Ca' Dolfin: differenze tra le versioni
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'''Ca' Dolfin''' (detto anche '''Palazzo Secco Dolfin''' o '''Palazzo Dolfin''') è un edificio civile situato nel sestiere di [[Dorsoduro]] di [[Venezia]] vicino a [[Chiesa di San Pantalon|San Pantalon]]; uno dei numerosi palazzi sparsi per Venezia un tempo posseduti
== Storia ==
Dai rilievi compiuti durante il restauro successivo al 1955 sappiamo che su quel luogo insisteva una costruzione già nel IX secolo. Dalla documentazione archivistica risulta che, nella stessa posizione, nel Duecento esisteva un edificio di proprietà dei Barbo (citati come allora come ''Barpo'') assieme ad altre case attorno<ref>{{Cita|Mantoan-Quaino}}, p. 208.</ref>.
In una data ignota l'edificio trecentesco dei Barbo fu acquisito dai Secco, una ricca famiglia di origine bergamasca. È pensabile che avesse già la configurazione di un palazzo, visto che prima della cessione la tenevano in affitto a Marcella Marcello per 95 ducati annui. Gli ultimi eredi, che risiedevano da tempo a Padova dove erano stati ammessi nella nobiltà locale, decisero di vendere la casa per 12.000 scudi nel 1621.<ref>{{Cita|Mantoan-Quaino}}, pp. 184, 207, 210-211.</ref> L'acquirente fu l'importante famiglia Dolfin che presto vi intraprese grandi lavori di modifica.<ref>{{Cita|Zorzi 1989}}, p. 478.</ref>[[File:Dolfin01.jpg|miniatura|Scorcio del salone di Ca' Dolfin verso est
L'acquirente diretto dell'edificio fu il [[cardinale]] [[Giovanni Dolfin (1545-1622)|Giovanni Dolfin]], figlio di Iseppo, questi però morì l'anno successivo per cui si deve quasi certamente al nipote Nicolò l'avvio della ristrutturazione del palazzo.<ref>{{Cita|Mantoan-Quaino}}, pp. 181, 184</ref> Difatti già nel 1663 Giustiniano Martinioni, nelle sue aggiunte al [[Francesco Sansovino|Sansovino]], tiene a segnalare come ragguardevole il palazzo «di Nicolò Delfino grandissimo Senatore, fabbricato […] alla Romana […]» sul «rio di S. Pantaleone».<ref>{{Cita|Martinioni 1663}}, p. 393.</ref> Sicuramente prima che i lavori fossero conclusi venne approntata nel giardino una grande costruzione in legno, provvisoria ma lussuosa, per accogliere il re di Danimarca [[Federico IV di Danimarca|Federico IV]] l'11 febbraio nel 1709 con una festa di carnevale ricordata come memorabile.<ref>Lo stesso stratagemma della costruzione provvisoria fu utilizzato dalle altre famiglie incaricate dell'ospitalità, Il re aveva deciso di viaggiare in forma privata come conte di Oldenburg per questo la Repubblica non potè intervenire ufficialmente ma incaricò quattro patrizi insigniti dell'ordine equestre (Nicolò Erizzo, Giambattista Nani, Daniele Dolfin e un Morosini di san Canzian) di provvedere a proprie a proprie spese. Non è chiaro dai documenti, né condiviso nell'interpretazione degli storici, se il cavaliere incaricato ufficialmente fosse Daniele III giovanni o Daniele IV Gerolamo, certamente i due collaborarono. Cfr. {{Cita|Mantoan-Quaino}}, pp. 191-195.</ref> [[Tommaso Temanza|Temanza]] assegna i lavori di risistemazione a [[Domenico Rossi (architetto)|Domenico Rossi]], sicuramente questi ultimi furono limitati al salone e all'ultimo piano, mentre i precedenti interventi sono attribuibili ad altri architetti della cerchia del Longhena come [[Giuseppe Sardi (1624-1699)|Giuseppe Sardi]], zio del Rossi.<ref name=":0">{{Cita|Zorzi 1989}}, p. 480.</ref>
Nei due decenni successivi i fratelli Daniele III e Daniele IV Dolfin fecero intraprendere un vasto programma iconografico per la decorazione del salone. Lo scopo era la glorificazione della loro storica famiglia. Dapprima, intorno al 1914, chiamarono [[Nicolò Bambini]] e [[Antonio Felice Ferrari]] per affrescarne il soffitto e successivamente [[Giambattista Tiepolo]] per realizzare, tra il 1725
