Ethica: differenze tra le versioni

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L'opera è fortemente sistematica; essa si propone di trattare tutti i campi di indagine della filosofia scandendoli in cinque parti (su Dio, la mente, le passioni, la schiavitù dell'uomo nei loro confronti e la possibilità della sua liberazione da esse) corrispondenti a un percorso che, partendo dalle questioni più fondamentali della metafisica, conduce fino all'etica con il preciso obiettivo di formulare una teoria della beatitudine umana.<ref>{{cita|Scribano|pp. 7-8.}}</ref>
 
L'esposizione del contenuto dell<nowiki>'</nowiki>''Etica'', come specificato sin dal titolo, è poi organizzata secondo un metodo «geometrico» ispirato al modello [[Deduzione|assiomatico-deduttivo]] della [[geometria euclidea]].<ref name=scribano_8>{{cita|Scribano|p. 8.}}</ref> Spinoza procede enunciando [[Assioma|assiomi]] e [[Definizione|definizioni]] sulla base dei quali [[Dimostrazione|dimostra]] delle [[Teorema|proposizioni]] con i loro eventuali [[Corollario|corollari]]. Tale metodo, che mira a garantire dimostrativamente la certezza dei risultati a cui man mano si perviene,<ref name=nadler_250/> è considerato da alcuni commentatori come un significativo specchio di quella che per Spinoza è la struttura della sostanza stessa a cui afferisce tutto quello che è nel mondo, dal momento che la causalità della dinamica dell'universo corporeo vi è tradotta in una serie di corrispondenti nessi di implicazione logica;<ref>{{cita|Nadler|p. 251}} rimanda a {{en}} {{cita libro|autore=Piet Steenbakkers |titolo=Spinoza's Ethica from Manuscript to Print |editore=Van Gorcum |città=Assen |anno=1994 |pagine=cap. 5}}</ref> altri, senza necessariamente contestare questa tesi, hanno sostenuto che comunque la forma dell<nowiki>'</nowiki>''Etica'' avrebbe potuto altrettanto bene essere quella di un normale testo filosofico in prosa.<ref>{{cita|Nadler|p. 251}} rimanda a {{en}} {{cita libro|autore=Harry Wolfson |titolo=The Philosophy of Spinoza |editore=Harvard University Press |città=Cambridge (MA) |anno=1934 |pagine=cap. 2}}</ref> AdA ogni modo, è stato sottolineato che, in primo luogo, sovente Spinoza sottintende, come presupposti, tesi che non ha ancora enunciato e che verranno dimostrate solo successivamente;<ref name=scribano_8/> e che, in secondo luogo, alcuni di quelli che l'autore considera assiomi implicano prese di posizione filosoficamente impegnative e sono comunque lontani dall'autoevidenza,<ref>{{cita|Scribano|p. 14.}}</ref> giustificandosi piuttosto, poco alla volta, in virtù delle conseguenze che ne vengono tratte.<ref>{{cita|Gentile, Durante, Radetti|p. 656.}}</ref>
 
