Economie di scala: differenze tra le versioni
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===Economie derivanti dal bilanciamento della capacità produttiva===
Le economie di bilanciamento della capacità produttiva derivano dalla possibilità che una scala maggiore di produzione comporti un utilizzo più efficiente delle capacità produttive delle singole fasi del processo produttivo. Se gli input sono indivisibili e complementari, una piccola scala può essere soggetta a tempi d’inattività o a fenomeni di sottoutilizzazione delle capacità produttive di alcuni sotto-processi. Una scala di produzione maggiore può rendere compatibili le differenti capacità produttive. La riduzione dei tempi d’inattività macchinari è cruciale nel caso di un elevato costo dei macchinari.
====Economie riguardanti le informazioni e le conoscenze====
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===Economie di dimensione===
Le economie di dimensione derivano dalla tridimensionalità dello spazio. Si pensi al caso dei contenitori, come cisterne, tubi, forni. Se consideriamo tubazioni di dimensioni via via maggiori, l’aumento del costo è approssimativamente pari all’aumento della superficie, mentre la capacità produttiva è data dal volume che cresce più che proporzionalmente rispetto alla superficie.<ref>Si veda Robinson (1931, pp. 22-3); Scherer (1980, pp. 82-3); Pratten (1991, pp. 16-17).</ref> In alcune produzioni, un aumento della dimensione dell’impianto riduce non solo il costo dell’investimento per unità di prodotto, ma anche il costo medio variabile, grazie al risparmio di energia derivante dalla minor dispersione di calore ottenuta tramite la diminuzione del rapporto superficie/volume dell’impianto. Le economie di dimensione sono spesso interpretate in modo erroneo, a causa della confusione tra indivisibilità e tridimensionalità dello spazio. Questa confusione nasce dal fatto che gli elementi di produzione tridimensionali, come tubature e forni, una volta installati e operanti, sono sempre tecnicamente indivisibili. Le economie di scala dovute all’aumento della dimensione non dipendono tuttavia dalla indivisibilità ma esclusivamente dalla tridimensionalità dello spazio. L’indivisibilità comporta, infatti, solamente l’esistenza di economie di scala prodotte dal bilanciamento delle capacità produttive, considerate sopra; oppure di rendimenti crescenti rispetto al singolo impianto, dovuti a un suo migliore utilizzo
==Economie di apprendimento e di crescita==
Le [[economie di apprendimento]] e di crescita sono alla base delle economie di scala dinamiche, associate al processo di crescita della dimensione di scala e non, come nei punti precedenti, alla dimensione di scala di per sé. L’apprendimento sul posto di lavoro migliora l’abilità di esecuzione e favorisce l’introduzione di innovazioni incrementali con un progressivo abbassamento dei costi medi.<ref>Rosenberg (1982); Levin et al. (1988); Scherer (2000, p. 22).</ref> Le economie di apprendimento sono direttamente proporzionali alla [[produzione cumulata]] nel tempo, partendo dall'inizio del [[Gestione del ciclo di vita del prodotto|ciclo di vita di un prodotto]]. La relazione tra la produzione cumulata e i costi unitari è stata sintetizzata nella [[curva di esperienza]].
Le economie di crescita si verificano quando un’impresa acquisisce dei vantaggi
==Potere di mercato e attività d’influenza e lobbying==
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==Le economie di scala e la tendenza verso il monopolio: il dilemma di Cournot==
Una logica conseguenza della presenza di economie di scala è che la a prima impresa capace di aumentare la scala di produzione può estromettere, grazie ai costi unitari più bassi, le altre imprese operanti sul mercato, diventando quindi monopolista. È stato però notato che in numerosi settori industriali si riscontra la presenza di numerose imprese di diverse difensioni e strutture organizzative, nonostante la presenza di rilevanti economie di scala. Questa contraddizione, tra l’evidenza empirica riguardante la forma di mercato e l’incompatibilità logica fra economie di scala e concorrenza, è stata denominata ‘dilemma di
==Le economie di scala nella storia dell'analisi economica==
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:"Le economie derivanti da un aumento della scala di produzione di una data specie di merci possono suddividersi in due categorie: in primo luogo quelle dipendenti dallo ''sviluppo generale dell'industria''; e in secondo luogo, quelle dipendenti dalle ''risorse delle singole imprese, dalla loro organizzazione e dall'efficienza della loro amministrazione''. Possiamo chiamare le prime ''economie esterne'', e le seconde ''economie interne''."<ref>Marshall (1972, pp. 389-390).</ref>
Qui Marshall porta alle logiche conseguenze quanto affermato nei precedenti lavori e "crea" la nozione di [[economie esterne]], cioè quel particolare tipo di economie di scala collegate non alla scala di produzione dell'unità produttiva, ma a quella del settore. Nei ''Principi'' quindi egli allenta il legame esistente tra i vantaggi derivanti dall'aumento del volume complessivo della produzione e quelli derivanti dalla localizzazione, anche se esso non viene mai completamente meno: le principali economie esterne sono per lui ancora quelle "economie che risultano dallo sviluppo di industrie connesse che si aiutano a vicenda; e che talvolta sono concentrate nella stessa località", anche se in ogni caso "si valgono dei mezzi moderni di comunicazione offerti dalle ferrovie, dal telegrafo e dalla stampa"<ref>Marshall (1972, p.
Per quanto concerne le ''economie interne'', cioè le economie di scala come normalmente intese, Marshall osserva che "i vantaggi della produzione su larga scala si vedono nel modo migliore nell'industria manifatturiera", e classifica tali vantaggi in tre tipi:
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