Economie di scala: differenze tra le versioni

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===Economie nelle transazioni===
Una dimensione di scala maggiore determina in genere un maggiore potere contrattuale sui prezzi degli input e quindi beneficiare di economie pecuniarie nelle condizioni di acquisto di materie prime e beni intermedi rispetto alle imprese che fanno ordinazioni di ammontare minore. Si parla in tal caso di economie pecuniarie o monetarie, per mettere in evidenza il fatto che niente cambia dal punto di vista "fisico" dei rendimenti di scala. Inoltre i contratti di fornitura comportano costi fissi, e quindi un aumento nella quantità scambiata, associato a un incremento della scala di produzione, comporta costi medi decrescenti.<ref>Morroni (2010, p. 130).</ref> Allo stesso modo un’impresa più grande può essere avvantaggiata, rispetto a una più piccola, nel reperimento di [[capitale monetario]] con costi minori di finanziamento degli investimenti.
 
===Economie derivanti dal bilanciamento della capacità produttiva===
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==Economie di apprendimento e di crescita==
Le [[economie di apprendimento]] e di crescita sono alla base delle economie di scala dinamiche, associate al processo di crescita della dimensione di scala e non, come nei punti precedenti, alla dimensione di scala di per sé. L’apprendimento sul posto di lavoro migliora l’abilità di esecuzione e favorisce l’introduzione di innovazioni incrementali con un progressivo abbassamento dei costi medi.<ref>Rosenberg (1982); Levin et al. (1988); Scherer (2000, p. 22).</ref> Le economie di apprendimento sono direttamente proporzionali alla [[produzione cumulata]] nel tempo, partendo dall'inizio del [[Gestione del ciclo di vita del prodotto|ciclo di vita di un prodotto]]. La relazione tra la produzione cumulata e i costi unitari è stata sintetizzata nella [[curva di esperienza]].
 
Le economie di crescita si verificano quando un’impresa acquisisce dei vantaggi aumentando la sua dimensione. Tali economie sono dovute alla presenza di qualche risorsa o competenza non pienamente utilizzata, o all’esistenza di specifiche situazioni di mercato che creano un vantaggio durante il processo di espansione dell’impresa. Si badi che le economie di crescita scompaiono una volta che il processo di espansione della dimensione di scala è completato. Ad esempio, un’impresa, che possiede una catena di supermercati, trae beneficio da economia di crescita se, aprendo un nuovo supermercato, ottiene un aumento del prezzo dei terreni che essa possiede attorno al nuovo supermercato. La vendita di questi terreni a operatori economici, che desiderano aprire esercizi commerciali nelle vicinanze del supermercato, permette all’impresa in questione di realizzare un guadagno, lucrando sulla rivalutazione del valore dei terreni edificabili.<ref>Penrose (1959, pp. 99-101). Morroni (2010, pp. 130-1).</ref>
 
==Potere di mercato e attività d’influenza e lobbying==
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==Le economie di scala e la tendenza verso il monopolio: il dilemma di Cournot==
Una logica conseguenza della presenza di economie di scala è che la a prima impresa capace di aumentare la scala di produzione può estromettere, grazie ai costi unitari più bassi, le altre imprese operanti sul mercato, diventando quindi monopolista. È stato però notato che in numerosi settori industriali si riscontra la presenza di numerose imprese di diverse difensioni e strutture organizzative, nonostante la presenza di rilevanti economie di scala. Questa contraddizione, tra l’evidenza empirica riguardante la forma di mercato e l’incompatibilità logica fra economie di scala e concorrenza, è stata denominata ‘dilemma di Cournot’.<ref>Arrow (1979, p. 156).</ref> Come osserva Mario Morroni (2010, pp. 152-54), il dilemma di Cournot appare irrisolvibile se si considerano solo gli effetti delle economie di scala sulla forma di mercato. Se invece si amplia l’analisi, includendo anche gli aspetti che riguardano lo sviluppo delle conoscenze e l’organizzazione delle transazioni, è possibile concludere che non sempre le economie di scala portano al monopolio. Infatti, i vantaggi competitivi derivanti dallo sviluppo delle ''capabilities'' dell’impresa e dalla gestione delle transazioni con i fornitori e i clienti finali possono controbilanciare quelli forniti dalla dimensione di scala, contrastando così la tendenza verso il monopolio insita nelle economie di scala. In altre parole, l’eterogeneità delle forme organizzative e delle dimensioni delle imprese operanti in un settore di attività può essere determinata da fattori riguardanti la qualità dei prodotti, la flessibilità produttiva, le modalità contrattuali, le opportunità di apprendimento, l’eterogeneità delle preferenze dei clienti che esprimono una domanda differenziata rispetto alla qualità del prodotto, e l’assistenza prima e dopo la vendita. Possono dunque coesistere nello stesso settore di attività forme organizzative molto diverse, pur in presenza di economie di scala, come, per esempio, la produzione flessibile su larga scala, la produzione flessibile su piccola scala, la produzione di massa, la produzione industriale basata su tecnologie rigide associate a sistemi organizzativi flessibili e la tradizionale produzione artigianale. Le considerazioni che riguardano le economie di scala sono dunque importanti, ma non sufficienti a spiegare la dimensione dell’impresa e la struttura di mercato. È necessario tener conto anche dei fattori legati allo sviluppo delle [[capabilities]] e alla gestione dei [[costi di transazione]].<ref>Per un’analisi di questi due aspetti si veda Morroni (2010).</ref>
 
