Innominato: differenze tra le versioni

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Durante la notte in cui Lucia è prigioniera nel castello, la disperazione dell'Innominato giunge a un punto critico, tanto da fargli desiderare il suicidio; ma ecco che la [[Provvidenza|Divina Provvidenza]] e le parole di Lucia lo salvano e gli mostrano la via della misericordia e del perdono. La sua conversione giunge dopo la notte angosciosa, infatti quel giorno arriva nel suo paese il cardinale [[Federico Borromeo]], personaggio storico. La scelta di Manzoni del personaggio per attuare la conversione non è certamente casuale: infatti solo un uomo di una grandissima bontà come il cardinale può redimere l'Innominato.
 
Come dichiarato dall'autore stesso al termine del capitolo 24, le fonti storiche del [[Giuseppe Ripamonti|Ripamonti]] stesso riferiscono che l'uomo si sia convertito dopo un lungo colloquio con il porporato. Nel romanzo, i due personaggi si possono considerare, per certi aspetti, come opposti. Dopo la conversione l'Innominato cambia completamente e coglie al volo l'occasione per far del bene in maniera proporzionata al male che aveva fatto. Il personaggio dell'Innominato e il suo "castello a cavaliere di una valle angusta e uggiosa" con la relativa ambientazione (capitolo XX) richiamano le tetre, cupe immagini del [[romanzo gotico]] del [[Secolo XVIII|Settecento]] in cui era solitamente presente la figura della giovane innocente perseguitata da un tiranno malvagio, eroe del male.<ref>L'Innominato rappresenta la figura del brigante passionale, come quella presente nei ''Masnadieri'' di [[Schiller]].</ref>
 
Presenta volontà indomabile, desiderio e ricerca di solitudine, orgoglio e amore d'indipendenza, malvagità dovuta ad arroganza e fierezza, ma nata dallo sdegno e dall'invidia verso le tante prepotenze a cui assiste. Non si compiace della scelleratezza e tiranneggia per non essere tiranneggiato.<ref>[[Arturo Graf]], ''Foscolo, Manzoni, Leopardi'', Torino, Chiantore, 1945, pp. 137-40.</ref> Il [[castello dell'Innominato]] presenta una solitudine eccelsa di paesaggio e d'anima. Il paesaggio è singolare e fa da sfondo alla vicenda eccezionale: si tratta di un paesaggio d'arte e fantasia. La personalità dell'Innominato impronta di sé tutta la realtà circostante e il paesaggio è un'introduzione psicologica alla vicenda. L'atmosfera del castello è mitica e all'altezza dei luoghi corrisponde un'elevatezza d'animo. L'alba che precede la conversione mostra una liberazione vicina, "un colore di travaglio e di mortificazione che è il colore stesso della natura e della vita. [...] Presenza silenziosa e operosa di un Dio che non è solo testimone ma artefice".<ref>Mario Marcazzan, ''Il paesaggio dei "Promessi Sposi"'', cit., pp. 101-104</ref>. [[Attilio Momigliano]] <ref>''L'Innominato'', Genova, Formiggini, 1913.</ref> evidenzia bene l'evoluzione dell'animo del personaggio, la solitudine dell'anima nelle tenebre della notte ed il travaglio del rinnovamento. Nel contrasto fra io antico e nuovo egli prova una "non so qual rabbia di pentimento" e [[Lucia Mondella]] è un'immagine presente di condanna e di perdono. [[Luigi Russo]] <ref>''I Personaggi dei "Promessi Sposi"''; Bari, Laterza, 1952, pp. 119-129.</ref> sottolinea che nella non resistenza di Lucia, l'Innominato vede come l'immagine temuta della morte che viene sola e disarmata, senza che le si possa opporre nulla. Dinanzi alla fanciulla il più debole è lui. Ad un certo punto egli non discorre più con Lucia ma con il suo fantasma interno di Dio. Egli attua una ricerca sgomenta di un nuovo sentiero di vita, prova orrore delle memorie di una vita scellerata.