Inoltre, a più riprese Spinoza sembra mostrare delle insofferenze nei confronti della rigidità del metodo euclideo.<ref>{{cita|Scribano|pp. 9, 91.}}</ref> È anche per questo che spesso egli aggiunge alle sue proposizioni degli [[Scolio|scoli]] più estesi e di carattere discorsivo in cui chiarifica i suoi risultati o, anche, si occupa di mostrare come essi confutano le posizioni di alcuni dei suoi avversari; allo stesso scopo sono presenti prefazioni o appendici alle singole parti.<ref name=scribano_8/>
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=== ''Deus sive Natura'' e il determinismo ===
{{Vedi anche|Deus sive Natura}}
[[File:Frans_Hals_-_Portret_van_René_Descartes.jpg|thumb|upright|Cartesio (qui ritratto nel 1649) fu il pensatore da cui Spinoza fu influenzato in modo più diretto.<ref name=scribano_143/>]]
Il fatto che Dio sia infinito e che sia l'unica sostanza esistente implica che nulla esiste al di fuori di Dio: «tutto ciò che è, è in Dio e niente può essere né essere concepito senza Dio» (E I, p15)<ref name=giancotti/> e «le cose particolari non sono altro che affezioni degli attributi di Dio, ossia modi con i quali gli attributi di Dio si esprimono in un modo certo e determinato» (E I, p25c).<ref name=giancotti/> Dio viene così identificato con la stessa natura, secondo il famoso motto ''[[Deus sive Natura]]'' (estrapolato da E IV, p4d):<ref>{{cita|Scribano|p. 27.}}</ref> egli «è causa [[Immanenza|immanente]], e non [[Trascendente|transitiva]], di tutte le cose» (E I, p18).<ref name=giancotti/> Da un lato, Spinoza afferma che, benché l'essenza di Dio sia espressa da infiniti attributi, l'intelletto umano riesce a cogliere solo i due che già [[Cartesio]] aveva riconosciuto come gli unici di cui noi esseri umani partecipiamo, cioè pensiero ed estensione; i quali sono concepiti indipendentemente l'uno dall'altro ma, al contrario di quanto avveniva in Cartesio, non corrispondono a due distinte sostanze, essendo di fatto due diversi punti di vista sotto cui viene colta la stessa sostanza: il che è comprovato dall'unità dell'ordine causale che si esprime nell'estensione (cioè nei corpi) e nel pensiero (cioè nelle idee).<ref>{{cita|Scribano|pp. 20-26.}}</ref> Dall'altro lato, l'autore assume una posizione radicalmente estranea alla tradizione filosofica giudaico-cristiana da cui prende le mosse, cioè sostiene che a Dio compete quella estensione che già da [[Aristotele]] era stata considerata inscindibile dalla corporeità; aggiungendo, contro le obiezioni di chi sosteneva l'incompatibilità dell'infinità di Dio con una sua presunta estensione – incompatibilità che sarebbe dovuta alla divisibilità dell'estensione e all'indivisibilità dell'infinito – che non l'estensione in quanto attributo, e cioè in quanto infinita, è divisibile, ma i corpi singoli, che non sono che le modificazioni finite dell'estensione.<ref>{{cita|Scribano|pp. 27-31.}}</ref>
 
Un'altra tesi spinoziana che, all'epoca, risultò scandalosa, è quella per cui Dio non è in grado di derogare alla rigidissima necessità causale che regola tutti gli eventi naturali: Dio è detto causa libera dell'universo perché (E I, d7) si è definita la libertà come il fatto di non essere determinati da cause esterne ma solo dalla necessità della propria natura, e Dio (e solo Dio) in quanto causa di sé è determinato per la sua essenza e la sua esistenza solo da se stesso; ma «in natura non si dà nulla di contingente» (E I, p29),<ref name=giancotti/> e Dio, che obbedisce alla necessità della sua natura (sancita dall'assioma 3), non fa eccezione:<ref>{{cita|Scribano|pp. 31-32.}}</ref> «Dio non agisce mediante la libertà della volontà» (E I, p32c2).<ref name=giancotti/> «Le cose non avrebbero potuto essere prodotte da Dio in altro modo, né con altro ordine da quello in cui sono state prodotte» (E I, p33).<ref name=giancotti/> Se Dio, affinché sia preservata la sua libertà di creare cose nuove, dovesse non aver creato tutto quello che era in suo potere, avrebbe la sua potenza limitata per garantire la libertà del suo arbitrio; ma un Dio che non ha la potenza di creare tutto ciò che discende dalla sua necessaria natura è, per Spinoza, profondamente contraddittorio.<ref>{{cita|Scribano|p. 33.}}</ref> Le cose discendono dalla potenza di Dio, che coincide con la sua essenza (E I, p34), con tale inderogabile necessità che, se egli facesse le cose diversamente, avrebbe una diversa essenza e sarebbe un diverso Dio, il che è assurdo per la dimostrata unicità di Dio (E I, p33).<ref>{{cita|Scribano|p. 35.}}</ref>
 
