Sarcofago di Melfi: differenze tra le versioni
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==Storia==
[[File:Sarcofago - Museo di Melfi.jpg|left|thumb|Il sarcofago]]
Il monumento funebre fu rinvenuto casualmente nel 1856 durante gli scavi realizzati dall'amministrazione borbonica per la costruzione di una strada tra Melfi e Venosa in località Contrada Albero in Piano nell'agro di [[Rapolla]]. Esso era collocato in un sepolcro in muratura all'interno del quale era poggiato su un basamento addossato
[[File:Sarcofago di Rapolla - lato destro.jpg|right|thumb|L'ingresso dell'Ade]]
Rimosso dal luogo di ritrovamento, il sarcofago venne portato a [[Melfi]] con l'iniziale proposito di destinarlo definitivamente al Museo Borbonico di Napoli. Quest'ultimo trasferimento non ebbe mai luogo e il monumento funebre rimase a Melfi dove ebbe nel tempo diverse collocazioni per essere infine conservato nel museo archeologico ospitato nell'insigne [[Castello di Melfi|castello normanno-svevo]] della città<ref name= Ghiandoni_1/>.
Sin dalla pubblicazione della scoperta - dovuta allo studioso napoletano [[Giulio Minervini]] in uno scritto dello stesso anno del rinvenimento del sarcofago<ref>Giulio Minervini, ''Breve notizia sopra un insigne sarcofago di marmo rinvenuto presso Rapolla'', in ''Bullettino archeologico Napoletano'', n. 96, 1856, pp. 171-175.</ref> - apparve chiara l'eccezionalità del ritrovamento che infatti già da inizio Novecento fu oggetto di numerosi studi da parte di molti autorevoli studiosi, italiani e
La prima analisi sistematica dell'opera è quella pubblicata nel 1913 dall'archeologo tedesco [[Richard Delbrueck]], scritto che per vari aspetti è tuttora un punto di riferimento nella storiografia sulla tomba del castello di Melfi<ref>Richard Delbrueck, ''Der römische Sarkophag in Melfi. A. Fundort, Literatur'', in ''Jahrbuch des Kaiserlich Deutschen Archäologischen Instituts'', 28, 1913. </ref>. Il Delbrueck confermava e precisava l’intuizione già avuta del Minervini sulla datazione di [[età antonina]] del manufatto con argomenti costantemente accettati dagli studi successivi<ref name= Ghiandoni_1/>.
Lo studioso tedesco tuttavia ipotizzava per il sarcofago lucano una provenienza [[attica]], conclusione poco dopo corretta da Charles Rufus Morey (storico dell'arte e archeologo statunitense) che nelle sue fondamentali ricerche sui
Il Morey presumeva che il sarcofago fosse stato realizzato in un atelier di [[Efeso]] (odierna Turchia), ma studi più recenti - anche in considerazione della tipologia del marmo utilizzato - tendono a situare il luogo di fabbricazione dell'opera nell'area di Docimium, antica città [[Frigia]] (sempre nell'attuale territorio turco), che anticamente fu celebre per le sue cave di marmi pregiati e per la presenza di botteghe lapicide capaci di produrre manufatti di grande raffinatezza, esportati in tutto l'impero romano.
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Il sarcofago di Melfi è per datazione e qualità, una delle più significative testimonianze dell'ampia diffusione che in età imperiale ebbero, anche nelle aree occidentali dell’impero romano, monumenti funerari di provenienza microasiatica<ref name=Thomas> Edmund Thomas, ''Houses of the dead? Columnar sarcophagi as micro-architecture'', in Jas Elsner, Janet Huskinson (curator), ''Life, deat hand representation: some new work on Roman sarcophagi'', Berlino, 2011, p. 408.</ref>.
