Caso degli emoderivati infetti in Italia: differenze tra le versioni
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Nel decreto ministeriale datato 15 gennaio 1991<ref>{{Cita pubblicazione|autore=|data=24 gennaio 1991|titolo=Protocolli per l'accertamento della idoneità del donatore di sangue ed emoderivati.|rivista=Gazzetta Ufficiale|volume=|numero=20|url=http://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/1991/01/24/091A0319/sg|urlarchivio=https://web.archive.org/web/20190223130838/http://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/1991/01/24/091A0319/sg}}</ref> in cui vengono aggiornati i protocolli per l'accertamento dell'idoneità dei donatori di sangue e plasma, si ribadisce la necessità della determinazione su ogni donazione, tra gli altri, dell'alanina transaminasi con metodo ottimizzato, degli anticoripi anti-HIV, dell'antigene di supeficie del virus dell'epatite B (HBsAg) e degli anticorpi anti-HCV.
Attraverso un telegramma del novembre 1992, la direzione generale del servizio farmaceutico dispone
Nel settembre 1994, una lettera circolare dell'[[Istituto superiore di sanità|Istituto Superiore di Sanità]] indirizzata alle imprese farmaceutiche porta a conoscenza delle stesse la [[Raccomandazione dell'Unione europea|raccomandazione]] III/5193/94 del [[Consiglio dell'Unione europea|Consiglio delle Comunità Europee]] ("Plasma pool testing") che richiede la ricerca dell'antigene Australia e degli anticorpi anti-HIV1/2 e anti-HCV anche sui lotti di plasma destinati alla produzione di emoderivati e non solo sulle singole donazioni.
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