Nephesh: differenze tra le versioni
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== Nefeš come gola ==
La bibbia ebraica non ha
Il lettore italiano conosce ''nefeš'' con la traduzione di anima che si rifà, però, alla traduzione greca (LXX) e latina (Vulgata) delle Scritture e non all’originale ebraica. Nella Bibbia ebraica ''nefeš'' fu senza alcun dubbio adoperata sin dall’inizio in riferimento all’essere umano e per descriverlo in lacune sue peculiarità. Essa compare per la prima volta in tal senso in ''Genesi'' 2:7, ove si legge:
<br /><blockquote> L’Eterno Dio formò l’uomo [הָאָדָם (''haadâm''), “il terroso”]
dalla polvere della terra [אֲדָמָה (''adamâh'')],
gli soffiò nelle narici un alito di vita
[נִשְׁמַת חַיִּים (''nišmàt chayìym''), “soffio di vita”],
e l’uomo [הָאָדָם (''haadâm''), “il terroso”]
divenne un essere vivente [חַיָּה נֶפֶשׁ (''nèfeš chayàh'')].</blockquote>
''Nefeš'' è vista in stretta relazione con la forma complessiva dell’essere umano. Per questo possiamo dire che la persona non ha ''nefeš'', ma che essa è ''nefeš'' e vive come tale.
Ma la parola ebraica che i greci hanno tradotto con ''psyché'' [ψυχή] ed i latini con anima in realtà non vuol dire anima, bensì essa possiede ben altri e più estesi significati. Spesso la parola nefeš assume il significato di gola o bocca come accade in Isaia 5:14, ove si legge:
<br /><blockquote> Pertanto gli inferi dilatano le loro nefeš,
spalancano senza misura la loro bocca.</blockquote>
Invece il ''Salmo'' 107 al verso nove così recita:
<br /><blockquote> Egli ha restorato la nefeš assetata
e ha colmato di beni la nefeš affamata.</blockquote>
Qui si parla di nefeš affamata e assetata. E che non si tratti di una fame o sete, per così dire, spirituale ce lo dimostra il quarto verso del medesimo salmo poiché:
<br /><blockquote> Essi andavano errando nel deserto per vie
desolate; non trovavano città da abitare.</blockquote>
E, sempre per questo motivo:
<br /><blockquote> Affamati e assetati,
la ''nefeš'' veniva meno in loro.
(''Ibidem'', v. 4)</blockquote>
Non si tratta dunque di anima, ma di nefeš come gola o bocca. Essa fa pensare all’organo che ha sempre bisogno di essere ristorata con nuovi cibi ed acqua. E per questo motivo viene presa come figura del bisogno e del desiderio umano. È precisamente nella sua nefeš che la persona sente che non può vivere con le sue sole risorse:
<br /><blockquote> Il Signore non permette che la ''nefeš'' del giusto
soffra la fame, ma respinge insoddisfatto l’avidità
degli empi
(''Proverbi'', 10:3)</blockquote>
Anche questo passo indica chiaramente che nefeš ha il significato di gola alludendo contemporaneamente al bisogno umano.
In ''Proverbi'' 28:25 si legge:
<br /><blockquote> Chi ha l’anima arrogante suscita contesa, ma chi
confida sarà saziato dall’Eterno.</blockquote>
Ciò che viene reso con “anima arrogante” è in ebraico ''rekhàv nefeš'' (רְחַב־נֶפֶשׁ) che vuol dire “gola spalancata”.
È per questo che ''Abacuc'' 2:5 può definire l’uomo avido come:
<br /><blockquote> colui che ha reso la sua ''nefeš'' spaziosa proprio
come lo Sheol, e che è come la morte e non si può
saziare.</blockquote>
Infatti, ''Proverbi'' 13:25 ribadisce che:
<br /><blockquote> Il giusto mangia fino a saziare la sua ''nefeš'', ma il
ventre dei malvagi sarà vuoto.</blockquote>
Sete, acqua e ''nefeš'' sono spesso nella Bibbia tra loro correlati:
<br /><blockquote> Una bona notizia da un paese lontano è come
acqua fresca per una ''nefeš'' stanca e assetata.
(''Proverbi'', 25:25)</blockquote>
È sempre più chiaro che ''nefeš'' non significhi anima, ma gola o bocca. La ''nefeš'' nella primitiva anatomia ebraica non è considerata solo come organo del nutrimento, del gusto e, per estensione, del desiderio, ma anche come il condotto della respirazione. Così ci dimostra ''Geremia'' 15:9, ove si legge che:
<br /><blockquote> colei che aveva partorito sette figliuoli è languente;
la sua ''nefeš'' ha ansimato.</blockquote>
Ma ,anche in Genesi 35:18, mentre Rachele muore si dice che:
<br /><blockquote> la sua ''nefeš'' se ne usciva</blockquote>
Qui non si tratta dello spirito o dell’anima che esala via dal corpo nel momento della morte o del parto, ma del respiro che, passando attraverso la gola, esce dalla bocca.