La tomba melfitana in particolare è una delle più antiche attestazioni (se non la più antica attualmente nota) di uno specifico sottogenere di sarcofago asiatico detto ''a colonne'', in virtù della compartimentazione delle facce della cassa funeraria mediante un'architettura
[[File:Sarcofago di Melfi - Erote.jpg|right|thumb|L'erote della ''kline'']]
Più in dettaglio questo tipo di manufatto (come nell'esemplare di Melfi si coglie in modo chiarissimo) è caratterizzato dalla presenza di sei colonne sui lati lunghi della cassa e quattro su quelli corti. Le colonne così definiscono cinque o tre nicchie su ogni lato (a seconda se lungo o corto). Le nicchie centrali e quelle esterne dei lati lunghi hanno struttura
Le nicchie che non hanno coronamento
Nelle nicchie, tanto in quelle
[[File:Celsus-Biblio.jpg|left|thumb|Facciata della [[biblioteca di Efeso]]]]
La struttura architettonica che circonda la cassa funebre sin qui descritta probabilmente riproduce illusionisticamente e in piccolo formato un ''[[Heroon]]'', cioè un tempietto sepolcrale che nell'antica Grecia ospitava la tomba di un eroe. Nell'uso orientale questa tipologia di
Completano l'ornato della della cassa numerosi elementi decorativi di vario motivo e di raffinatissima esecuzione. È stato osservato che questo apparato presenta punti di contatto con quello di varie architetture reali della [[Anatolia|regione anatolica]]: tra i diversi esempi di tali corrispondenze evidenziate dagli studi si annoverano anche le decorazioni della facciata della celebre [[biblioteca di Efeso]]<ref>Charles Rufus Morey, ''The Sarcophagus of Claudia Antonia Sabina'', cit., p. 72.</ref>.
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La cassa funebre è infine sormontata da un coperchio che generalmente - e il caso di Melfi non fa eccezione - è costituito dalla riproduzione di una ''kline'', cioè un letto da convivio, ove vi sono uno o più defunti (non di rado una coppia coniugale, ma evidentemente non in quello melfitano ove compare solo una donna)<ref name= Ghiandoni_2/>.
Spesso infatti questi
===La ''kline''===
Sul letto del sarcofago di Melfi è adagiata una donna di età ancor giovane per quanto difficilmente determinabile. La donna è sdraiata sul letto, dormiente (quindi ancora viva) ed è leggermente reclinata su un fianco. Poggia la guancia su dei cuscini e volge il viso verso l'osservatore. Il braccio destro è disteso e nella mano v'è una ghirlanda di fiori. L'altro braccio poggia sul cuscino<ref name= Ghiandoni_K> Olivia Ghiandoni, ''Il sarcofago asiatico di Melfi'', cit., pp. 9-12.</ref>.
La posizione completamente sdraiata del giacente è piuttosto peculiare: di solito nei
Ai piedi della donna v'era un cane di piccola taglia di cui oggi restano solo i piedi. Alla testa del letto vi è invece un [[erote]] alato, in stato di conservazione frammentario, privo di testa e braccia. Si rileva comunque che l'amorino teneva con la destra una ghirlanda e con l'altra mano una fiaccola rovesciata: di entrambe se ne vedono i resti sul coperchio del sarcofago in corrispondenza di ciò che resta delle braccia dell'erote. La fiaccola capovolta è un'allusione alla morte<ref name= Ghiandoni_K/>.
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File:Sarcofago di Rapolla - dettaglio della giacente (2).png|La donna del sarcofago di Melfi
File:INC-2034-a Ауреус. Фаустина Младшая. Ок. 161—176 гг. (аверс).png|Moneta di [[Faustina Minore]]
File:Aureo di marco aurelio per lucilla, 161-169 dc., roma.jpg|Moneta di [[Annia Aurelia Galeria Lucilla|Lucilla]]
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Particolarmente significativa è l'acconciatura della donna, con i capelli ripartiti in bande ondulate, raccolti in uno chignon sulla nuca e con il lobo dell'orecchio scoperto. La foggia della capigliatura infatti è l'elemento che ha consentito a Richard Delbrueck di datare con estrema precisione il sarcofago. Rilevando la forte somiglianza della pettinatura della donna di Melfi con quella che si osserva in alcune monete raffiguranti le imperatrici della [[dinastia antonina]] [[Faustina Minore]] e [[Annia Aurelia Galeria Lucilla|Lucilla]], databili intorno al 165-170 d.C., l'archeologo collocò in quello stesso periodo temporale anche il sarcofago melfitano. Del resto, osserva il Delbrueck, l'
Anche la ''kline'', come la cassa, è elegantemente decorata. Spicca in questo senso il fregio della parte anteriore, posto sotto il letto, su cui compare un corteo di animali marini fantastici che lottano tra loro<ref name= Ghiandoni_K/>.