[[File:The Ca Dolfin Tiepolos The Metropolitan Museum of Art Bulletin v 55 no 4 Spring 1998 Pagina 29 Immagine 0002.jpg|thumb|upright=1.4|Scorcio del salone di Ca' Dolfin, vista verso nord ovest|alt=]]
Con Andrea (1748-1798) il ramo dei Dolfin di san Pantalon si estinse e il palazzo finì in eredità alla sorella Cecilia Dolfin sposata con Francesco [[Lippomano]] e da questa nel 1854 al nipote [[Giovanni Querini Stampalia]].<ref>{{Cita web|url=http://www.querinistampalia.org/ita/uploads/schedeMuseo.pdf|titolo=Palazzo Querini Stampalia - Salotto verde|formato=pdf|accesso=30 giugno 2019}} </ref> La casa rimase abbandonata per oltre settant'anni fino al 1872 quando, per pagare le tasse di successione, la neonata [[Fondazione Querini Stampalia]] fu costretta a vendere prima i Tiepolo (per 6.000 lire) e poi l'intero edificio con le opere contenute all'antiquario Michelangelo Guggenheim per altre 16.520.<ref>{{Cita|Mantoan-Quaino}}, p. 222</ref> Solo il ritratto dell'avo [[Daniele Girolamo Dolfin|Daniele IV]] (forse perché un tempo ritenuto il ritratto di un procuratore [[Querini]])<ref>{{Cita|Pedrocco-Gemin}}, p. 406.</ref> pervenne al museo della Querini Stampalia dov'è ancora.
Le cifre erano decisamente esigue per ambedue le vendite. Tuttavia bisogna ricordare la sfortuna del barocco e del rococò a quel tempo e lo stesso Tiepolo era considerato soltanto un abile decoratore.<ref>Vedi la lettera di [[Giovanni Morelli (storico dell'arte)|Giovanni Morelli]] (21/2/1872) pubblicata integralmente in {{Cita|Christiansen 1998}}, p. 59.</ref> Quanto al palazzo era quasi in rovina: i Querini lo avevano utilizzato come cava di materiali pregiati (
Guggenheim vendette i dieci teleri del Tiepolo al barone Eugen Miller von Aichholz per 50.000 lire,<ref>{{Cita web|url=https://www.metmuseum.org/art/collection/search/437788?&searchField=All&sortBy=Relevance&ft=tiepolo&offset=0&rpp=20&pos=2|titolo=The Triumph of Marius|sito=Met Museum|accesso=25 giugno 2019}}</ref> più altre opere a vari clienti per ulteriori 30.000 lire, e nel 1876 il palazzo all'architetto Giovanni Battista Brusa. Le opere rilevate da von Aichholz presero strade diverse e finirono per emigrare in diversi musei di livello internazionale: oggi cinque sono all'[[Ermitage]] di [[San Pietroburgo]], tre al [[Metropolitan Museum of Art|Metropolitan Museum]] di [[New York]] e due al [[Kunsthistorisches Museum]] di [[Vienna]]. Sappiamo che Guggenheim vendette altre opere del palazzo per 30.000 lire ma in mancanza di descrizioni non è possibile identificarle.
Nel 1955 l'Università di Ca' Foscari colse l'occasione di acquistare l'edificio dalla famiglia Ambrosoli. La vicinanza alla sede centrale lo vedeva eleggibile per adattare il prestigioso salone ad aula cerimoniale
== Descrizione ==
[[File:Dolfin02.jpg|sinistra|thumb|upright=1.7|Nicolò Bambini e Antonio Felice Ferrari, ''Apoteosi di Venezia'', affresco, 1714 c.|alt=]]Ca' Dolfin ci appare oggi esternamente pressoché come l'aveva
La facciata sebbene non venga considerata di grande qualità riesce
Di sicura attribuzione al Rossi è l'ampliamento verso il giardino. Un corpo a "L" costituito da un blocco che estende l'edificio per tutta la sua larghezza e da un altro blocco che si prolunga da un lato dentro al giardino<ref name=":1" />. Da questo punto di vista l'edificio appare di quattro piani, compreso il pian terreno, rivelando l'altezza del salone sul canale corrispondente a quella del primo e secondo piano assieme.