==Le economie di scala nella storia dell'analisi economica==
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===Le economie di scala in Marx===
Ne [[Il Capitale]] ([[1867]]), [[Karl Marx]] richiamandosi a [[Charles Babbage]] più che a Mill (verso il quale nutre una bassissima considerazione), analizza diffusamente le economie di scala interne all'impresa e ne conclude che come tali queste siano uno di quei fattori che inevitabilmente porteranno alla sempre maggiore concentrazione del capitale. Marx osserva che nel sistema
capitalistico le condizioni tecniche del processo lavorativo sono di continuo rivoluzionate per aumentare la forza produttiva del lavoro e aumentare il plusvalore. Secondo Marx “con la cooperazione di molti operai [...] si ottiene”, da una parte, “un'economia nell'mpiego dei mezzi di produzione”, dall’altra, un incremento della produttività dovuto all'aumento della divisione del lavoro. Inoltre l'aumento delle dimensioni del macchinario permette di realizzare rilevanti economie nei costi di costruzione, installazione ed esercizio.<ref>Marx (1867, pp. 353 sg., 366, 371; 1894, pp. 111-13).</ref> La tendenza a sfruttare le economie di scala comporta un continuo incremento del volume della produzione che, a sua volta, richiede un'espansione costante delle dimensioni del mercato.<ref>Marx (1867, p. 357).</ref> Tuttavia, se il mercato non si espande allo stesso ritmo degli incrementi della produzione, si possono manifestare crisi di sovrapproduzione. Secondo Marx il sistema capitalistico è dunque caratterizzato da due tendenze, connesse alle economie di scala: verso una sempre maggiore concentrazione e verso crisi economiche da sovrapproduzione.
 
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====Le economie di scala nella ''Teoria pura dei prezzi interni''====
''La teoria pura dei prezzi interni'' (''The pure theory of domestic values''), sebbene composta diversi anni prima della sua pubblicazione, negli anni compresi tra il [[1869]] e il [[1873]], venne resa nota solo nel [[1879]], stampata privatamente da [[Henry Sidgwick]] per essere inviata ai maggiori economisti dell'epoca, inglesi e non.
 
In questo saggio viene dedicato abbastanza spazio alla discussione delle economie di scala. Qui Marshall è, rispetto a ''Economics of Production'', ancora più esplicito nel limitare la portata della relazione negativa tra scala di produzione e costi medi.
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Per quanto concerne l'economia di capacità personali, oltre quelle derivanti da un utilizzo più efficiente della manodopera, Marshall sottolinea il grande vantaggio derivante alla grande impresa dalla suddivisione del lavoro di amministrazione.
 