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===La decorazione della cassa: interpretazione iconografica===
Sulla cassa funeraria sono scolpite quindici figure: cinque su ognuno dei lati lunghi, tre nel lato breve sinistro, corrispondente ai piedi della ''kline'' e due sul lato breve opposto, al centro delle quali vi è la già menzionata porta dell'Ade.
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File:Sarcofago di Rapolla - fronte anteriore (dettaglio).png|Lato frontale
File:Sarcofago microasiatico del Museo di Melfi - Lato breve 1 (dettaglio).png|Lato destro
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File:Sarcofago microasiatico del Museo di Melfi - Lato breve 2 (dettaglio).png|Lato sinistro
File:Sarcofago di Rapolla - fronte posteriore (dettaglio).png|Lato posteriore
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Circa le restanti figure, nella visione dello studioso tedesco, esse avrebbero una funzione secondaria, sostanzialmente sarebbero dei riempitivi decorativi, forse derivanti da celebri prototipi scultorei classici. Cionondimeno anche per alcune di queste sculture vengono formulate delle ipotesi identificative. E così nella prima figura del fronte (leggendo da sinistra), sotto l'edicola ad arco, è da individuarsi [[Apollo]], riconoscibile perché raffigurato nell'atto di suonare la cetra, quindi un [[Apollo citaredo]]. Nell'edicola a destra del fronte sarebbe invece raffigurato [[Ade]], cioè il dio dell'oltretomba. Le due figure maschili intermedie (la seconda e la quarta della faccia frontale, cioè un guerriero nudo e l'uomo che indossa l'[[himation]]) restano invece senza nome in quanto prive di univoci attributi qualificativi<ref name= Delbrueck />.
Quanto al lato posteriore, le due figure alla destra di Venere sono identificate in [[Meleagro]], nella nicchia ad arco - individuato dalla protome a testa di cinghiale ai suoi piedi, ovvio riferimento al mito del [[cinghiale calidonio]] - e,
Infine nel lato breve destro Delbrueck scorge una raffigurazione di senso più strettamente escatologico: affiancano la porta dell'Ade un'offerente (la figura femminile), che svolge una funzione votiva ed [[Psicopompo|Hermes psychopompos]], la figura maschile, cioè [[Hermes]] nel ruolo di accompagnatore delle anime dei defunti nell'aldilà<ref name= Delbrueck />.
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Secondo questa tesi, Persefone, che viveva metà anno nel mondo terreno e l'altra metà negli inferi, è da leggersi quale elemento di congiunzione tra il regno dei vivi e quello dei morti, cioè tra la luce e le tenebre rispettivamente simboleggiate da Apollo, dio del sole, a sinistra, e da Ade, signore dell'oltretomba, a destra<ref name= Wiegartz >Hans Wiegartz, ''Kleinasiatische Säulensarkophage: Untersuchungen zum Sarkophagtypus und zu den figürlichen Darstellungen'', Berlino, 1965, pp. 73-75.</ref>.
[[File:Sarcofago di Melfi - Atalanta e Meleagro.jpg|right|thumb|Atalanta e Meleagro]]
Le figure intermedie poste negli intrecolumni architravati, per connessione alle figure principali, sono associate dal Wiegartz ai rispettivi regni di Apollo e di Ade, anche se la mancanza di attributi distintivi lascia vaga la loro identità. Il giovane tra Presefone e Ade - la quarta statua del fronte - (quindi elemento della parte infera) viene ipotizzato quale raffigurazione di un dio eleusino - che contributi successivi propongono come [[Eubuleo]] - che quindi a sua volta fa da elemento di congiunzione tra Kore
Il significato escatologico del lato principale, la cui chiave è il mito di Kore, rinvia in ultima analisi alla ciclicità tra la vita e la morte<ref name= Wiegartz />.
