Classe Navigatori: differenze tra le versioni

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Dall'[[Unità d'Italia]] in poi cominciò a farsi strada nella classe politica italiana l'idea dell'[[Colonialismo italiano|espansione imperialista]]. Uno degli obbiettivi più prevedibili era l'egemonia nello scacchiere mediterraneo e per rendere il [[Mediterraneo]] "mare nostrum" occorreva averne il controllo marittimo e navale. Questi concetti rendevano la [[Francia]] il principale potenziale avversario navale dell'Italia e gli attriti tra le due nazioni si avvicinavano al limite dello scontro quando la [[prima guerra mondiale]], con la necessità di fare fronte comune contro il rischio dell'egemonia degli [[Imperi Centrali]], raffreddò temporaneamente questi attriti. Terminato vittoriosamente il conflitto, le tensioni ripresero e, successivamente al [[Trattato navale di Washington|trattato di Washington]] del [[1920]] in cui l'Italia appoggiata dalla [[Gran Bretagna]] ottenne la parità di tonnellaggio con la Francia<ref>Il trattato di Washington, tra le altre cose, prevedeva i limiti di tonnellaggio totale delle navi da guerra che ogni nazione aderente poteva possedere. Per Francia e Italia questo limite fu fissato a 177.800 tonnellate. Questa decisione indispettì la Francia che dovendo impegnare la propria flotta su due fronti, Atlantico e Mediterraneo, avrebbe voluto per sé un limite più elevato: la parità con l'Italia metteva teoricamente la Francia in condizioni di svantaggio nel Mediterraneo (Alessandro Turrini, ''La strategia italiana dopo la prima guerra mondiale'', in ''La conquista degli abissi'', 2ª ed. Gorizia, Vittorelli Edizioni, 2006, ISBN 88-88264-05-1).</ref>, diedero la spinta ad una strategia di riarmo navale volta interamente alla competizione con la flotta francese<ref>{{cita libro|autore= Alessandro Turrini|capitolo= La strategia italiana dopo la prima guerra mondiale|titolo=La conquista degli abissi|edizione= 2ª ed.|città = Gorizia|editore= Vittorelli Edizioni|anno= 2006| ISBN= 88-88264-05-1}}
</ref>. Infatti fino verso il 1936 gli strateghi italiani considerarono come ipotesi bellica più verosimile quella di una guerra contro la Francia, che sarebbe stata combattuta prevalentemente a terra e nella quale gli scontri navali sarebbero state delle prove di forza tra le grandi flotte dei due Paesi<ref>{{cita|Giorgerini}}.</ref>.
 
In quest'ottica di guerra navale classica, oltre a sviluppare le [[Nave da battaglia|navi da battaglia]] e gli [[Incrociatore pesante|incrociatori pesanti]], la Regia Marina riprese in considerazione l'utilizzo degli esploratori, non ritenendo l'arma aerea sufficientemente affidabile e troppo limitata dalle distanze e dalle condizioni atmosferiche. Pertanto, sempre seguendo l'impulso della competizione con le similari navi francesi (in particolare i grossi cacciatorpediniere delle [[Classe Jaguar (cacciatorpediniere)|classi Jaguar]] e [[Classe Guépard (cacciatorpediniere)|Guépard]]), diede il via al progetto e alla costruzione da un lato degli [[Incrociatore leggero|incrociatori leggeri]] della {{nave|classe|Condottieri|incrociatore|6}} e dall'altro degli esploratori della {{nave|classe|Navigatori}}<ref>Erminio Bagnasco, ''Le costruzioni navali della Regia Marina italiana (1861-1945)'', supplemento al nº 9 di ''Rivista Marittima'', agosto-settembre 1996.</ref>.
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Gli obbiettivi del progetto prevedevano prima di tutto una velocità assai elevata, un [[artiglieria|armamento]] antinave consistente e una discreta autonomia. A parte la velocità nessuno degli altri obbiettivi fu raggiunto in maniera tale da equivalere le suddette navi francesi, che risultarono più grandi e meglio armate. Il costo risultò comunque non indifferente, soprattutto per le scarse risorse che lo Stato italiano poteva dedicare all'industria bellica: infatti ogni unità, escluso l'armamento e gli altri accessori militari e di servizio, venne a costare circa 21 milioni di lire dell'epoca, pari a circa 17 milioni di [[Euro]] attuali ([[2007]]).
 
