Eriprando Aldobrandeschi: differenze tra le versioni
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Alla morte del padre, Eriprando si era ritrovato ad amministrare il patrimonio familiare, in quanto il fratello maggiore Ilprando era morto prematuramente poco dopo l'[[800]]; incrementò la quantità dei beni grazie a una serie di permute e acquisizioni con il vescovo [[Berengario di Lucca|Berengario]].<ref name=coll40/><ref name=casta/> Ricevette dal vescovo alcuni beni presso [[Roselle (Grosseto)|Roselle]] in cambio di una quota della [[chiesa di San Benedetto a Settimo]] ereditata dal nonno.<ref name=coll40/> Nel febbraio 840 intervenne nella controversia tra il vassallo Giselmaro e il monastero di San Giacomo, ed è citato per primo tra i [[Vassallo|vassalli imperiali]]; lo stesso in due atti dell'844 e dell'851, dove è citato per primo subito dopo il vescovo Ambrogio; nell'ultimo caso è ricordato come «vassus domni imperatori».<ref name=coll40/> Fu tra i "signiferi" al seguito del [[marchese di Tuscia]] [[Adalberto I di Toscana|Adalberto I]] durante la spedizione in soccorso di [[Incursione saracena contro Roma (846)|Roma razziata dai saraceni]].<ref name=casta/> Assistette a vari [[placiti]], a Lucca ma anche a [[Pisa]]; in un atto dell'853 è definito come «missus partibus Tusciae».<ref>{{Cita|Collavini 1998|p. 46.}}</ref>
Oltre a Geremia e Ildebrando II, ebbe almeno altri due figli, Eriprando II e Ademari, anch'essi vassalli.<ref name=coll45/>
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