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====L'interpretazione di Michael Strocka====
[[File:Achilles Lycomedes Louvre Ma2120.jpg|left|thumb|Achille a Sciro, III secolo, Parigi, [[Louvre]]. La figura seduta sulla parte destra del rilievo è Agamennone
Molto diversa è la lettura fornita successivamente da un altro autorevole archeologo tedesco, Volker Michael Strocka. Questi ritenne insoddisfacenti le precedenti ipotesi interpretative partendo dalla considerazione che esse trascuravano un elemento viceversa accentuato nella decorazione del sarcofago di Melfi, come la frequente apparizione di armi che sembrerebbero poco attinenti ad alcune delle ipotesi sin lì formulate circa l'identità di varie figure della cassa<ref name= Strocka > Michael Strocka, ''Sepulkral-Allegorien auf dokimeischen Sarkophagen. Originalbeitrag erschienen'', in Bernard Andreae (curatore), ''Symposium über die antiken Sarkophage'', Marburgo, 1984, pp. 228-235.</ref>.
Sul lato anteriore in primo luogo apparirebbe poco comprensibile l'attributo di una spada per la figura che si è pensato di identificare in Ade e lo stesso per la figura di giovane che lo affianca (il presunto dio eleusino) che ha alle spalle scudo
Sulla scorta di queste osservazioni, Strocka rilesse in profondità il sarcofago melfitano. La figura dell'edicola centrale del lato frontale non sarebbe, come sino ad allora ritenuto, Kore, bensì [[Teti (Nereide)|Teti]] madre di [[Achille]]. A destra di costei sarebbe raffigurato proprio Achille, ancora ragazzo, e, nella nicchia all'estrema destra della faccia frontale, non già Ade, ma [[Agamennone]]. Le figure a sinistra di Teti, infine, andrebbero individuate in Apollo (nell'edicola) e Marte, (il guerriero nell'intercolumnio)<ref name= Strocka />.
Secondo questa lettura a destra dell'edicola centrale del fronte si farebbe allusione all'episodio di [[Achille a Sciro]], dove Teti, per sottrarre suo figlio alla guerra di Troia, aveva voluto che l'eroe ancora adolescente si nascondesse: la figura di Agamennone, capo dei Greci nella lotta contro i Troiani, simboleggerebbe quindi la scelta che a Sciro Achille, una volta scoperto, dove compiere: rimanere presso [[Licomede]], a godere degli agi della corte e dei piaceri sensuali con le figlie del re, oppure seguire Agamennone
[[File:Sarcofago di Rapolla - lato sinistro.jpg|right|thumb|Il ratto del Palladio]]
Conforterebbe questa lettura la circostanza che in alcuni
Il senso dell'allegoria del fronte rimanderebbe pertanto, secondo la lettura di Strocka, alla scelta tra ''bíos theôrêtikós'' (la vita contemplativa) - rimanere a Sciro - e ''bíos pragmáticos'' (vita attiva) - partire per la guerra di Troia. Apollo - colui cui sono consacrate le muse - e Marte - dio della guerra - sono le rispettive epitomi di queste scelte<ref name= Strocka />.