Senz'altro per quanto riguarda gli interni l'opera di spoliazione finita dal Guggenheim era stata accurata. Oltre alle storie romane
Resta veramente di pregio il grande salone con la volta affrescata da [[Nicolò Bambini]] e [[Antonio Felice Ferrari]] e dove un tempo era la serie di storie romane dipinte su tela dal Tiepolo. Nelle lacune rimaste dentro le incorniciature affrescate a finto stucco che ospitavano le tele, Brusa, dopo l'acquisto del palazzo nel 1876, adattò delle specchiere anticheggianti.[[File:Dolfin05.jpg|thumb|upright=1.5|Nicolò Bambini, ''Apoteosi di Venezia'', particolare
Una volta concluso il nuovo grande spazio del salone venne dapprima realizzato il grande soffitto affrescato da Nicolò Bambini e incorniciato dalle quadrature di Antonio Felice Ferrari. Gli storici hanno
[[File:Dolfin04.jpg|sinistra|miniatura|Nicolò Bambini, ''Apoteosi di Venezia'', particolare dell'allegoria dell'''Abbondanza
La centrale area ovale affrescata dal Bambini rappresenta, con una notevole discrezione, una glorificazione dei Dolfin attraverso una ''Apoteosi di Venezia'': l'unico indiretto riferimento alla casata è il sorridente delfino che spuntando da una nuvola sorregge [[Anfitrite]]. Tuttavia nella composizione, che si sviluppa verso l'alto a partire dal lato finestrato
[[File:Dolfin07.jpg|miniatura|Antonio Felice Ferrari ?, allegoria del ''Consiglio'', sopra l'incorniciatura dove era il ''Trionfo di Mario'' ddi Tiepolo]]
A circondare la scena scendono dalla volta le quadrature di Ferrari, prima in pieno controluce poi aperte dai terrazzini [[Ferdinando Galli da Bibbiena|bibieneschi]] di luminose nicchie.<ref>{{Cita|Mariuz 1981}}, p. 184.</ref>
[[File:Giovanni Battista Tiepolo 069.jpg|miniatura|Giambattista Tiepolo, ''Annibale contempla la testa di Asdrubale'', Kunsthistorisches Museum
La dimostrata stretta aderenza dell'artista ai testi di [[Floro|Publio Anneo Floro]] (di cui era stata pubblicata a [[Leida]] nel 1722 un'edizione commentata) e di [[Tito Livio]] e l'accurata attenzione al repertorio antiquariale allora noto aveva lo scopo di conferire autorevolezza e veridicità storica alle vicende narrate.<ref>{{Cita|Conticelli 2002}}, pp. 262-263</ref>
L'aderenza ai testi è presente anche nell'uso di ''tituli'' inseriti in cartigli alla cima di ogni tela (per lo più cancellati e talvolta recuperati con errori ortografici dopo la vendita), cosa pittosto particolare a quel tempo. ''Tituli'' che, una volta sciolto il riferimento testuale, e associate le tele alle allegorie sovrastanti, consentono di ipotizzare una più precisa definizione dei soggetti, fino a qualche tempo fa approssimativi. Infine la forma e la dimensione delle incorniciature tuttora rimaste, il collegamento delle allegorie a fresco con le rappresentazioni
Entrando dal portale principale, e
Per
== I Dolfin di san Pantalon ==
[[File:Leandro Bassano – Portrait of Cardinal Giovanni Dolfin.jpg|miniatura|Leandro Bassano, ''Ritratto del cardinale Giovanni Dolfin''
[[File:Giambattista tiepolo, ritratto di un dolfin, procurtore generale da mar, 1755-60 ca. 01.jpg|miniatura|Giambattista Tiepolo, ''Daniele IV Dolfin Procuratore e Generale da Mar'', Pinacoteca Querini Stampalia, Venezia
[[File:Delfino-Dionisio - Patriarcato Udine.jpg|thumb|Anonimo, ''Ritratto del patriarca di Udine Dioniso Dolfin'']]
[[File:Ambassador Daniel Delfin 1791-Museo Correr.jpg|thumb|Giuseppe Grassi (disegno), Franz Velentin Durmer (incisione), ''Daniele Andrea Dolfin ambasciatore'', 1791, Museo Correr|alt=]]
Nella parrocchia di san Pantalon esistette un altro e precedente ramo di Dolfin di San Pantalon
Non si sa se il nuovo, e più noto, ramo giunse a san Pantalon ricevendo delle proprietà in eredità del primo né quale fosse il sito, o i siti, dove i due rami risiedevano; è solo noto che il ramo più recente fu
* '''Capostipiti'''
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**'''[[Giovanni Dolfin (1545-1622)|Giovanni Dolfin]]''' (1545-1622), nella prima parte della vita servi la Repubblica come ambasciatore in Francia, Polonia, Spagna, Vienna e [[Procuratori di San Marco|procuratore di San Marco]]; dal 1603, presi i voti, fu vescovo di Vicenza e dal 1604 cardinale. Fu lui ad acquistare il palazzo dei Secco.
