Scipione Ammirato: differenze tra le versioni

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[[File:Scipione Ammirato (1531-1601).png|thumb|left|''Delle famiglie nobili Napoletane'' (1580)]]
 
Nato a Lecce da una nobile famiglia di origine toscana, venne avviato dal padre agli studi di [[diritto]] a [[Napoli]], ma ne fu distratto dai suoi interessi umanistici. Frequentò i circoli letterari partenopei, e divenne intimo amico dei poeti [[Berardino Rota]]<ref>A questa amicizia sincera dobbiamo le edizioni delle Rime del Rota fatte dall'Ammirato nel 1560: {{Cita libro|editore= Mattia Cancer|lingua= it|cognome= Rota|nome= Berardino|titolo= Sonetti del s. Berardino Rota in morte della sra. Porta Capece sua moglie|città= Napoli|accesso= 2 giugno 2019|data= 1560|url= https://books.google.it/books?id=8OLVYyhJt28C&printsec=frontcover&hl}}; {{Cita libro|editore= Gio. Maria Scotto|lingua= it|cognome= Rota|nome= Berardino|titolo= Sonetti et canzoni ; con l'egloghe pescatorie|città= Napoli|accesso= 2 giugno 2019|data= 1560|url= https://books.google.it/books?id=8btdAAAAcAAJ&printsec=frontcover&hl}} Cfr. anche: {{DBI|berardino-rota|Berardino Rota|autore=Luca Milite|accesso=2 giugno 2019}}</ref> e [[Angelo di Costanzo]] e del botanico [[Bartolomeo Maranta]], scelto dall'Ammirato come personaggio del dialogo ''Il Rota, overo delle imprese'' (e il Maranta sceglierà Scipione quale interlocutore del suo ''Lucullianorum quaestionum'' nel 1564).<ref name=Favaro>{{cita pubblicazione|autore=Maiko Favaro|titolo=Sulla concezione dell'impresa in Scipione Ammirato|pubblicazione=Italianistica: Rivista di letteratura italiana|volume=38|numero=2|pp=285-298|anno=maggio-agosto 2009|JSTOR=23938118}}</ref><ref name=q>{{harvnb|I trasformati|p=21}}.</ref> Intrapresa la carriera ecclesiastica, per alcuni anni risiedette a [[Venezia]], dove divenne segretario del [[Patriziato (Venezia)|patrizio veneto]] Alessandro Contarini. A Venezia approfondì i suoi interessi letterari, frequentò le dotte riunioni in casa del letterato Domenico Venier e strinse amicizia con [[Pietro Aretino]], [[Sperone Speroni]], e [[Vittoria Colonna]].<ref name=A >{{Cita libro|editore=A & C Black|curatori=Peter Bondanella, Julia Conway Bondanella, Jody Robin Shiffman|titolo= Cassell Dictionary Italian Literature |accesso= 2 giugno 2019|data= 2001|url= https://books.google.it/books?id=TXBFC7Q41eUC&pg=PA11&dq |p= 11}}</ref><ref>{{harvnb|Congedo|pp=25-28}}.</ref> Collaborò alla stampa, curata da [[Girolamo Ruscelli]], dell'''[[Orlando furioso|Orlando Furioso]]'', cui egli prepose gli ''Argomenti'' in rima.<ref name=DBI/><ref>« L'amicizia contratta col Ruscelli in casa del Venier fece sì che l'Ammirato componesse in questo tempo gli argomenti all'''Orlando Furioso'', il poema da lui prediletto. « Giovane di belle lettere, di felicissima vena e di forti studi » scrive il Ruscelli dell'Ammirato, che certo nelle adunanze geniali dei letterati veneziani avea colto il destro di farsi conoscere autore di versi e critico di poesia non spregevole », in: {{harvnb|Congedo|p=29}}.</ref> Costretto ad abbandonare il servizio di Contarini a causa di uno scandalo, Ammirato si recò in un primo tempo a Roma, dove entrò al servizio di [[papa Pio IV]]. Nel 1558 tornò a Lecce, dove fondò, insieme a Pompeo Paladini, l'Accademia dei Trasformati, di cui fu «Principe» col nome di «Proteo».<ref name=Favaro/><ref>« Poco l'Ammirato parla della sua accademia: ci dice solo che vi si lessero per intero i dialoghi di Platone, ragionando dei quali l'accademico Marsia, Pier Antonio Tafuri, e Efone, Niccolò Guidano, spiegarono i miti di Medea e di Marsia «nel primo o secondo ascenso nel dì del convivio». Così l'Ammirato, traendo occasione dal giudizio di Platone intorno ad Aristofane, commentò il sonetto del Petrarca: ''Qui dove mezzo son, Sennuccio mio'' ; Marino Cosentino «buono e valoroso» lesse le sue interpretazioni dei simboli tratti dai versi di Orazio e di Virgilio e dall'antica mitologia. », in: {{harvnb|Congedo|p=45}}.</ref>
 