Lo scudo alle spalle di Teti sarebbe dunque quello che ella chiese
La rilettura dello Strocka investe anche il retro della cassa: lo studioso condivide l'identificazione in Venere della figura centrale e della coppia Atalanta e Meleagro alla destra di lei, ma propone di individuare nella coppia a sinistra di Afrodite ancora Achille (che quindi comparirebbe due volte nella decorazione del sarcofago) e [[Briseide]]. Saremmo di nuovo di fronte
Alle luce di questa revisione del significato dell'apparato scultoreo del sarcofago, Strocka giunge alla conclusione che i miti raffigurati sui lati lunghi della cassa funeraria allegorizzino vicende della vita della defunta giacente sulla ''kline'': e così la storia di Achille potrebbe far pensare che la donna di Melfi in vita abbia dovuto piangere un giovane figlio morto in guerra, mentre il mito di Atalanta e Meleagro
====L'interpretazione di Olivia Ghiandoni====
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Il più recente tentativo di lettura del sarcofago è quello formulato da Olivia Ghiandoni in un approfondito studio monografico sul monumento funebre di Melfi pubblicato nel 1995. L'assunto di base di questa ulteriore analisi è che l'attuale allestimento del sarcofago non sia corretto, nel senso che quello che ora si presenta come il lato frontale sarebbe in realtà il retro (e viceversa); parimenti invertita sarebbe la posizione anche dei lati brevi. Tale ribaltamento dipenderebbe dalla circostanza che al momento della scoperta del reperto il coperchio del sarcofago (la ''kline'') fu sollevato per ispezionarne l'interno. Quando poi il sarcofago venne richiuso, per errore la ''kline'' sarebbe stata rimontata ''alla rovescia'' (cioè invertendo la posizione dei piedi e della testa della giacente). In questo modo quello che originariamente era il lato frontale è venuto a trovarsi collocato sulla parte posteriore del monumento e allo stesso modo si è invertita anche la posizione dei lati corti<ref name= Ghiandoni_3> Olivia Ghiandoni, ''Il sarcofago asiatico di Melfi'', cit., pp. 39-48.</ref>.
In effetti il dubbio che potesse esservi stato questo errore nella ricomposizione del monumento si era già affacciato negli studi precedenti, soprattutto in considerazione del fatto che in tutti gli esemplari noti di
La Ghiandoni viceversa sposa con decisione la tesi del rovesciamento, aggiungendo agli argomenti già noti la pubblicazione di uno schizzo sino ad allora inedito buttato giù durante le prime ricognizioni del sito di ritrovamento del sarcofago. Nel disegnino ottocentesco il lato frontale è per l'appunto quello che oggi vediamo sul retro della cassa. Inoltre la studiosa ritiene che l'assunto sia dimostrato anche da una considerazione di carattere iconografico: la figura di Venere ha la stessa pettinatura della donna della ''kline'' e ai suoi piedi vi è un erote con la fiaccola capovolta che ricalca quello posto alla testa del letto funebre. Queste corrispondenze implicano che la giacente si identifichi prima di tutto con tale dea e che quindi il lato principale sia proprio quello su cui insiste questa divinità (che oggi invece appare sul retro)<ref name= Ghiandoni_3/>.
[[File:Marcus Aurelius and Faustina the Younger as Mars and Venus - Palazzo Nuovo - Musei Capitolini - Rome 2016.jpg|right|thumb|''Faustina Minore e Marco Aurelio come Venere e Marte'', II secolo, Roma, [[Musei Capitolini]]. La statua di Venere-Faustina riprende il tipo [[Venere di Capua|Capua]]]]
Ciò premesso, la studiosa accetta le ipotesi identificative fatte dallo Strocka per le sculture della faccia che per lei è quella frontale, cioè le coppie Meleagro-Atalanta e Achille-Briseide (
Una variante del mito di Meleagro narra infatti che questi sia ritornato in guerra per la sua patria, trovando la morte, perché implorato da sua moglie [[Cleopatra Alcione|Cleopatra]]<ref name= Ghiandoni_3/><ref>In questa versione Meleagro abbandona la lotta tra Etoli e Cureti, dove egli combatteva con i primi, per poi tornare in guerra indottovi dalle suppliche di sua moglie. In battaglia però è ucciso da Apollo che parteggiava per i suoi nemici.</ref>.
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Al centro vi è quindi Venere che trionfa in quanto è l'amore la causa prima della morte di questi eroi. Trionfo suggellato dall'atto della dea di scrivere il suo nome nello scudo secondo la consolidata iconografia della Venere vincitrice.