Quanto poi alla considerazione che l'esistenza di economie interne di scala porti inevitabilmente alla creazione di [[monopolio|monopoli]], Marshall osserva che “alcuni, tra i quali lo stesso Cournot”, hanno considerato “le economie interne […] apparentemente senza notare che le loro premesse conducevano inevitabilmente alla conclusione che, qualsiasi impresa fosse stata in grado di acquistare il vantaggio della prima mossa avrebbe potuto conquistare il monopolio dell’intero settore di attività”.<ref>Marshall (1890, pp. 378, 380, nota 1); cfr. Cournot (1838, pp. 96 ss.).</ref> Marshall, pur ammettendo che tale tendenza è inevitabile, ritiene tuttavia che vi siano fattori che ne limitano l'operare, e segnatamente:
*la morte dell'imprenditore e la difficoltà che i successori alla guida dell'impresa ne condividano le capacità imprenditoriali;
*la difficoltà di raggiungere nuovi mercati per le proprie merci;
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:"I casi nei quali la produttività cresce in conseguenza di variazioni nelle dimensioni della singola azienda non possono trovar posto nella teoria della determinazione del prezzo in regime di libera concorrenza, poiché è chiaro che, se un'azienda può diminuire i suoi costi senza limite aumentando la produzione, essa continuerà a ridurre il prezzo di vendita fino a che non avrà conquistato tutto il mercato, ed allora si sarà usciti dall'ipotesi di concorrenza; quindi non ci fermiamo ad analizzarli."<ref>Sraffa (1925, pp. 41-42).</ref>
Secondo Sraffa anche Marshall arriva presto a tale conclusione. Per giustificare l'operare della legge dei rendimenti crescenti senza che questo entri in conflitto con l'ipotesi di libera concorrenza, Marshall tende ad evidenziare i vantaggi della localizzazione dell'attività produttiva e delle economie esterne legate alla quantità prodotta dall'intera industria. Ma secondo Sraffa questo non basta: "non si può infatti presumere che ad ogni aumento di produzione corrisponda una maggiore localizzazione dell'industria e ad ogni diminuzione un diffondersi degli stabilimenti sopra un territorio più esteso".<ref>Sraffa (1925, pp. 43-44).</ref> Non solo, Sraffa osserva che, per poter avere una qualche influenza sul prezzo di offerta, tali economie dovrebbero essere sì esterne alla singola impresa,
ma interne al settore. Tuttavia, come Marshall stesso riconosce, le economie di scala, “possono raramente essere allocate esattamente in una precisa industria: esse sono in gran misura presenti in gruppi spesso larghi gruppi, di industre correlate.<ref>Marshall (1919, p. 188) citato in Sraffa (1926, p. 73).</ref> In ogni caso, nota Sraffa, “nei casi in cui le economie esterne […] esistono, esse non sono associate a piccoli incrementi della produzione”. Sraffa conclude che, anche se la presenza di economie esterne all’impresa e interne all’industria può essere un’importante elemento che contribuisce a spiegare lo sviluppo industriale locale, nella teoria dei prezzi di equilibrio delle singole industrie, non può svolgere un ruolo importante perché questa teoria è basata su cambiamenti marginali, ossia molto piccoli, delle quantità prodotte.<ref>Sraffa (1926, p. 73).</ref>
Per Sraffa la "simmetria fondamentale" delle forze di domanda e offerta su cui poggia tutta la [[teoria del valore]] in Marshall, risulta essere alla prova dei fatti "una costruzione ipotetica ed irreale".
 
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==Bibliografia==
*{{Cita libro |titolo = Adam Smith and Modern Political Economy. Bicentennial Essays on the Wealth of Nations |autore = [[Kenneth Arrow]] |curatore = O’Driscoll, Gerald P. Jr |editore = The Iowa State University Press |città = Ames |anno = 1979 |lingua = en |capitolo = The division of labor in the economy, the polity, and society |pp = 153-164 |ISBN = 978-0813819006 }}
 
*{{Cita libro |titolo = On the Economy of Machinery and Manufactures |autore = [[Charles Babbage]] |editore = Knight |città = Londra |anno = 1832 |lingua = en |annooriginale = 1832 |ISBN = 9781974389438 }} Traduzione italiana: {{Cita libro |titolo = Sull'economia delle macchine e delle manifatture |autore = Charles Babbage |via = https://archive.org/stream/bub_gb_kxFIoGAjaXAC/bub_gb_kxFIoGAjaXAC_djvu.tx |editore= Guglielmo Piatti |città = Firenze |anno = 1834}}
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*{{Cita pubblicazione |titolo = The irrelevance of equilibrium economics |autore = [[Nicholas Kaldor]] |rivista = Economic Journal |volume = 82 |numero = 328 |anno = 1972 |mese = dicembre |pp = 1237-1255 |lingua = en }} Traduzione italiana: {{Cita libro |titolo= La crisi postkeynesiana |autore = Nicholas Kaldor |curatore = M. D'Antonio |editore = Boringhieri |città = Torino |anno =1975 |lingua= it |capitolo = La irrilevanza delle teorie dell'equilibrio economico }}
 