All'epoca della loro entrata in servizio questi esploratori erano quindi un tipo di nave già obsoleto e le marine da guerra di altre nazioni si stavano già rivolgendo verso tipologie di naviglio più moderne<ref name=autogenerato2>{{cita|Maurizio Brescia}}.</ref>. Tuttavia i Navigatori anche se molto criticati alla loro apparizione e durante gli anni successivi, proprio per le loro caratteristiche di armamento e, nel complesso, di buona tenuta al mare, si rivelarono navi ben indicate per un compito molto diverso dall'originale, ma che diventerà preminente durante la [[seconda guerra mondiale]]: la scorta ai convogli per la protezione del traffico marittimo<ref name=autogenerato1>{{Cita|Franco Bargoni}}.</ref>.
 
== Caratteristiche costruttive ==
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Sul ponte di coperta erano sistemate le imbarcazioni di servizio e di salvataggio. Ai lati del secondo fumaiolo trovavano posto a dritta un [[motoscafo]] da 7 m e una baleniera<ref>In questo caso per "baleniera" si intende una [[scialuppa]] veloce del tipo di quelle usate dai [[Caccia alla balena|balenieri]].</ref> e a sinistra una motolancia<ref>Piccola imbarcazione a motore.</ref> e una lancia<ref>Piccola imbarcazione affusolata, simile a una scialuppa.</ref> a remi da 8,5 m. A proravia del paraonde<ref>Bassa paratia posta sul castello di prua con lo scopo di proteggere in parte dalle ondate le strutture retrostanti (in questo caso il cannone di prora e la tuga).</ref> sul castello si trovava uno zatterino da 3,5 m. Nel periodo bellico le dotazioni di salvataggio furono integrate da sette [[zattera|zattere]] tipo "Carley" di varie misure, capaci di accogliere da 13 a 39 naufraghi, fissate ai lati dei fumaioli e sulla copertura scudata dei complessi binati da 120/50 (e quindi molto esposti a danni da battaglia). Nella migliore delle ipotesi queste zattere in totale potevano accogliere da 157 a 178 persone, molto meno dell'equipaggio effettivo e degli eventuali trasportati, che si sarebbero quindi dovuti affidare ai giubbotti salvagente.
 
All'ingresso in servizio tutte le unità avevano la colorazione classica in grigio chiaro che fu mantenuta fino al novembre [[1941]]. In quella data infatti la [[Regia Marina]] iniziò la sperimentazione di colorazioni mimetiche ideate dal pittore Rudolf Claudus.<ref>Notizie relative al pittore di marina [http://www.sullacrestadellonda.it/pittori/claudus.htm Rudolf Claudus] {{webarchive|url=https://web.archive.org/web/20080805162212/http://www.sullacrestadellonda.it/pittori/claudus.htm |data=5 agosto 2008 }}.</ref> La prima unità a ricevere la colorazione sperimentale fu lo ''Zeno'' che la mantenne per circa un anno per poi uniformarsi allo schema ufficiale definitivo a tre toni (grigio scuro, grigio chiaro e bianco sporco), che fu applicato su quasi tutte le altre unità. Non ricevettero mai la colorazione mimetica il ''Da Mosto'' (sebbene fosse già previsto lo schema mimetico, l'unità venne affondata prima di poterlo realizzare), il ''Pessagno'' e il ''Tarigo'' che mantennero quindi la livrea grigio chiaro fino all'affondamento. Dopo i primi mesi di guerra, per migliorare l'identificazione da parte degli aerei amici (durante la [[Battaglia di Punta Stilo|scontro di Punta Stilo]] alcune unità vennero bombardate per errore da aerei italiani<ref>{{cita|Fioravanzo 1959}}.</ref><ref>{{cita|Mattesini}}.</ref><ref>{{collegamento interrotto|1=http://italian-navy.com/battles/puntastilo/part3_it.htm |date=febbraio 2018 |bot=InternetArchiveBot }} Regia Marina italiana - La Battaglia di Punta Stilo Tomo III - La Regia Aeronautica fallisce.</ref>), la zona prodiera del ponte di castello venne pitturata a strisce diagonali bianche e rosse.
 
=== Apparato propulsore ===
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[[File:RCT_Da_Verazzano_Fraccaroli_Allan_1968_2a.jpg|thumb|left|Cacciatorpediniere classe Navigatori in missione nei primi mesi di guerra. In primo piano il complesso binato da 120/50 di centro nave.]]
 