=== I modi, infiniti e finiti, della sostanza ===
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I «modi immediati infiniti» sono «tutte le cose che seguono dall'assoluta natura di un certo attributo di Dio» (E I, p21)<ref name=giancotti/> e sono per esempio, rispetto all'attributo dell'estensione, le leggi del movimento e della quiete, e, rispetto all'attributo del pensiero, la volontà e l'intelletto divini;<ref>{{cita|Scribano|p. 39.}}</ref> va però sottolineato che Spinoza attribuisce a Dio volontà e intelletto in un senso diverso rispetto a quanto faceva la tradizione, colpevole secondo lui di [[Antropomorfismo|antropomorfizzare]] indebitamente Dio:<ref name=scribano_46>{{cita|Scribano|p. 46.}}</ref> intelletto e volontà, come quiete e moto, sono conseguenze dirette e inevitabili dell'essenza di Dio, e non costituiscono essi stessi la sua essenza (che è costituita invece dagli attributi). In particolare, «la volontà e l'intelletto hanno con la natura di Dio lo stesso rapporto che il movimento e la quiete e assolutamente tutte le cose naturali, che devono essere determinate in un certo modo da Dio ad esistere e ad agire» (E I, p32c2).<ref name=giancotti/> Le cose che conseguono dalla volontà e dall'intelletto di Dio ne conseguono con la stessa necessità delle altre realtà naturali, e dunque non si può dire in nessun senso che la volontà di Dio è libera. Come ha scritto la commentatrice Emanuela Scribano, «ciò che Dio intende e vuole è costituito dall'insieme delle conseguenze necessarie della sua essenza».<ref name=scribano_40>{{cita|Scribano|p. 40.}}</ref>
 
[[File:Spinoza.jpg|thumb|upright|Baruch Spinoza ritratto intorno al 1665, all'età di circa trentatré anni. Nel 1665 egli fece circolare tra alcuni amici un primo abbozzo di quella che, negli anni seguenti, sarebbe divenuta l<nowiki>'</nowiki>''Etica'' compiuta.<ref>{{cita|Scribano|pp. 4-5.}}</ref>]]
 
Un «modo mediato infinito» è «qualunque cosa segue da un certo attributo di Dio in quanto è modificato da una modificazione tale che esiste necessariamente e quale infinita in virtù dello stesso attributo» (E I, p22).<ref name=giancotti/> In quanto modificazione dell'attributo divino dell'estensione da parte delle leggi del movimento e della quiete, che sono un modo immediato infinito, l'universo nel suo complesso è un esempio di modo mediato infinito.<ref>{{cita|Scribano|p. 41.}}</ref> I singoli corpi, in quanto modificazioni finite dell'attributo dell'estensione, sono esempi di modi finiti.<ref name=vigorelli_153/>
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Nell'appendice alla prima parte dell<nowiki>'</nowiki>''Etica'', Spinoza si propone di mostrare come tutti gli errori della teologia tradizionale – a cominciare dalla credenza superstiziosa in un Dio in gran parte antropomorfo, a cui vengono attribuite passioni umane e per ingraziarsi il quale si cade in un meschino commercio di adorazione per salvezza – derivano da un unico fondamentale pregiudizio, cioè che la natura sia ordinata secondo un [[Finalità|fine]].<ref name=scribano_46/>
 
Spinoza vuole in primo luogo spiegare la ragione per cui gli uomini condividono questo pregiudizio: «tutti gli uomini nascono ignari delle cause delle cose», il che li porta a illudersi di essere liberi semplicemente perché non conoscono le cause che li determinano ad agire; ma «tutti appetiscono la ricerca del proprio utile, cosa della quale sono consapevoli», e poiché tutti «sia in se stessi sia al di fuori di sé trovano non pochi mezzi che li conducono non poco al perseguimento del proprio utile [...] è accaduto che considerano tutte le cose naturali come mezzi per raggiungere il proprio utile; e poiché sanno di non averli essi stessi predisposti, hanno avuto motivo di credere che sia stato un altro a predisporre quei mezzi per il loro uso. [...] Hanno dovuto concludere che esistono uno o alcuni rettori della natura, forniti di libertà umana, che hanno curato ogni cosa per il loro uso. E poiché non avevano mai avuto alcuna notizia circa l'indole di questi rettori, sono stati portati a giudicare in analogia alla propria, e così hanno stabilito che gli Dei dirigono tutto in vista dell'uso che gli uomini possono farne, per legare a sé gli uomini ed essere tenuti da essi in sommo onore» (E I, appendice).<ref name=giancotti/> Il [[finalismo]] insomma non è che la conseguenza di un'ignoranza delle cause e dell'immaginazione che l'uomo fa lavorare (al posto della ragione) per cercare di arginare questa sua ignoranza.
 