[[File:Venus and Mars Museum delle Terme.jpg|left|thumb|''Crispina e Commodo come Venere e Marte'', II secolo, Roma, [[Terme di Diocleziano]]. Anche in questo caso la statua dell'imperatrice è una ripresa dell'[[Afrodite di Capua]]
Quanto al significato dell'altro lato lungo, che in questa lettura è quello posteriore, è condivisa la visione dello Strocka per le figure principali - quelle nelle edicole -, cioè Apollo, Teti e Agamennone, ma Febo e il re di Micene starebbero lì in quanto acerrimi nemici di Achille<ref>Si nota in questo senso che Apollo poggia i piedi su uno scudo che potrebbe identificarsi con quello divino del guerriero mirmidone di cui il dio ha determinato la morte.</ref>.
Achille che anche questa ipotesi interpretativa vede presente pure su questo lato della cassa, oltre che su quello opposto, ma che è individuato nel guerriero nudo a fianco di Apollo (che Strocka ritiene sia Marte). Quanto alla restante figura, il giovane con l'himation, esso è indicato come [[Efesto]], cioè la divinità che per volere di Teti forgiò le armi di Achille<ref>Questa identificazione delle figure dei lati lunghi comporta peraltro l'individuabilità di nessi intercorrenti tra le sculture delle due facce che si trovano lungo lo stesso asse: Apollo e Meleagro: il primo uccise il secondo; Achille e Atalanta: entrambi erano dotati di sovrumana velocità nella corsa; Teti e Venere: entrambe compaiono nell'antefatto della guerra di Troia; Efesto ed Achille: sono fratellastri, avendo Teti, madre ''biologica'' di Achille, adottato Efesto; Agamennone e Briseide: il primo sottrasse prepotentemente la seconda ad Achille.</ref>.
Infine le tre donne nelle edicole centrali di ogni lato, Venere, Teti ed Elena, sono tra loro connesse in quanto tutte coinvolte nell'antefatto della guerra di Troia. È durante il matrimonio di Teti e [[Peleo]] che sorge la contesa tra [[Atena]], [[Era (divinità)|Era]]
Inoltre, la Venere con lo scudo, qui fulcro dell'apparato iconografico del sarcofago, stante l'utilizzo propagandistico di questo modello fatto da alcune imperatrici antonine, potrebbe avere anche una pregnante valenza politica, ipoteticamente indice di uno stretto legame della committenza del sarcofago melfitano con la dinastia imperiale. In questo senso è formulata la supposizione che la commissione del prezioso manufatto possa essere provenuta da appartenenti alla '' gens Brutia''. I ''Bruttii'' sono infatti di origini lucane, ne sono documentati possedimenti nei pressi di Venosa (zona molto vicina al luogo di ritrovamento del reperto) e alcuni suoi esponenti avevano avuto incarichi politico-amministrativi in area mediorientale. Questa ''gens'' era inoltre molto legata agli Antonini al punto che in epoca di poco successiva a quella di realizzazione del sarcofago una rampolla della famiglia, [[Bruzia Crispina|Crispina]], sposò [[Commodo]], l'ultimo imperatore di quella dinastia<ref name= Ghiandoni_3/>.