Una sola unità, il ''Da Recco'', sopravvisse alla guerra e fu radiata nel [[1954]]. Le altre 11 navi subirono addirittura 12 affondamenti, poiché il ''Pancaldo'' venne affondato una prima volta in acque basse, recuperato, e affondato nuovamente qualche anno dopo. Quattro navi vennero perse in azione contro unità nemiche, una venne persa su mine, una affondò per bombardamento aereo, due vennero affondate dai [[Germania|tedeschi]], una (''Usodimare'') venne colpita per errore l'8 giugno [[1942]] dal [[sommergibile]] italiano ''[[Classe Serie 600 - Adua (sommergibile)|Alagi]]'' durante una missione di scorta a convoglio<ref>{{cita|Cocchia 1962}}.</ref><ref>AA.VV. ''Vita e morte del soldato italiano nella guerra senza fortuna'', Ginevra, Edizioni Ferni, 1974.</ref><ref>{{cita web |url=http://www.regiamarina.net/timeline/1942/1942_it.htm |titolo=Copia archiviata |accesso=22 agosto 2008 |urlmorto=sì |urlarchivio=https://web.archive.org/web/20080929224233/http://www.regiamarina.net/timeline/1942/1942_it.htm |dataarchivio=29 settembre 2008 }}</ref>,
avendo il sommergibile scambiato uno dei caccia della scorta per un'unità inglese<ref>Il cacciatorpediniere ''Premuda'', ex jugoslavo ''Dubrovnik'', venne catturato all'inizio delle ostilità con la Jugoslavia; rimesso in servizio dopo prolungati lavori, era di scorta allo stesso convoglio dell<nowiki>'</nowiki>''Usodimare''; avvistato dall<nowiki>'</nowiki>''Alagi'', venne attaccato, ma i siluri colpirono invece l<nowiki>'</nowiki>''Usodimare'' che navigava nei pressi.</ref>, e le ultime due (''Pigafetta'' e ''Zeno'') vennero sabotate dall'equipaggio all'armistizio. Il ''Pigafetta'' venne recuperato dai tedeschi per essere poi affondato sotto bandiera tedesca nel [[1944]].
 
I "Navigatori" furono unità molto attive nel periodo bellico: in totale eseguirono 1.651 missioni per 571.306 [[Miglio nautico|nm]] percorse in 35.509 ore di moto, consumando 219.596 tonnellate di nafta<ref>Questi consumi erano decisamente elevati, specie se confrontati con quelli di unità più moderne come la [[Classe Soldati (cacciatorpediniere)|classe Soldati]] che, a parità di tipologie di missione svolte, avevano consumi medi inferiori di quasi il 15% pur tenendo velocità operative superiori dell'8% ({{cita|Maurizio Brescia|op. cit.}})</ref>. Esse furono anche tra le navi più multiruolo del conflitto: parteciparono attivamente alle attività di squadra (60 missioni pari al 3,6%), ma soprattutto svolsero numerosissime missioni di posa mine (150 missioni - 9,1%), trasporto truppe e materiali (87 missioni - 5,3%) e scorta ai convogli per l'Africa Settentrionale (ben 521 missioni - 31,6%). Occasionalmente vennero anche impiegate in 33 missioni di caccia antisommergibile e 13 missioni di bombardamento costiero. A testimonianza dell'intenso e rischioso impiego di queste unità stanno i 3.716 giorni passati in cantiere per manutenzione o riparazione.
 