Dalla credenza nell'esistenza di fini deriva, secondo Spinoza, l'idea che nel mondo esistano valori che rendono le cose (in sé) buone o cattive: mentre in realtà, semplicemente, ciò che giova all'uomo è detto buono o bello, ciò che gli nuoce cattivo o brutto. Il fatto poi che gli uomini, pur simili per molti aspetti, siano tutti diversi, e che dunque agli uni e agli altri paiano buone o cattive cose diverse, genera le aspre controversie che portano allo [[Scetticismo filosofico|scetticismo]]. Secondo Spinoza invece nella natura, dominata com'è da una necessità assoluta, non si danno cose buone in sé o cattive in sé: il [[problema del male]], cioè quello di giustificare l'esistenza del male in un universo dominato da un Dio buono e provvidente, si risolve prima di porsi se si abbandona il finalismo che, di quel problema, era l'origine.<ref>{{cita|Scribano|pp. 47-49.}}</ref>
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=== La finitezza dell'uomo e il parallelismo di mente e corpo ===
[[File:Leibniz Hannover.jpg|thumb|upright|Gottfried Wilhelm von Leibniz entrò in contatto diretto con Spinoza e intrattenne con lui un fecondo rapporto epistolare, grazie al quale i due discussero argomenti scientifici e filosofici.<ref>{{cita|Nadler|pp. 172, 329.}}</ref>]]
«Dico che appartiene all'essenza di ciascuna cosa [...] ciò senza cui la cosa e, viceversa, ciò che senza la cosa non può né essere, né essere concepito» (E II, d2).<ref name=giancotti/> Con questa definizione, Spinoza vuole ribadire la distanza tra le cose finite e Dio, escludendo che qualcuno possa pensare che, poiché tutte le cose singole (non potendo essere concepite per sé) devono essere concepite per mezzo di Dio, Dio debba far parte dell'essenza delle cose singole. Affinché qualcosa faccia parte dell'essenza di qualcosa d'altro, infatti, bisogna che il rapporto di dipendenza sia bidirezionale: ma poiché Dio può essere ed essere concepito anche senza le cose finite, non è contenuto nella loro essenza.<ref name=scribano_50-51>{{cita|Scribano|pp. 50-51.}}</ref> Tanto le cose dipendono da Dio, quanto Dio dipende solo da se stesso. Sia Dio chesia le cose singole sono necessari, ma la necessità attiva ed eterna della sostanza assolutamente infinita (la cui essenza implica l'esistenza) non deve essere confusa con quella passiva e diveniente degli enti finiti (le cui essenze non implicano l'esistenza).<ref name=scribano_50-51/> Detto ciò, l'uomo è una cosa singola, un ente finito, e come tale la sua essenza non implica l'esistenza (E II, a1).
 