**'''Dionisio Dolfin''' (1556-1626), vescovo di [[Vicenza]].
**'''Pietro Dolfin''' (1561-1593), nella
* '''Figli di Pietro'''
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* '''Figli di Nicolò'''
**'''[[Giovanni Dolfin (1617-1699)|Giovanni Dolfin]]''' (1617-1699), dopo essere stato senatore divenne un ecclesiastico e fu nominato [[Patriarchi di Aquileia|patriarca di Aquileia]] nel 1657 e poi cardinale,
**'''Marcantonio Dolfin''' (1625-1668), ancora giovane al seguito del padre a Candia fu presto catturato dai Turchi. Non venne più liberato nonostante i ripetuti tentativi di scambio di prigionieri.
**'''Daniele II Andrea Dolfin''' (1631-?) ebbe l'occasione di essere tra gli elettori di quattro Dogi, nel 1694 il Consiglio dei Dieci lo nominò tra i tre magistrati deputati alle Miniere.
**'''Giuseppe Dolfin''' (1622-1657), militare partecipò alla difesa di Candia e, capitano generale, nel 1654 si scontrò con i Turchi nello stretto dei Dardanelli. Svariate fonti, cronache
*'''Figli di Daniele II Andrea'''
**'''Daniele I Nicolò Dolfin''' (1652-1723), fu Podestà a [[Brescia]] nel 1698, poi
**'''[[Daniele Dolfin (1653-1704)|Daniele II Marco Dolfin]]''' (1653-1704) fu nunzio
**'''Daniele III Giovanni Dolfin''' (1654-1729) fu ripetutamente eletto savio di Terraferma e savio del Consiglio e provveditore alla sanità nel 1692, nello stessso anno fu insignito del titolo di cavaliere della Stola d’Oro, fu anche ambasciatore a Vienna dal 1702 al 1708 e
**'''[[Daniele Girolamo Dolfin|Daniele IV Gerolamo Dolfin]]''' (1656-1729) fu un militare
**'''[[Dionisio Dolfin]]''' (1663-1734), succedette allo zio Giovanni come Patriarca di Aquileia, a lui si devono le ristrutturazioni del palazzo patriarcale di Udine, con la nuova
* '''Figli di Daniele III Giovanni'''
**'''Daniele I Giovanni Dolfin''' (1676-1752), bandito a lungo da Venezia per aver ferito con la pistola un altro nobile
**'''[[Daniele Dolfin (1688-1762)|Daniele III Daniél Dolfin]]''' (1685-1762), succedette allo zio Dionisio come patriarca di Aquileia, titolo che mantenne anche dopo la soppressione del patriarcato (1751) e la sua divisione nelle due [[arcidiocesi di Udine]] e [[Arcidiocesi di Gorizia|Gorizia]]
**'''Daniele IV Andrea Dolfin''' (1689-?) fu governatore di nave nel 1729 e poi capitano delle navi, indi provveditore generale in Dalmazia dal 1735 al 1738.
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**'''[[Daniele Andrea Dolfin|Daniele I Andrea Dolfin]]''' (1748-1798 figlio di Daniele I Giovanni, fu ambasciatore a Parigi dal 1780 al 1785, senatore nel 1786, ambasciatore a Vienna dal 1786 al 1792., al ritorno a Venezia fu nel Consiglio dei Dieci e ripetutamente (1793, 1795, 1796) savio di Consiglio, dopo la caduta di Venezia partecipò alla Municipalità come membro del Comitato di Sanità, dopo il trattato di Campoformio fu presidente provvisorio della Municipalità. Fu l'ultimo del ramo di san Pantalon, sposato ma ormai senza figli, a causa della loro morte precoce, i suoi averi passarono alla sorella Cecilia sposata con Francesco [[Lippomano]].
Attraverso i figli di Cecilia, Gasparo e Maria, il patrimonio giunse a Giovanni Querini Stampalia che aveva sposato
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