Pubblicità: differenze tra le versioni

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== Etimologia ==
Il termine italiano pubblicità deriva dall'aggettivo e sostantivo ''pubblico'', ossia ''che riguarda il popolo, la popolazione'', e l'origine della parola italiana rispecchia lo scopo di informare il pubblico e non presuppone il carattere parassitario o onnivoro del termine, bensì di etico e trasparente. Invece il sostantivo inglese ''advertising'' possiede una connotazione di tipo imprenditoriale e persuasiva. ''Advertising'' deriva dal verbo ''to advertise,'' il quale a propria volta viene dal latino ''ad-vertere e'' significa letteralmente ''andare verso''. Il ''réclame'' nella lingua francese introduce la dimensione psicologica del termine &nbsp;– del richiamo alla memoria &nbsp;– ma non pone la questione di persuasione. Ab origine, la “chiamata” in ambito tipografico, ''réclame'' inizia come un breve richiamo promozionale nel testo di un giornale ma poi diventa un vero annuncio pubblicitario di oggi. I sentimenti negativi che oggi accostiamo alla pubblicità come l’invadenza o la pervasività, si ritrovano nell'etimologia del termine tedesco ''Werbung,'' derivante dal verbo ''werben,'' che significa sia ''pubblicizzare'' che ''attirare, corteggiare.''<ref>{{Cita libro|nome=Neri,|cognome=Veronica.|titolo=Etica della comunicazione pubblicitaria|url=https://worldcat.org/oclc/898002865|accesso=2018-12-30|data=2014|editore=La Scuola|OCLC=898002865|ISBN=9788835039570}}</ref>
 
== Classificazione ==
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:* da un lato, che si può considerare storico, un modo per esprimere uno [[status sociale]] al quale si appartiene o al quale si vorrebbe appartenere, ostentare cioè un prestigio sociale;<ref>Thorstein Veblen. ''La teoria della classe agiata: studio economico sulle istituzioni ''. Einaudi, Torino, 1948.</ref>
:* da un altro lato, che è invece è un po' più attuale, un modo per esprimere una cultura moderna con la quale si è integrati o con la quale ci si vorrebbe integrare. Si parla in tal caso di ''consumo di cittadinanza''.<ref>Francesco Alberoni. ''Consumi e società''. Il Mulino, Bologna, 1964.</ref> Gli oggetti rivestono un significato sociale perché comunicano secondo convenzioni universalmente accettate, quindi alla stregua di una lingua, i valori degli individui che li possiedono, il loro ''life style'' (letteralmente: [[stile di vita]]), forse addirittura la loro reale identità. Il messaggio espresso dal singolo prodotto acquista un significato solo nei rapporti e nelle relazioni che instaura con altri messaggi, con il sistema complessivo della comunicazione degli oggetti. A sua volta il codice generale &nbsp;– la lingua degli oggetti &nbsp;– si articola secondo i codici subculturali dei diversi gruppi di cui si compone il sociale.<ref>Jean Baudrillard. ''La societa dei consumi: i suoi miti e le sue strutture''. Il Mulino, Bologna, 1976.</ref><ref>Domenico Secondulfo. ''La danza delle cose: la funzione comunicativa dei beni nella società post-industriale ''. FrancoAngeli, Milano, 1990. ISBN 88-204-3687-6.</ref>
 
== Opposizione alla pubblicità ==
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Nessuna regolamentazione protegge ancora il consumatore dal martellamento di un singolo messaggio ripetuto parecchie dozzine di volte in una settimana. Eppure la ripetizione a questo ritmo di messaggi monotoni e uguali aprirebbe il diritto a una querela per "assillamento", reato riconosciuto e sanzionato.
 
