Appercezione: differenze tra le versioni

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Dopo Kant l'appercezione pura o ''io penso'' diventerà il fondamento dell'[[idealismo]] di [[Fichte]] e di [[Friedrich Schelling|Schelling]], che lo trasformano nell'[[io (filosofia)|Io assoluto]]. Fichte riconosce a Kant il merito di aver dato grande valore all'attività del soggetto, ma gli contesta di avere slegato la conoscenza umana dalla [[cosa in sé]], facendo dell'unità soggetto/oggetto un'entità puramente formale. Ad una forma deve corrispondere una sostanza, un contenuto, che Kant aveva bensì riconosciuto ma soltanto su un piano concettuale relegato all'ambito del fenomeno; egli svuotava così l'oggettività della sua stessa valenza oggettiva. Per Fichte, invece, il soggetto è "forma [[trascendentale]]" proprio in quanto crea da sé il suo contenuto, non potendo esserci soggetto senza un oggetto. L'appercezione viene pertanto da lui identificata con l'[[intuizione intellettuale]], ossia con la capacità che ha l'intelletto di accedere alla cosa in sé, essendo quest'ultima diventata una parte dell'io, un momento della sua attività di autocostruzione. Perché si sviluppi l'[[autocoscienza]] rimane tuttavia essenziale che l'oggetto non venga per ciò stesso dissolto nel soggetto, pertanto Fichte ricorre alla kantiana ''immaginazione produttiva'' per spiegare come la creazione dell'oggetto operi pur sempre [[inconscio|inconsciamente]], e vi si debba accedere per una via diversa da quella teoretica.<ref>Francesca Caputo, ''Etica e pedagogia'', vol. II, ''Linee di teorizzazione etica e pedagogica dal Rinascimento a Nietzsche'', Pellegrini, Cosenza 2005, ISBN 9788881012459, pagg. 124-126: «Le istanze teoriche fatte valere da Fichte vanno valutate alla luce della riflessione propriamente [[etica]]. [...] La contrapposizione finito-infinito, che non può essere risolta dalla ragion teoretica perché sfugge ad ogni dimostrazione, viene risolta dalla ragion pratica».</ref>
 
L'aspetto essenzialmente pratico, concreto, dell'appercezione, con cui l'Io non solo [[conoscenza|conosce]] ma [[azione (filosofia)|agisce]], sarà anche il nucleo dell'[[attualismo (filosofia)|idealismo attuale]] di [[Giovanni Gentile]], il quale sottolinea che la natura ''trascendentale'' dell'«Io penso» non può essere compresa come una realtà compiuta, bensì unicamente quale «[[atto (filosofia)|atto]] ''in atto''», ossia un atto mai definitivamente concluso, costantemente in attività e in continuo [[divenire]]: per questo non lo si può mai trascendere né oggettivare, essendo la nostra stessa [[soggettività]].<ref name=dallari>{{cita web|url=http://www.filosofico.net/gentileteoriaddalari.htm|autore=Edoardo Dallari|titolo=Teoria generale dello Spirito come atto puro}}</ref>
{{citazione|Affinché si possa conoscere l'essenza dell'attività trascendentale dello spirito, bisogna non considerare mai questo, che è spettatore, dal di fuori; non bisogna proporselo mai, esso stesso, come oggetto della nostra esperienza; esso stesso, spettacolo. La [[coscienza]], in quanto oggetto di coscienza, non è più coscienza; convertita in oggetto appercepito, l'appercezione originaria cessa di essere appercezione: non è più soggetto, ma oggetto: non è più Io, ma non-io. [...] La vera attività [[pensare|pensante]] non è quella che definiamo, ma lo stesso pensiero che definisce.|Giovanni Gentile, ''[[Teoria generale dello spirito come atto puro]]'' [1916], cap. I, § 6<ref>Cit. in [[Giovanni Gentile]], ''[https://books.google.it/books?id=ZnGgDQAAQBAJ&printsec=frontcover&hl=it#v=onepage&q&f=false L'attualismo]'', pag. 82, a cura di [[Emanuele Severino]], Milano, Bompiani, 2014.</ref>}}
 
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==Collegamenti esterni==
* {{Collegamenti esterni}}
*{{cita web|http://www.filosofico.net/Antologia_file/AntologiaL/LEIBNIZ_%20PERCEZIONE%20E%20APPERCEZIO.htm|Scritti di Leibniz: percezione e appercezione}}
*{{cita web|http://www.filosofico.net/Antologia_file/AntologiaK/Kant_09.htm|''Critica della ragion pura'' di Kant: "io penso" e unità trascendentale}}
*{{cita web|url=http://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=10957|titolo=Francesco Lamendola, ''L’"io penso" kantiano e l'autocastrazione del pensiero moderno''}}
{{Immanuel Kant}}