Tagete (divinità): differenze tra le versioni
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== Il mito ==
Il mito di Tagete ci viene narrato da da [[Marco Tullio Cicerone|Cicerone]] nel [[De divinatione]]<ref name="Irollo89">{{Cita|Irollo2008|p. 89}}</ref><ref name="Cristofani283">{{Cita|Cristofani1999|p. 283}}</ref> (Cic. de Div. 2.23), e da alcuni poeti, tra i quali [[Publio Ovidio Nasone|Ovidio]]<ref name="Cristofani283" /> (Ov. M. 15, 558).
Un giorno un contadino che arava un campo nei pressi del fiume Marta, in quei di [[Tarquinia]], vide una zolla sollevarsi dal solco e assumere le sembianze di un fanciullo. Lo chiamò Tagete. Il fanciullo era dotato di grande saggezza e di virtù profetiche (per cui talvolta viene raffigurato con i capelli bianchi). Visse soltanto il tempo necessario per insegnare agli [[Etruschi]], accorsi sul luogo dove era nato, l'arte di predire il futuro, scomparendo poche ore dopo la sua miracolosa apparizione. Le norme da lui dettate furono trascritte e raggruppate su tre serie di libri sacri<ref name="Irollo89" />: gli Aruspicini, i Fulgurali e i Rituali. Questi ultimi comprendevano anche i Libri Acherontici che costituirono le fonti ufficiali e misero in luce i due punti essenziali della religione etrusca: l'importanza della divinazione che permetteva di interpretare la volontà degli dei e la necessità di istituire un preciso rituale per ogni circostanza della vita sia pubblica che privata. A ciò erano preposti i sacerdoti, una casta privilegiata che si trasmetteva la carica di padre in figlio, ed erano divisi in due categorie: [[Aruspicina|Aruspici]] ed [[Augure|Auguri]].
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