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===Narciso infranto. L’autoritratto moderno da Goya a Warhol ===
In Narciso infranto. L’autoritratto moderno da Goya a Warhol (Laterza 1997, nuova edizione 2015), Boatto inizia ponendo un interrogativo strettamente personale del mondo della ritrattistica:”Chi sono io?”, a cui si impegna di rispondere l’autoritratto. L’autore spiega come l’autoritratto non corrisponda affatto al ritratto, ma sia anzi il suo opposto, in quanto l’artista dinnanzi al suo volto si sente dire “Questo''“questo è il tuo volto”'', pensando però “Questo''“questo è il mio volto”''.
Boatto spiega come, proprio nella differenza dell’aggettivo possessivo si trovi l’ineluttabile differenza di pittura, nonostante entrambe si dedichino alla fisionimia e all’apparenza dei corpi.
Egli parla dell’”uomo invisibile” presente in ognuno di noi; spiega che la natura tende a conservarci in uno stato ombroso, di cecità nei confronti di noi stessi e prende ad esempio una stanza affollata in cui ci troviamo: ognuno sa di essere diverso dall’altro e ciò lo avverte dalla propria fisionomia e da quella altrui, ma si trova in una condizione di invisibilità sconosciuta pure a se stesso. Il volto dell’altro ci appare più familiare del nostro volto e l’uomo invisibile dentro ciascuno di noi si manifesta nella solitudine. “Il{{Citazione|Il pittore riflette le porprie fattezze dentro lo specchio per rappresentarsi-per definire la propria natura”natura|}} dichiara, ma è qui che sta la sottile frode: vi è un inversione dell’asse facciale, un mutamento nell’ordine simmetrico, così che l’artista non possa mai vedersi come gli altri lo vedono.
Il pittore non è più uno, ma due, si sdoppia divenendo così il soggetto agente (l’artista) e l’oggetto inerme che viene ritratto. Egli, in questo modo, si guarda e inevitabilmente si giudica e si misura, prendendo le distanze da se stesso e studiandosi. Ecco che infatti Boatto presenta questa condizione di solitudine tanto temuta e al contempo desiderata dall’animo umano.
In questo modo il critico riesce a trattare il tema della morte, o meglio: la paura della morte, di una fine. Il pittore, dipingendo se stesso, cerca di imprimere sulla tela un io eterno, anche se in parte sconosciuto,{{Citazione|l’autoritratto rappresenta una puntata giocata contro il tempo, una polizza assicurativa emessa contro la morte.|Alberto Boatto}} Così l’artista sa che lascerà una memoria di sé e combatte quel lato oscuro e quasi spaventoso della solitudine, tanto temuta in vita quanto fuori da essa.
Il pittore, dipingendo se stesso, cerca di imprimere sulla tela un io eterno, anche se in parte sconosciuto, “l’autoritratto rappresenta una puntata giocata contro il tempo, una polizza assicurativa emessa contro la morte”. Così l’artista sa che lascerà una memoria di sé e combatte quel lato oscuro e quasi spaventoso della solitudine, tanto temuta in vita quanto fuori da essa.
Dopo questa prima introduzione viene fatta risalire l’origine mitica dell’autoritratto proprio a Narciso, come ci suggerisce il titolo stesso dell’opera. Narciso respinge il tu, dall’altro sesso al mondo nella sua interezza, Narciso preferisce il duplicato di se stesso, negandosi la vita; preferisce la solitudine a “quel copioso universo che si agita alle sue spalle”, ma la morte è il prezzo che dovette pagare per poter avere la conoscenza di se stesso.
Secondo l’autore, l’autoritratto, come espressione della modernità, nasce dalle fratture che accompagnano la Cristianità, in quanto è necessario che il legame tra l’uomo e il sacro cominci a lacerarsi in modo da rendere l’uomo indipendente e autonomo.
E così nei primissimi autoritratti <<moderni>> sembra di poter intravedere la psicologia di questo passaggio epocale, come si può vedere nell’autoritratto di Filippo Lippi nella pala monumentale della Incoronazione della Vergine a cui lavorò fra il 1441 e il 1447.
Insorge la domanda del perchè allora il titolo di <<Narciso Infranto>>, a cui Boatto risponde spiegando come gli ultimi due secoli e l’avvenimento del moderno segnino la profonda disgregazione di Narciso e, con lui, quella dell’autoritratto. Nel corso dell’Ottocento e nei primi decenni del Novecento ritorna quel mondo che Narciso aveva rifiutato con noncuranza, fanno ritorno {{Citazione|le potenze inconscie e notturne che rodono in profondità la coscienza dell’uomo e, in compagnia discorde e consonante con esse, sono le potenze cupe e luminose del cosmo.|Alberto Boatto}}
Goya si era chiesto com’è mai possibile affrontare soli la morte quando la speranza che era stata condivisa per secoli dall’Europa cristiana non vi è più, e Warhol, un secolo e mezzo più tardi, si pone lo stesso interrogativo, caricandosi del peso della morte e inquadrandola con il suo obiettivo fotografico, guarda all’epoca della comunicazione di massa.
È a questo punto che Boatto si occupa di confrontare e presentare una grande varietà di autoritratti partendo proprio da Goya e arrivando allo stesso Warhol, sulla soglia del terzo millennio e conclude riallacciandosi all’immagine di Narciso, che però ha ora imparato a volgere lo sguardo in direzione dell’universo.