Nelle attività della squadra le unità della classe Navigatori rivestirono quasi sempre un ruolo secondario, a causa delle basse velocità operative: infatti, con i loro 28 [[nodo (unità di misura)|nodi]] di velocità massima, non potevano scortare efficientemente le nuove grandi unità di squadra, capaci di velocità tra i 30 e i 37 nodi.<ref>Questo perché normalmente le unità di scorta dovevano avere velocità ben maggiori delle unità principali che scortavano, in modo da poter essere efficacemente impiegate in attacchi, soprattutto con siluri, contro le unità maggiori avversarie ed avere ragionevoli possibilità di manovrare e scampare contro le ben più potenti artiglierie alle quali erano opposti. Ben adatti allo scopo erano i cacciatorpediniere delle più moderne classi [[Classe Alfredo Oriani (cacciatorpediniere)|Poeti]] e [[Classe Camicia Nera (cacciatorpediniere)|Soldati]] capaci di arrivare ai 35-38 nodi.</ref> Ciò non impedì ad alcune di esse di distinguersi per il coraggio e il valore in combattimento. In particolare si ricorda la tenacia del ''Vivaldi'' e del ''Malocello'' impegnati contro forze nemiche nettamente superiori durante lo [[Battaglia di mezzo giugno#La battaglia di Pantelleria|Scontro di Pantelleria]]. Ai due caccia, attardati dalla ridotta velocità del ''Vivaldi'', fu ordinato di sganciarsi dalla formazione per attaccare il convoglio inglese con i siluri, ma essi si trovarono di fronte dapprima a quattro cacciatorpediniere inglesi della XII flottiglia, sbucati da una cortina fumogena, seguiti poco dopo da altri cinque caccia dell'XI flottiglia<ref>{{cita|Luis De La Sierra}}.</ref><ref>''Racconti Navali'' Volume 1°, Editrice A.N.M.I., prima edizione 1967, pp. 193 e 195.</ref>; nell'impari combattimento che ne seguì, per oltre mezz'ora le due unità italiane sostennero il fuoco britannico contrattaccando con cannoni e siluri, sebbene il ''Vivaldi'' fosse stato colpito e immobilizzato. Infine le unità britanniche interruppero l'azione ritornando a proteggere il proprio convoglio ed il ''Vivaldi'', con l'aiuto del ''Malocello'', del ''Premuda'' e di varie unità minori, raggiunse [[Pantelleria]]<ref>{{cita|Arrigo Petacco}}.</ref>. Anche il ''Pigafetta'' nella stessa azione ebbe modo di dimostrare, seppure in modo diverso, il suo valore: fu infatti assegnato al rischioso compito di proteggere e trainare, in una zona infestata da sommergibili britannici, l'[[Trento (incrociatore)|incrociatore Trento]], che era stato colpito da un siluro e che fu poi affondato dal [[sommergibile]] britannico ''P.35''<ref>{{cita|Incisa Della Rocchetta}}.</ref><ref>Luigi Lauro, ''Missioni di Guerra'', in ''Marinai d'Italia'', 2007, nº 3, p. 38.</ref>
 
[[File:RCT_Navigatori_posamine_1941_Ando_1976.jpg|thumb|left|Cacciatorpediniere classe Navigatori nel 1941 con un carico di mine del tipo P.200.]]
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Soprattutto negli ultimi mesi di guerra il trasporto veloce di truppe e materiali sulla cosiddetta "rotta della morte"<ref>Il termine "rotta della morte" veniva usato per indicare la rotta obbligata tra [[Italia]] e [[Tunisia]], delimitata da estesi campi minati, che i convogli italiani diretti in Nordafrica erano costretti a percorrere tra la fine del 1942 e la caduta della Tunisia (13 maggio 1943). Essendo questa rotta ben nota alla marina britannica, le navi italiane erano continuamente sottoposte ad attacchi dall'aria e dal mare con ingenti perdite di uomini, materiali e navi.</ref> vide impegnate quasi incessantemente le unità ancora efficienti dei "Navigatori": nuove truppe venivano fatte affluire in [[Tunisia]] per l'ultima inutile resistenza mentre reduci e prigionieri venivano riportati in [[Italia]] in un continuo andirivieni. La scarsità e la lentezza dei mercantili ancora in efficienza fece sì che per questi trasporti venissero utilizzati preferibilmente i cacciatorpediniere, veloci e ben armati. Anche se queste missioni costituirono solo il 5% del totale, costarono la perdità di due unità (''Malocello'' e ''Pancaldo'') e di 264 uomini.
 
Ma la vera guerra dei "Navigatori" fu quella oscura ed estenuante delle scorte ai convogli: queste navi ancora relativamente veloci e molto ben armate (all'inizio soprattutto in termini di artiglierie anti-nave, successivamente venne potenziato soprattutto l'armamento antiaereo) furono probabilmente le migliori unità di scorta che ebbe la [[Regia Marina]].<ref>{{cita|Maurizio Brescia|p. 36}}.</ref> Un terzo delle missioni fu infatti di questo tipo e costò l'affondamento di ben cinque unità e il danneggiamento grave di un'altra (''Da Recco'') con la perdita di oltre 350 uomini.
 
Il ''Pancaldo'', prima nave colpita della classe, venne affondata dagli [[Aerosilurante|aerosiluranti]] [[Fairey Swordfish|Swordfish]] della [[portaerei]] ''[[Eagle (portaerei)|Eagle]]'', al ritorno dalla [[battaglia di Punta Stilo]], il 9 luglio [[1940]]. La nave, come è già stato accennato, venne recuperata grazie all'affondamento avvenuto in acque basse e rientrò in servizio dopo due anni e mezzo di lavori.