Scipione Ammirato: differenze tra le versioni
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Nei ''Discorsi '' Ammirato sostiene che la ragione di stato "''altro non essere che contraventione di ragione ordinaria per rispetto di publico beneficio, overo per rispetto di maggiore e più universal ragione''".<ref>{{cita web|url=http://www.filosofia.unina.it/ars/aammira.html|titolo= Scipione Ammirato|accesso=1º giugno 2019}}, p. 179</ref> Egli riteneva che il monarca, o il reggitore delle sorti dello stato, fosse provvisto di una ''plenitudo potestatis'', sebbene dovesse essere saggio ed esemplare, consapevole dei suoi doveri.<ref name="DBI" /> Ammirato in ultima istanza riteneva che la ragion di Stato fosse solo una deroga agli [[ordinamento giuridico|ordinamenti]] vigenti, in casi particolari in cui fosse a repentaglio l'esistenza stessa dello Stato, ma non una deroga alle [[Etica|leggi naturali]] o divine. In altri termini, esiste a suo giudizio una ragione di stato non arbitraria (''dominationis flagitia''), ma rispettosa del bene generale, tesa a limitare i privilegi e gli eccessi, a condizione che venga esercitata dal principe, solo e legittimo rappresentate dello stato, nel rispetto delle leggi di [[Dio]] e della natura.<ref>{{Cita libro|editore= [[Donzelli Editore]]|nome=Maurizio|cognome=Viroli|titolo= Dalla politica alla ragion di stato: la scienza del governo tra XIII e XVII secolo|città= Roma|accesso= 4 gennaio 2012|data= 1994|url= https://books.google.it/books?id=KkCm016TzqkC&pg=PA179&dq=giuristi#v=onepage&q&f=false|p= 179}}</ref>
L'esposizione chiara e, per quanto lo permetteva la materia, di non difficile lettura, nella quale l'erudizione non soffoca il ragionamento, assegna al libro dell'Ammirato il primo posto tra quanti trattarono di politica sulla fine del secolo XVI, di gran lunga al di sopra della gran massa degli altri che, eccettuato il Botero, non fanno che affastellare citazioni antiche e moderne e generare confusione e fastidio in chi si accinge a leggerli.<ref>{{harvnb|Congedo|p=369}}.</ref>
I ''Discorsi'' di Ammirato ebbero grande successo. La Granduchessa gli scriveva che sperava «di cavarne utilità di virtuosi e giusti avvertimenti et compiacimento» e li chiamava un «libro salutifero». Il Granduca sperava anch'egli di trarre «da essi con dilettazione frutto et aiuto» per il suo governo, «tenendo per certo che con Cristiana pietà siano prudentemente indirizzati a un giusto reggimento e ad una accorta conservazione de' popoli e delli Stati con publico benefizio».<ref>Cfr. ''Lettere''. – ''Opuscoli'', II, p. 433-4.</ref> Simile accoglienza ebbero nel mondo letterario; furono lodati da [[Antonio Possevino]]<ref>Antonio Possevino, ''[[Bibliotheca selecta]]'', II, p. 382.</ref>, tradotti nel 1609 in latino e nel 1619 in francese e apprezzati da [[René Rapin]], che pure riteneva lo studio della politica di Tacito ''le plus vaine de touts''.<ref>Cfr. le ''Reflexions sur l’eloquence, la poetique, l’histoire et la philosophie de M. Rapin'', Amsterdam, Abraham Wofgang, 1686, p. 304.</ref> Più recentemente [[Abraham Nicolas Amelot de la Houssaye|Amelot de la Houssaye]] nella sua nota versione di Tacito così si esprimeva a proposito dei ''Discorsi'' dell'Ammirato: «Je n'ai pas laissé de trouver beaucoup de bon sens dans ses raisonnemens et même beaucoup de droiture dans ses maximes». Notata poi l'opposizione al Machiavelli ed una certa oscurità derivante, secondo lui, dall'aver voluto imitare soverchiamente lo stile di Tacito, continua: «Il entre-mêle assez souvent les exemples modernes avec les anciens afin, dit-il dans un de ses discours, que chacun voye que la vérité des choses n'est pas alterée par la diversité des temps. En un mot, son Commentaire est assurement un des milleurs que nous ayons sur Tacite.»
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