Utente:Ninni99/Sandbox: differenze tra le versioni
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In ''Narciso infranto. L’autoritratto moderno da Goya a Warhol'' (Laterza 1997, nuova edizione 2015), Boatto inizia ponendo un interrogativo strettamente personale del mondo della ritrattistica:”Chi sono io?”, a cui si impegna di rispondere l’autoritratto. L’autore spiega come l’autoritratto non corrisponda affatto al ritratto, ma sia anzi il suo opposto, in quanto l’artista dinnanzi al suo volto si sente dire ''“questo è il tuo volto”'', pensando però ''“questo è il mio volto”''.
Boatto spiega come, proprio nella differenza dell’aggettivo possessivo si trovi l’ineluttabile differenza di pittura, nonostante entrambe si dedichino alla fisionimia e all’apparenza dei corpi.
Egli parla
Il pittore non è più uno, ma due, si sdoppia divenendo così il soggetto agente (l’artista) e l’oggetto inerme che viene ritratto. Egli, in questo modo, si guarda e inevitabilmente si giudica e si misura, prendendo le distanze da se stesso e studiandosi. Ecco che infatti Boatto presenta questa condizione di solitudine tanto temuta e al contempo desiderata dall’animo umano.
In questo modo il critico riesce a trattare il tema della morte, o meglio: la paura della morte, di una fine. Il pittore, dipingendo se stesso, cerca di imprimere sulla tela un io eterno, anche se in parte sconosciuto,{{Citazione|l’autoritratto rappresenta una puntata giocata contro il tempo, una polizza assicurativa emessa contro la morte.|Alberto Boatto}} Così l’artista sa che lascerà una memoria di sé e combatte quel lato oscuro e quasi spaventoso della solitudine, tanto temuta in vita quanto fuori da essa.
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