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L'atteggiamento del [[Partito Comunista Italiano|PCI]] nei confronti della questione dei confini orientali italiani fu ambiguo: già nel corso del conflitto esso aveva acconsentito a lasciare la [[Venezia Giulia]] e il Friuli orientale sotto il controllo militare dei partigiani di Tito<ref>Istituto friulano per la storia del Movimento di liberazione, ''Resistenza e questione nazionale'': atti del Convegno "Problemi di storia della resistenza in Friuli", Udine 5/6/7 novembre 1981, Volume 1, Del Bianco, 1984 cit.: «Per tutte queste ragioni il PCI invita i comunisti della Venezia G. e delle regioni che entreranno nel campo delle prossime operazioni militari di Tito, a far appello, a tutte le forze sinceramente democratiche e antifasciste delle loro località perché appoggino con la più grande fiducia ed il più grande entusiasmo tutte le iniziative, tutte le azioni sia politiche che militari che l'OF intenderà intraprendere per la liberazione dei territori da loro abitati. (...) Anche su questo punto delle direttive del compagno E., concordate con Birk e gli altri due compagni dirigenti jugoslavi, ci permettiamo di ricordare il nostro perfetto accordo già manifestato nel "Saluto ai nostri amici ed alleati jugoslavi".»</ref>, avallando così la successiva occupazione jugoslava<ref>Raoul Pupo, Fulvio Anzellotti, ''Venezia Giulia: immagini e problemi 1945'', Editrice Goriziana, 1992, p.58 cit.:«Ciò che invece sembra ormai assodato, è che la decisione del PCI di favorire l'occupazione jugoslava dell'intera Venezia Giulia, quale viene espressa ad esempio nel Saluto ai nostri amici e alleati jugoslavi pubblicato nell'ottobre 1944 su "La nostra lotta"»</ref>: fu per questo motivo che venne ordinato ai [[Brigate Garibaldi|partigiani]] operanti nella regione di porsi sotto il controllo del comando jugoslavo (e fu proprio in tale contesto che maturò l'[[eccidio di Porzûs]]<ref>[https://web.archive.org/web/20090206145204/http://www.romacivica.net/ANPIROMA/DOSSIER/Dossier1a4.htm Pier Paolo Pasolini sull'Eccidio di Porzûs]</ref>).
Successivamente {{il PCI richiese che i territori assegnati all'Italia col Trattato di Rapallo (1920) passassero alla Jugoslavia}}, ritenendo che i diritti nazionali degli italiani sarebbero stati tutelati dal nuovo ordine socialista imposto da Tito al suo Paese; infine - a partire dalla metà del 1945 e massimamente a seguito della rottura fra Tito e Stalin - passò a una difesa del carattere italiano della città di Trieste: in un primo momento sposando la linea per la quale era da crearsi il [[Territorio Libero di Trieste]], in seguito, dal 1948, assumendo il mantenimento della città in Italia fra gli obiettivi del suo programma politico.
In particolare, il PCI di Trieste - allontanatosi alla fine del 1944 dal [[Comitato di Liberazione Nazionale|CNL]] cittadino per sottoporsi gerarchicamente al [[Fronte di Liberazione del Popolo Sloveno|fronte di liberazione della Slovenia]] - auspicò, durante il corso di un'assemblea pubblica indetta dalle autorità italo-slave, quella che venne definita "risoluzione settima repubblica", che prevedeva la formazione di una settima repubblica federativa jugoslava, di carattere italiano (con una bandiera ufficiale già prevista e realizzata), comprendente Trieste, Monfalcone e il Friuli orientale: a tale scopo venne creato il [[Partito Comunista della Venezia Giulia]]<ref>Notizia sul Partito Comunista della Venezia Giulia in Cristiana Colummi, Liliana Ferrari, Gianna Nassisi, Germano Trani, ''Storia di un esodo. Istria 1945-1956'', Istituto Regionale per la Storia del Movimento di Liberazione del Friuli-Venezia Giulia, Trieste 1980, pp. 252 ss.</ref><ref>[[Arrigo Petacco]],''[http://archiviostorico.corriere.it/2004/ottobre/24/Foibe_torture_quaranta_giorni_dell_co_9_041024091.shtml Foibe e torture. I quaranta giorni dell'orrore rosso.]'', Corriere della Sera (24 ottobre 2004). Cit.: «Per rendere completamente jugoslava l'occupazione di Trieste, avevano anche fatto trasferire in Slovenia le brigate partigiane italiane "Natisone", "Fontanot" e "Trieste", impegnate nel territorio italiano. (...) Tutti i membri del CLN (dal quale erano usciti i rappresentanti del PCI) finirono in carcere o costretti a tornare nella clandestinità e così molti partigiani italiani che non avevano accettato il nuovo corso.»</ref><ref>''[http://www.leganazionale.it/schede/40giorni.pdf I 40 giorni del terrore] {{webarchive|url=https://web.archive.org/web/20070226074007/http://www.leganazionale.it/schede/40giorni.pdf |data=26 febbraio 2007 }}'' (a cura della Lega Nazionale di Trieste) in Riccardo Basile, ''L'occupazione jugoslava di Trieste'', cit: «Tra le migliaia d'insorti troviamo i rappresentanti dei risorgenti partiti politici italiani e molti Militari dei Carabinieri, della
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