*{{Cita pubblicazione |titolo = Special Issue on Microeconomics |autore1 = Richard C. Levin |autore2 = Alvin K. Klevorick |autore3 = Richard R. Nelson |autore4 = Sidney G. Winter |curatore1 = M.N. Baily |curatore2 = C. Winston |rivista = Brookings Papers on Economic Activity |volume = 1987 |numero = 3 |editore = The Brookings Institution |anno = 1988 |lingua = en |capitolo = Appropriating the returns from industrial research and development }}
 
*{{Cita libro |titolo = Industry and trade |autore = Alfred Marshall |wkautore = Alfred Marshall |editore = Macmillan |città = Londra |anno = 1919 |lingua = en }}
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*{{Cita libro |titolo = Das Kapital|autore = [[Karl Marx]]|anno = 1867|lingua = ita|volume = 1}} Traduzione italiana: {{Cita libro |titolo = Il capitale |autore1 = D. Cantimori |autore2 = R. Panzieri |editore= Editori Riuniti |città = Roma |anno = 1970 |volume = 1}}
 
*{{Cita libro |titolo = Das Kapital|autore = [[Karl Marx]]|anno = 1894 |lingua = ita|volume = 3}} Traduzione italiana: {{Cita libro |titolo = Il capitale |autore1 = M.L. Boggeri |autore2 = R. Panzieri |editore= Editori Riuniti |città = Roma |anno = 1970 |volume = 3}}
 
*{{Cita libro |titolo = Principi di economia politica |autore = John Stuart Mill |wkautore = John Stuart Mill |editore = Unione Tipografico-Editrice Torinese |città = Torino |anno = 2006 |lingua = ita |ISBN = 9788802072630}}
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*{{Cita libro |titolo = The Theory of the Growth of the Firm |autore = Edith Penrose |editore = Oxford University Press, [Blackwell] |città =Oxford |anno = 1997 |lingua = en |annooriginale = 1959 |edizione = 3 |ISBN = 9780198289777}} Traduzione italiana: {{Cita libro |titolo = La teoria dell'espansione dell'impresa |autore = E. Penrose |editore= F. Angeli |città = Milano |anno = 1973 |ISBN = 8820407256}}
 
*{{Cita libro |titolo = The Competitiveness of Small Firms |autore = Clifford Frederick Pratten |editore = Cambridge University Press |città = Cambridge |anno = 1991 |lingua = en }}
 
*{{Cita libro |titolo = The Structure of Competitive Industry |autore = Edward Austin Gossage Robinson |editore = Cambridge University Press |città = Cambridge |anno = 1958 |lingua = en |annooriginale = 1931 }}
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*{{Cita pubblicazione |titolo = Professor Sutton’s ‘Technology and market structure’ |autore = Frederic Michael Scherer |rivista = The Journal of Industrial Economics |volume = 48 |numero = 2 |anno = 2000 |mese = giugno |pp = 215-223 |lingua = en }}
 
*{{Cita libro |titolo = An Inquiry into the Nature and Causes of the Wealth of Nations |autore = [[Adam Smith]] |editore = Clarendon Press |città = Oxford |anno = 1976 |lingua = en |volume = 2 |ISBN = 978-0865970076 }} Traduzione italiana: {{Cita libro |titolo = Indagine sulla natura e le cause della ricchezza delle nazioni |autore = [[Adam Smith]] |editore= ISEDI |città = Milano |anno = 1973}}
 
*{{Cita pubblicazione |titolo = Sulle relazioni tra costo e quantità prodotta |autore = [[Piero Sraffa]] |rivista = Annali di Economia |volume = 2 |pp = 277-328 |lingua = ita}} Rist. in: {{Cita libro |titolo = Saggi |autore = [[Piero Sraffa]] |editore = Il Mulino |città = Bologna |anno = 1986 |pp = 15-65|ISBN = 8815008721}}