Si tratta ovviamente solo di ipotesi, dichiaratamente tali: a chi sia appartenuto questo raffinatissimo e prezioso manufatto resta allo stato attuale delle conoscenze un mistero, salvo che per l'ovvio ma generico aspetto che non possa che trattarsi della sepoltura di una persona di censo molto alto. A rendere quanto mai ardua la possibilità di identificare la donna del sarcofago vi è anche il fatto che il luogo esatto di rinvenimento del reperto non è più noto. Infatti, quando l'opera fu spostata a Melfi, nessuno si preoccupò di lasciare precisa traccia del sito di ritrovamento. Resta quindi solo la vaga indicazione della località rapollese Albero in Piano, area però vasta molti ettari<ref>In merito alla committenza del sarcofago ha avuto una certa diffusione la singolare affermazione - non avallata da nessun archeologo o storico dell'arte antica - che la donna della ''kline'' sarebbe [[Emilia Scaura]], patrizia romana sposa di [[Gneo Pompeo Magno]]. Basterebbe a confutare la ''teoria'' rilevare che Emilia Scaura è morta nell'anno 82 avanti Cristo, cioè ben due secoli e mezzo prima della fabbricazione del sarcofago di Melfi (secondo la datazione di [[Richard Delbrueck]], accettata da tutti gli altri, numerosi, studi archeologici sul monumento). Oltretutto periodo in cui la produzione di tale tipologia di sarcofagi è ben lontana dall'affermarsi (che anzi proprio in quello di Melfi ha uno dei suoi primissimi prototipi). Resta peraltro inspiegato perché Emilia Scaura avrebbe dovuto essere seppellita in Lucania posto che ella, come ci dice [[Plutarco]], dopo le nozze «''morì subito in casa di Pompeo sopra parto''», quindi a Roma (''[[Vite parallele]]'', Pompeo, IX). Più di fondo, appare poi improbabile che una patrizia dell'epoca tardo-repubblicana sia stata inumata piuttosto che incinerata, essendo l'incinerazione l'uso assolutamente prevalente delle classi magnatizie romane di quell'epoca (che adotteranno l'inumazione, allora praticata dai ceti sociali più bassi, solo molto dopo). Sia come sia, l'identificazione della giacente con la Scaura si basa essenzialmente (e piuttosto confusamente) sull'asserzione che nel luogo di rinvenimento del reperto sarebbe stata scoperta anche l'iscrizione ''Veneri Erycinae Vicitrici L. Corenlius Sulla Spolia de. Hostib Voto Dicavit''. Essendo Emilia Scaura figliastra di [[Lucio Cornelio Silla|Silla]], cioè colui che avrebbe apposto l'iscrizione in discorso, se ne dedurrebbe (sic!) che la donna di Melfi sarebbe per l'appunto la seconda moglie di Pompeo. Sul punto - anche tralasciando l'evidente carattere non funerario dell'epigrafe - è però agevole constatare che l'iscrizione ''Veneri Erycinae Vicitrici ecc.'' è già documentata da [[Francesco Maria Pratilli]] nello scritto ''Della Via Appia riconosciuta e descritta da Roma a Brindisi'', pubblicato nel 1745, cioè più di un secolo prima della scoperta del sarcofago, avvenuta nel 1856! Su questa stessa iscrizione torna anche l'erudito [[Angelo Calogerà]] che la menziona nella sua ''Nuova Raccolta d'opuscoli scientifici e filologici'' (Vol. XIX, p. 125), data alle stampe nel 1771, affermando che essa sarebbe stata scoperta (nel 1733) nei pressi di [[Monteverde (Italia)|Monteverde]], comune in provincia di Avellino. Quindi non solo la data di (presunto) ritrovamento di questa iscrizione è del tutto incompatibile con qualsivoglia nesso con il monumento funebre di Melfi, ma altrettanto inconciliabile, stando al Calogerà, è il luogo in cui sarebbe stata rinvenuta l'epigrafe, essendo stato il sarcofago trovato nelle vicinanze di [[Rapolla]]. Per completezza vi è da aggiungere che il grande [[Theodor Mommsen]], padre dell'epigrafia, nel suo testo ''Inscriptiones Regni neapolitani latinae'' del 1852 concluse, a proposito dell'iscrizione riportata dal Pratilli e dal Calogerà, che essa oltretutto sia falsa. Un'altra epigrafe venne invece certamente rinvenuta nei pressi del sarcofago e recita: ''Fausto Fusca Filia Posuit''. Essa è infatti menzionata nei resoconti borbonici sulla scoperta del reperto (che ovviamente tacciono sull'immaginaria ''Veneri Erycinae''). Non v'è però alcun elemento per stabilire se tale iscrizione abbia un collegamento (e quale) con il sarcofago melfitano.</ref>.
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