Alcuni organi pubblici o privati si incaricano di fare rispettare le regole (ogni paese ha le proprie<ref>In Italia c'è lo IAP (Istituto dell'Autodisciplina Pubblicitaria) e l'AGCM (Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato).</ref>). Esistono anche organi di etichettamento (ad esempio, per la connotazione di pubblicità adatta a tutti), organi di controllo (nei paesi "liberi" questo controllo si esercita a posteriori, per non assumere la forma di censura), e anche i tribunali possono essere investiti di questo compito. Questo controllo si esercita sul contenuto (ad esempio non troppa pornografia come nel caso della [[pubblicità erotica]] o non troppa violenza come nel caso della [[shockvertising]]) o sulla forma (distinzione chiara tra ciò che è espresso come puro messaggio pubblicità promozionale e il contenuto con sottintesi informativi, ludici o altro, come nel caso della [[pubblicità ingannevole]]). Possono ugualmente esistere regolamentazioni riguardanti certi mezzi di trasmissione di pubblicità (come ad esempio i [[poster]] pubblicitari stradali vietati ad esempio in [[Trentino-Alto Adige]] e in [[Spagna]])<ref>{{cita web|url=http://www.leggendaurbana.it/pubblicita-stradale_vergogna-nazionale/ |sito=Leggenda Urbana - Storie di Colleferro |titolo=Pubblicità stradale - Vergogna nazionale!|data=13 giugno 2012|accesso=29 luglio 2019}}</ref>.
 
Succede anche che le regole non siano applicate affatto, e che le autorità preposte al controllo non diano prova di un grande zelo per porvi rimedio. In Francia esistono associazioni come Paysages de France che cercano di limitare l'estensione della pubblicità oltre i limiti permessi dalla legge, attuando questa difesa dagli abusi sia un gruppo di pressione presso le autorità, sia passando direttamente alle vie legali.
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I bambini a causa della loro intrinseca mancanza di malizia e di spirito critico, della loro emotività fragile e turbolenta,del loro intelletto in formazione, rappresentano una fascia di popolazione debole e particolarmente vulnerabile alla pubblicità<ref>Schor, J.B. ,(2005). ''Nati per comprare: salviamo i nostri figli ostaggi della pubblicità.'', Milano, Apogeo.</ref>.
 
Target privilegiato dalle imprese il marketing infantile fidelizzando futuri consumatori o comunque soggetti economici mediatori dei consumi famigliari attuali, a partire dall’opera specialistica di [[James U. McNeal]] professore di marketing alla Texas University , dagli anni 60 ha avuto un incremento costante e pervasivo<ref>Ironico S., (2010),'' Come i bambini diventano consumatori'', Roma-Bari, Gius. Laterza & Figli Spa</ref>,dal quale sono sorte importanti ripercussioni problematiche sui bambini che hanno portato alla formulazione di alcune specifiche normative restrittive del settore<ref>McNeal, J.U. (1969). “The child consumer: a new market”. In Journal of Retailing. Vol. 45 (2), pp. 15-22.
|McNeal, J.U. (1999). Kids markets: myths and realities. Ithaca (NY): Paramount Market Publishing.
|McNeal, J.U. (2007). On becoming a consumer: development of consumer behavior patterns in childhood. Oxford: Elsevier.</ref>.
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==Autodisciplina pubblicitaria==
[[File:PollyPigtails28pp47.png|thumb|Composizione di diverse pubblicità di abiti per bambini degli anni 1940]]Al fine di evitare quegli abusi che screditerebbero la pubblicità, legittimando le critiche mosse contro di essa, gli operatori del settore hanno ritenuto opportuno dotarsi preventivamente di un apparato di autodisciplina costituito da regole che pongono dei limiti all'attività pubblicitaria e da organi incaricati di far rispettare queste regole.
 
Nel 1911 nacquero negli [[Stati Uniti]] dei comitati per impedire gli abusi in pubblicità. Da questi comitati si sono sviluppati i ''[[Better Business Bureau]]s'', 106 fra U.S.A. e Canada, gli attuali organi di autodisciplina commerciale nordamericana<ref name=IAP1991>''Autodisciplina pubblicitaria'', Milano, IAP, 1991</ref>.
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In Italia l'[[Utenti Pubblicità Associati|UPA]] varò un primo "Codice morale della pubblicità" nel 1951; il secondo fu emanato dalla [[Federazione italiana della pubblicità]] nel 1952. Finalmente nel 1966 tutte le associazioni del settore elaborarono insieme il "Codice di autodisciplina pubblicitaria"
<ref>Codice di autodisciplina della pubblicità commerciale ,[http://www.iap.it/il-diritto/codice-e-regolamenti/il-codice/ Codice di autodisciplina della pubblicità commerciale]</ref>, la cui applicazione è curata dall'[[Istituto dell'Autodisciplina Pubblicitaria]]<ref name=IAPstoria/>.
 
== Il Museo della Pubblicità ==