ref>. Nel congresso di Bologna questo mutamento venne ufficialmente rivendicato<ref>[[Roberto Vivarelli]], Storia delle origini del fascismo, volume II, Il Mulino, 2012, pag 219</ref> e soprattutto questa deriva sancì la vittoria del massimalismo che puntava non ad una vittoria elettorale quanto all'abbattimento dello stato borghese per poter creare la "''[[Stato socialista|Repubblica socialista]]''"<ref name="ref_E">[[Roberto Vivarelli]], Storia delle origini del fascismo, volume II, Il Mulino, 2012, pag 220</ref>.
 
Le tesi approvate nel Congresso di Bologna non giungevano nuove ma in realtà erano il frutto di un lungo processo iniziato già da alcuni anni e che aveva visto aumentare i consensi dei "massimalisti" e quindi si deliberò in base a ciò che già da mesi era nell'aria<ref>[[Roberto Vivarelli]], Storia delle origini del fascismo, volume II, Il Mulino, 2012, pag 227</ref>. Il Partito Socialista Italiano dopo Bologna si staccò nettamente dalla tradizione risorgimentale, cui pure aveva partecipato, mettendo in difficoltà anche i politici socialisti che in diverse città erano stati chiamati ad amministrare. L'isolamento del [[Partito Socialista Italiano]], con le nuove deliberazioni, divenne totale<ref>[[Roberto Vivarelli]],name="ref_E" Storia delle origini del fascismo, volume II, Il Mulino, 2012, pag 220</ref>. Nessuna delle correnti del Partito socialista, pur richiamandosi più o meno genericamente all'esigenza di superare il capitalismo e instaurare il socialismo, seppe proporre alcun obiettivo concreto e immediato alle lotte in cui erano frattanto impegnati il movimento operaio e quello contadino, i quali rimasero pertanto sostanzialmente privi, durante tutto il Biennio rosso, di un'efficace direzione politica<ref>G. Candeloro, ''op. cit.'', p. 300.</ref>. In particolare, è stata spesso sottolineata l'inettitudine della direzione massimalista, la quale diede prova di un estremismo solamente verbale e di un rivoluzionarismo velleitario che non riuscì mai a far seguire alle parole i fatti<ref>Alceo Riosa - Barbara Bracco, ''Storia d'Europa nel Novecento'', Mondadori Università, Milano 2004, p. 73: "La cultura politica socialista sembrò affidarsi [...] alle circostanze esterne, più che a una preparazione consapevole della rivoluzione. La dirigenza riteneva prossimo il salto rivoluzionario, ma poco o nulla fece per prepararne le condizioni del successo e per stabilire le necessarie alleanze sociali. Incapace di coordinare le lotte nel mondo dell'industria, non riuscì nemmeno a porsi con forza alla testa del movimento di occupazione delle terre a opera degli ex combattenti, che investì varie parti del paese".</ref>.
 
{{Citazione|Il partito continua a ubriacarsi di parole, a redigere sulla carta dei progetti di Soviet, abbandonando a se stesse le commissioni di fabbrica nel Nord e i contadini affamati di terra nel Mezzogiorno.|[[Angelo Tasca]]<ref>Angelo Tasca, ''Nascita e avvento del fascismo. L'Italia dal 1918 al 1922'', volume I, Laterza, Bari 1967, p. 96.</ref>}}
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Le [[elezioni politiche italiane del 1919]], che per la prima volta utilizzavano il [[sistema proporzionale]], videro una forte affermazione del [[Partito Socialista Italiano|Partito socialista italiano]] che riscosse il 32,4% dei voti, mentre il [[Partito Popolare Italiano (1919)|Partito popolare]] ebbe il 20,6%; la maggioranza dei voti andò così ai due partiti di massa, mentre le varie liste liberali e liberaldemocratiche (che fino ad allora avevano dominato il parlamento italiano post-unitario) per la prima volta persero la maggioranza dei seggi alla Camera. Le liste di ex combattenti (presenti in diciotto collegi) ottennero il 3,37% del totale dei voti; i fascisti non ebbero nessun parlamentare eletto<ref>G. Candeloro, ''op. cit.'', pp. 301-2.</ref>. I vari governi liberali che si succedettero fra il novembre 1919 e l'ottobre 1922 poterono reggersi solo grazie all'appoggio esterno del Partito Popolare<ref>G. Candeloro, ''op. cit.'', p. 303.</ref>.
 
La scelta "''eversiva''" fatta dal Partito Socialista Italiano e la contestazione alle istituzioni<ref>[[Roberto Vivarelli]], Storia delle origini del fascismo, volume II, Il Mulino, 2012, pag 2260</ref> lo poneva automaticamente all'opposizione senza possibilità di stabilire alleanze con gli altri partiti bollati come "''borghesi''" annullando di fatto il grande successo elettorale<ref name="ref_F">[[Roberto Vivarelli]], Storia delle origini del fascismo, volume II, Il Mulino, 2012, pag 221</ref> e scontentava parte dell'elettorato che desiderava imprimere un cambiamento nella politica nazionale<ref>[[Roberto Vivarelli]],name="ref_F" Storia delle origini del fascismo, volume II, Il Mulino, 2012, pag 221</ref>.
 
==Gli scioperi del 1920 e la Rivolta dei Bersaglieri==