Solo se si considera la ''nefeš'' come organo della respirazione sono comprensibili i passi biblici in cui la radice ''√nfsh'' (√נפש) viene usata con valore verbale. Si trovano di seguito alcuni esempi dell’utilizzo di tale radice:
<br /><blockquote> Alla fine il re e tutto il popolo che era con lui
arrivarono stanchi. Là dunque si ristorarono
[יִּנָּפֵשׁ (''ynapèsh''), tirarono il fiato]
(''Secondo Libro di Samuele'', 16:14)</blockquote><br /><blockquote> Per sei giorni devi fare il tuo lavoro; ma il settimo
giorno devi desistere, perché il tuo toro e il tuo
asino si riposino e il figlio della tua schiava e il
residente forestiero si ristorino [יִנָּפֵשׁ (''ynapèsh''),
tirino il fiato]
(''Esodo'', 23:12)
In sei giorni l’Eterno fece i cieli e la terra e il
settimo giorno si riposò e si ristorava [יִּנָּפַשׁ (''ynapàsh''),
tirò il fiato]”
(''Esodo'', 31:17)</blockquote>
A dimostrare che ''nefeš'' vuol dire gola o bocca o respiro non vi è solo la radice verbale ''√nfsh'' (√נפש) che vuol dire “tirare il fiato (''ynapèsh'')”, ma anche l’accadico ed altre lingue semitiche. La forma accadica ''napashu'' significa “soffiare”, “sbuffare”, “respirare”. Ancora: in accadico la forma ''napishtu'' indica la “gola”, poi la “vita” e infine l’“essere vivente”. In ugaritico ''npsh'' (le stesse identiche consonanti usate nell’ebraico ''nefeš'' [la lettera ''pe''/''fe'' (פ) indica in ebraico sia la ''p'' che la ''f'']) indica la “gola”, l’“appetito” e il “desiderio”. L’arabo ''nafsum'' può indicare il “fiato”, l’“appetito”, la “vita” e la “persona” intera.
Il collo non è altro che la parte esterna e visibile della gola. Dunque, se ''nefeš'' poteva designare la gola il passaggio al significato di collo è pressoché immediato. Nel Salmo 105:18 si pensa esclusivamente alla parte esterna e visibile della gola, cioè il collo:
"Afflissero con i ceppi i suoi piedi, la sua ''nefeš'' entrò nei ferri"
Che qui si tratti del collo e non dell'anima ce lo dice chiaramente l'analoga espressione riguardante i piedi ed il fatto che si parli di catene non metaforiche. Altra testimonianza e conferma della traduzione di ''nefeš'' come collo ci viene da Isaia 51:23
"Dicevano alla tua ''nefeš'': 'Chinati affinché passiamo' e tu facevi del tuo dorso proprio come la terra, come una strada per i passanti."
Ciò avveniva secondo l'uso dei vincitori di porre i propri piedi sulla nuca dei vinti in segno di sconfitta. Ci soffermeremo adesso su questi passi confrontando svariate traduzioni:
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"Non colpiamo a morte alla sua nefeś" (Genesi 37:21)
"Sai tu che Baalis, re degli Ammoniti, ha mandato Ismael, figlio di Nethania, per colpire alla tua ''nefeš''" (Geremia 40:14)
Rileggiamo adesso invece i medesimi passi, ma con
"Non togliamogli la vita" (Genesi 37:21)
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"[...] ha mandato Ismael, figlio di Nethania, per toglierti la vita?" (Geremia 40:14)
È, sì, vero che il messaggio e il significato non cambiano, anzi risulta più chiaro al lettore occidentale, ma la letteralità del testo ci mostra ancora una volta l'essenzialità del linguaggio concreto biblico e il significato di ''nefeš'' come collo. Questo sarebbe, infatti, il testo vero e letterale in tutta la sua freschezza:
"Non colpiamolo alla gola" (Genesi 37:21)
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Ancora: il seguente discorso vale anche per i ceppi che vengono messi intorno al collo in 1 Samuele 28:9 ove si dice:
"Perché agisci come uno che tende trappole contro la mia ''nefeš'' per farmi mettere a morte?"
Anche qui, per comodità del lettore preferisco aggiungere un'altra traduzione del medesimo passo:
"Perché dunque tendi un'insidia alla mia vita (''nefeš'') per farmi morire?" (1 Samuele 28:9)
Dietro la prolissità e la pomposità delle traduzioni l'ebraico dice letteralmente:
"Perché vuoi mettere un cappio intorno alla mia ''nefeš'' così da farmi morire?" (1 Samuele 28:9)
Qui l'immagine rimanda precisamente e in modo diretto al cappio che stringe il collo fino alla morte. La prima traduzione riportata, anche qui, gioca con cappio-trappole, mentre la seconda elide il linguaggio concreto biblico per giungere subitaneamente al dunque e rendere il testo più facilmente leggibile all'occidentale; ma la terza traduzione resta senza alcun dubbio comunque la più fedele e la più veritiera. Anche in altri passi è utilizzata la stessa metafora del cappio alla gola per indicare un pericolo mortale ed il testo è chiarissimo, ma le traduzioni un po' meno. Viediamo, anche in questo caso, diverse traduzioni del medesimo passo:
"La bocca dello stupido è la sua rovina, e le sue labbra sono il laccio per la sua ''nefeš''" (Proverbi 18:7)
"La bocca dello stupido è la sua rovina, e le sue labbra sono un laccio per l'anima sua" (Ibidem)
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