Giovanni Randaccio: differenze tra le versioni

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Il suo corpo viene avvolto da [[Gabriele D'Annunzio]], che aveva concepito e voluto l'azione<ref>Mark Thompson, La guerra bianca - Vita e morte sul fronte italiano 1915-1919, 2008, pp. 271-272</ref> [Nota: il D'Annunzio ricopriva il ruolo di semplice ufficiale di collegamento tra il 77º Reggimento e la 45ª Divisione, col grado di Capitano; gli attacchi alla quota 28 del 27 e 28 maggio si inquadrano invece nella fase finale della Decima Battaglia dell'Isonzo, combattuta sul Carso dal 23 al 28 di quel mese di maggio; più precisamente nella fase di rettifica e di allargamento di posizioni raggiunte, che negli intendimenti del Comando Supremo - sospese che furono le operazioni in grande stile - avrebbe dovuto portare le fanterie della 3ª Armata sulla linea: Est di Comarie - quota 146 di Flondar - quota 175 (ovest di Medeazza) - S.Giovanni di Duino - Fabbrica - insenatura ad ovest di quota 24 (tratto dall'articolo del colonnello Abramo Schmid dal titolo "La mancata conquista di quota 28 del Timavo nel 1917" pubblicato dalla rivista "Bisiacaria"). Gli autori del libro "Flondar 1917" sostengono pero' che il D'Annunzio il giorno 27 maggio abbia effettivamente avuto un colloquio con il Comandante della 3ª Armata, presente il Capo di Stato Maggiore Gen. Vanzo (il quale pero' nel suo libro citato in bibliografia non fa cenno al colloquio), per perorare il proseguimento dello sforzo offensivo verso il castello di Duino; l'opportunita' venne evidentemente concessa, sia pure a livello di unita' minori e nonostante lo scetticismo dei Comandanti di linea - Randaccio incluso - che accusarono tra l'altro il D'Annunzio di non essersi mai recato in riva al Timavo (Dario Marini, all'interno delle sue pubblicazioni citate in bibliografia, si sofferma in modo esteso sull'attacco alla quota 28 con toni molto critici verso un'azione che appare essere stata pianificata senza ponderare adeguatamente ne' l'ostacolo naturale costituito dal Timavo ne' la forza del dispositivo avversario); il Duca d'Aosta fu probabilmente lusingato dal progetto dannunziano di issare una grande bandiera italiana sul castello di Duino, visibile da Trieste (una conferma al fatto che i triestini osservassero veramente il castello di Duino per capire l'andamento della guerra e delle battaglie carsiche di cui in città giungeva nitidamente l'eco e' contenuta nel diario di guerra "Attendiamo le navi" dell'autrice triestina Carmela Timeus)] in una [[Bandiera italiana|bandiera tricolore]], (Nota: scrive il D'Annunzio nel suo "Per l'Italia degli Italiani" : "...omissis... Avevi sotto il capo la mia bandiera, la vasta, quella che io volevo issare a fortuna su la torre di Duino ancora in piedi e poi su la torre di Miramar e infine in San Giusto...") la quale verrà in seguito utilizzata come simbolo nel corso della [[Impresa di Fiume|spedizione di Fiume]], ed è oggi conservata presso il [[Vittoriale degli italiani]] a [[Gardone Riviera]].
 
Azione dell'Artiglieria: nel contesto dell'attacco a quota 28, l'Artiglieria e' ricordata esclusivamente per l'ordine che Luccio Formisano, comandante del II/77° e autore del libro citato in bibliografia, asserisce essere stato impartito dal D'Annunzio ad un suo parigrado comandante di batteria di sparare contro i nostri soldati, intrappolati irrimediablmente in una sacca oltre il Timavo ma rei di non comportarsi secondo copione... Scrive il Formisano: "Frattanto il Capitano D'Annunzio, avvertito dell'infamia che accade alle spalle dei Lupi, fa aprire il fuoco sui fanti traditori del 149°Regg. ...omissis...". Non esistono riscontri ufficiali a tale ordine ne' conferme da altre fonti, per cui apparenon probabilee' da escludere si trattarsitratti di un'"infiorettatura" postbellica [nota: molto difficile credere che ununo stizzito ufficiale inferiore stizzito- sia pure dal cognome celebre - abbia dato ordine di sparare sui nostri uomini anziche' sulle mitragliatrici avversarie "dal tiro efficacissimo" (testuale nella narrazione della Relazione Ufficiale Italiana citata in bibliografia) che li stavano massacrando da posizioni sopraelevate: si sarebbe trattato di un ordine da Tribunale Militare, come il film di Kubrick "Orizzonti di gloria" - tratto dall'omonimo romanzo di Humphrey Cobb - tratteggia con rara efficacia]. E' pero' incontestabile che nessuna fonte citi interventi dell'artiglieria nell'azione di quota 28, ne' a contrastare l'afflusso delle riserve austriache da Duino ne' a sopprimere i nidi delle mitragliatrici (una delle quali colpi' quasi certamente il Randaccio, N.d.R.) che tiravano dal terrapieno della ferrovia e dai declivi sovrastanti la quota. E' probabile che il supporto di fuoco predisposto in appoggio alla fanteria fosse inadeguato e che i reparti oltre il Timavo fossero isolati anche dal punto di vista delle comunicazioni].
 
