Giacomo Matteotti: differenze tra le versioni
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=== Retroscena del delitto Matteotti ===
A conferma dell'intenzionalità del delitto, è utile ricordare che Amerigo Dumini, in data 31 maggio 1924, scrisse al direttore del carcere Poggioreale di Napoli di rilasciare il prigioniero austriaco Otto Thierschwald; il 2 giugno successivo incontrò quest'ultimo a Roma e gli dette istruzioni di pedinare Matteotti<ref>Dagli atti istruttori, riprodotti in Mauro Canali, Il delitto Matteotti, Il Mulino, Bologna, 1997, p. 313 ss.</ref> e di seguirlo in Austria dove l'uomo politico avrebbe partecipato ad un congresso socialista. Pochi giorni dopo (il 5 giugno)
[[Gianmatteo Matteotti|Matteo Matteotti]], il figlio dell'uomo politico socialista ha sempre sostenuto l'intenzionalità della morte del padre: secondo lui il fatto che i rapitori non avevano con sé né una pala né un piccone per seppellire il corpo una volta consumato il delitto, non bastava a provare che esso non fu premeditato. A sapere che Giacomo Matteotti doveva essere ucciso, sempre secondo Matteo, erano Amerigo Dumini e Amleto Poveromo; mentre ad assassinarlo furono i ripetuti colpi vibrati da Poveromo stesso<ref>Matteo Matteotti nell'intervista: "Me lo confessò, piangente e pentito, Poveromo in persona nel carcere di Parma dov'ero andato a trovarlo nel gennaio 1951, poco prima della morte di lui"</ref>, il quale, dopo aver chiesto a Dumini (al volante dell'auto) di uscire da Roma, seppellì sommariamente il cadavere con gli altri complici nel bosco della Quartarella (dove il 16 agosto verrà ritrovato da un brigadiere dei carabinieri) presso la via Flaminia, a 25 chilometri dalla città. Matteo Matteotti presume che fu un seppellimento volontariamente sommario: nell'auto non c'erano appunto strumenti da scavo, perché (secondo Matteo Matteotti questo lo sapevano a priori soltanto Dumini e Poveromo) in caso d'arresto l'assassinio doveva apparire omicidio preterintenzionale.
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