Datosi allo studio assiduo delle opere di [[Platone]], verso il 1560 compose, per consiglio del vescovo [[Braccio Martelli|Martelli]] e di [[Girolamo Seripando]], il dialogo ''[[s:Il dedalione o ver del poeta|Il dedalione o ver del poeta]]'' (Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale, Magl. VII 12)<ref>Edito in: {{cita libro|curatore=Bernard Weinberg|titolo=Trattati di poetica e retorica del Cinquecento|volume= 2|città=Bari|editore=[[Casa editrice Giuseppe Laterza & figli]]|anno=1970|pp=477-512|collana=[[Scrittori d'Italia Laterza]]}}</ref>, dedicato a Seripando e presentato manoscritto dieci anni più tardi nell'Accademia degli Alterati a Firenze.<ref>{{Cita libro|editore=[[Salerno editrice]]|autore=Enrico Malato|titolo=Storia della letteratura italiana: La critica letteraria dal due al novecento|accesso=2 giugno 2019|data=2003|p=376}}</ref><ref>{{Cita libro|autore1= [[Giulio Ferroni]]|autore2= Amedeo Quondam|titolo= La "Locuzione Artificiosa": Teoria ed esperienza della lirica a Napoli nell'età del manierismo|anno= 1973 |editore= [[Bulzoni Editore]]|p= 75|citazione= In Firenze, nell'Accademia degli Alterati, l'Ammirato presentò nel 1571 il manoscritto del dialogo ''Il Dedalione o ver del poeta'', composto però in Napoli intorno al 1560 e dedicato a Girolamo Seripando, arcivescovo di Salerno ed esponente di rilievo della riforma cattolica}}</ref><ref>Monsignor Seripando con lettera del 21 dicembre 1560 ringraziava l'autore esprimendo anche il proprio giudizio sull'opera: « vi dico in parola di verità che io non ho letto tra i latini dialogo pur uno più simile ai platonici di questo, dico quanto al filosofo et al modo di procedere. Perché i dialoghi di ms. Tullio (voglio scoprirvi cosa, mai più da me né scritta né detta ad altri, ancorché io gli abbia sempre letti con grande mio piacere et soddisfattone) nondimeno mi è paruto sempre, che rappresentassero più presto persone congregate ad ascoltar uno, che a ragionar fra loro ... Piacemi ancora che a guisa di Platone tratta cose appartenenti a varie scentie et arti, il che fa la copia del dire, e serva quel che si fa ne i cotidiani ragionamenti et dispute : ove con la varietà si fa una certa ostentatione alla quale sono gli uomini comunemente inchinati. Quanto alla materia non voglio distendermi, essendo tutta utile e trattata tanto dotta e facilmente con risolutione di tutti i dubbi, che possono occorrere al lettore, che più non può desiderarsi. »</ref>
 
Ormai famoso in tutta Italia, non riuscì tuttavia a ottenere la carica di storiografo regio a Napoli, proposta per lui da [[Angelo Di Costanzo]], e indignato se ne andò a Firenze (1569), non accettando più alcun incarico nel [[Regno di Napoli]], nonostante le sollecitazioni del viceré. Dal granduca [[Cosimo I de' Medici]], che lo ospitò presso [[Villa medicea della Topaia|Villa La Topaia]], ottenne l'incarico di scrivere le ''Istorie fiorentine'', per la cui stesura poté servirsi del materiale conservato presso l'Archivio Pubblico istituito nel [[1570]]. Obiettivo polemico delle ''Istorie'' di Ammirato sono le ''[[Istorie fiorentine]]'' di Machiavelli, di cui contestò sia l'impostazione dispersiva sia le numerose inesattezze (1° vol., pp. 1-2, e 3° vol., pp. 96-97).<ref name=Machiavelliana>{{cita|Francesco Vitali (2014)}}.</ref> Promotore dell'Accademia fiorentina degli Alterati, Ammirato divenne un protagonista del panorama culturale cittadino.<ref name=A/> Giovan Battista Attendolo lo proclamò "principe degli storici del suo secolo", e l'[[Accademia degli Umidi|Accademia fiorentina]] "nuovo Livio"; Orlando Pescetti lo pose per la lingua allo stesso livello di [[Pietro Bembo]], [[Giovanni Della Casa|Monsignor della Casa]], [[Lionardo Salviati]], [[Benedetto Varchi]] e Annibale Caro; il suo lavoro sulle ''Famiglie napoletane'' ebbe un grande successo nelle corti di tutta Italia, e suscitò le calorose lodi di [[Traiano Boccalini]] e di [[Annibale Caro]]. «In un'epoca in cui largamente si diffondeva un'[[araldica]] dominata dalla fantasia e trovavano credito le astruse ricostruzioni genealogiche di spregiudicati falsari, le documentate ed erudite ricerche di Scipione Ammirato sulle famiglie napoletane e fiorentine fecero testo per «compor le genealogie e fabbricar gli alberi delle case più illustri» (Traiano Boccalini, ''Ragguagli di Parnaso'', Cent. I, L).»<ref>{{cita libro|titolo=L'Idea di nobiltà in Italia|autore=[[Claudio Donati]]|editore=[[Editori Laterza]]|anno=1988|p=220|isbn=9788842030485}}</ref> Indice della fama dell'Ammirato [[Genealogia|genealogista]] erano le richieste di pareri su tale materia che gli venivano avanzate non solo da famiglie regnanti italiane, ma anche dal re di Francia o dal decano capitolare di Colonia.<ref>Si veda U. Congedo, ''La vita e le opere di Scipione Ammirato'', in «Rassegna pugliese di scienze lettere e arti», XX, 1903, pp. 13-15.</ref> I re [[Enrico II di Francia]] e [[Filippo II di Spagna]], i papi [[Papa Clemente VIII|Clemente VIII]] e [[Papa Sisto V|Sisto V]] e i Medici gli spedivano lettere assai lusinghiere, promettendogli immense ricchezze.<ref>{{harvnb|Scarabelli|pp=13-15}}.</ref> Nel [[1595]] divenne [[canonico]] della [[Cattedrale di Santa Maria del Fiore|cattedrale di Firenze]]. Dopo aver fatto testamento (11 gennaio 1600) morì il 31 gennaio 1600 e lo stesso giorno fu sepolto in [[Cattedrale di Santa Maria del Fiore|Santa Maria del Fiore]] a Firenze.
 
==Teoria della ragion di stato==