Il Randaccio si spense nella "Scuola Popolare" di Monfalcone, sede dell'Ospedale da Campo 0.57 (dall'articolo di Abramo Schmid citato in bibliografia) ma le circostanze del suo fatale ferimento presentano versioni contrastanti: l'Ufficio Storico del R.Esercito lo descrive impegnato assieme ai Battaglioni sulla quota 28 e ferito sulla riva sinistra del Timavo mentre cerca di sottrarre i suoi uomini e se stesso all'accerchiamento (... ma è lecito chiedersi come e da chi sia stato riportato il Maggiore - mortalmente ferito - tra le nostre linee, con la passerella asportata ed il fiume esposto alla vista e al tiro avversari...); il capitano Guido Agosti (vedi bibliografia) lo descrive osservare la battaglia dalla riva destra del Timavo e lanciarsi sulla passerella alla vista del crollo fulmineo, rimanendo colpito (ma anche questa versione cozza contro le testimonianze sulla passerella gia' travolta dalle acque); il capitano Luccio Formisano scrive: "Egli non vede quanto accade. Sta in piedi, come sempre veste la solita uniforme elegante...Una malvagia mitragliatrice lo prende di mira...Il suo fido Geromelli, sottufficiale addetto al Comando del Battaglione, fa appena in tempo a riceverlo esanime tra le braccia per trasportarlo nella caverna di quota 12" (vedi bibliografia; la prima parte del testo appare di enigmatica interpretazione ma il seguito consente quantomeno di escludere che il Maggiore si trovasse oltre il Timavo); il D'Annunzio nell'elogio funebre pronunciato a Monfalcone e ripreso dal Corriere della Sera del 7 giugno 1917 cosi' descrive l'epilogo: "Il Maggiore aveva lasciato il suo posto di osservazione in prossimita' del Timavo e veniva verso la sconquassata passerella del Locavaz (o Lokavac, affluente destro del Timavo): probabilmente riconosciuto come ufficiale...fu investito da una raffica di mitraglia"; il tenente Valentino Guerin nel biglietto ad Enrico Morali del 12 giugno 1917 (vedi bibliografia) scrive: "Il nostro povero Maggiore e' caduto il 28 sul Locavaz (passerella) mentre durava l'attacco oltre il Timavo". Appare quindi plausibile, ben al di fuori dall'iconografia ufficiale, che il Randaccio non sia stato ferito ne' su quota 28 ne' sul Timavo ne' in mezzo ai suoi uomini bensi' nelle immediate retrovie del fronte, sul Locavaz, a circa 600 metri dalla zona dei combattimenti, colpito da mitraglieri austriaci con tiro di secondo arco: a conferma la posizione originaria - sulla sponda destra del Locavaz - della stele commemorativa eretta dai compagni d'arme in sua memoria nel 1919, a fianco della passerella fra quota 12 e S.Giovanni di Duino. La stele è oggi visibile a S.Giovanni di Duino lungo la SS 14, sotto il monumento ai Lupi di Toscana, dove fu traslata a seguito dell'industrializzazione del comprensorio del Lisert (nota: Dario Marini nelle pubblicazioni citate sostiene che la lapide sia stata traslata nella posizione odierna fin dal 1932, in concomitanza con l'inaugurazione del nuovo tracciato della SS 14; ma la tavoletta "Duino" dell'Istituto Geografico Militare aggiornata al 1949 riporta il "Cippo Randaccio" ancora nella sua posizione originaria, sulla riva destra del Locavaz).