Ma «l'uomo pensa» (E II, a2),<ref name=giancotti/> e inoltre «sente che un certo corpo è affetto in molti modi» (E II, a3).<ref name=giancotti/> Spinoza introduce ora i rapporti tra le sfere della corporeità e del pensiero nell'uomo, ma partendo di nuovo da Dio: innanzitutto, «in Dio si dà necessariamente tanto l'idea della sua essenza quanto di tutte le cose che seguono necessariamente dalla sua essenza» (E II, p3);<ref name=giancotti/> però le cose non sono causate dalle idee delle cose presenti in Dio (come avveniva secondo gran parte della tradizione scolastica) né le idee delle cose sono causate dalle cose (poiché, come si è visto nella parte prima, tra enti di natura diversa come sono diversi pensiero ed estensione non si dà causalità). Dunque tra idee e cose vige un rapporto di corrispondenza senza causalità, o, come dirà [[Gottfried Wilhelm von Leibniz|Leibniz]],<ref>{{cita|Scribano|p. 58.}}</ref> di «parallelismo». Le idee e le cose, le concatenazioni di implicazioni e causazioni, si corrispondono perfettamente perché esprimono da punti di vista diversi la stessa unità sostanziale:<ref>{{cita|Scribano|pp. 51-53.}}</ref> «una e identica sostanza [...] è compresa ora sotto questo ora sotto quell'attributo» (E II, p7s).<ref name=giancotti/>
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=== Conoscenza inadeguata ===
Spinoza ritiene che, poiché «l'oggetto dell'idea che costituisce la mente umana è il corpo [...] e niente altro» (E II, p13),<ref name=giancotti/> «la mente non conosce se stessa se non in quanto percepisce le idee delle affezioni del corpo» (E II, p23).<ref name=giancotti/> Dunque, visto che il principio di ogni conoscenza è nelle affezioni del corpo, l'autore inserisce tra la proposizione tredicesima e la quattordicesima una serie di [[Lemma (matematica)|lemmi]] dedicati a delineare una sintetica teoria [[fisica]] e [[Fisiologia|fisiologica]], su base [[Meccanicismo|meccanicista]], il cui scopo è quello di rendere conto del funzionamento della mente umana.<ref>{{cita|Scribano|pp. 61-63.}}</ref>
 
Ne risulta, tra le altre cose, che «l'idea di un qualunque modo in cui il corpo umano è affetto dai corpi esterni deve implicare la natura del corpo umano e, simultaneamente, la natura del corpo esterno» (E II, p16)<ref name=giancotti/> e che quindi gli oggetti esterni ci sono noti attraverso l'inevitabile mediazione (ed, eventualmente, deformazione) del nostro stesso corpo, ovvero «le idee che abbiamo dei corpi esterni indicano più la costituzione del nostro corpo che la natura dei corpi esterni» (E II, p16c2).<ref name=giancotti/><ref>{{cita|Scribano|p. 63.}}</ref>
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{{q|La mente umana ogni qual volta percepisce le cose secondo il comune ordine della natura non ha una conoscenza adeguata, bensì soltanto confusa e mutilata, di se stessa, del proprio corpo e dei corpi esterni. La mente, infatti, non conosce se stessa se non in quanto percepisce le idee delle affezioni del corpo. E non percepisce il proprio corpo se non per mezzo delle stesse idee delle affezioni mediante le quali soltanto percepisce anche i corpi esterni. (E II, p29c)<ref name=giancotti/> }}
 
Da cui la teoria spinoziana dell'errore: la conoscenza inadeguata è tale perché è manchevole, perché cioè non ha le idee che le servirebbero per completare la ricostruzione delle catene causali. Non esiste alcunché di positivo nell'errore: un'idea falsa è semplicemente un'idea parziale, che può diventare vera quando ada essa se ne aggiungano altre che la completano.<ref>{{cita|Scribano|pp. 73-74.}}</ref> L'autore riporta un esempio: il [[Sole]] ci appare piccolo e poco distante, e noi crediamo che lo sia davvero finché non ci viene dimostrato, sulla base di considerazioni razionali, che è molto più grande e molto più distante di quanto sembra; l'idea di un Sole che appare piccolo e vicino allora rimane, ma è completata da altre idee (cioè dalla consapevolezza dei motivi per cui l'apparenza è ingannevole e dall'idea della vera distanza e grandezza del Sole) e forma quindi, insieme a esse, un'idea vera (E II, p40s2).<ref name=giancotti/>
 
Un'idea falsa può essere ritenuta vera finché non è soppiantata da un'idea vera (che, come si diceva, «è norma di se stessa e del falso»), ma non è mai accompagnata dalla certezza che caratterizza le idee chiare e distinte, cioè adeguate, cioè effettivamente vere:<ref>{{cita|Scribano|pp. 75-76.}}</ref> «L'idea falsa, in quanto è falsa, non implica certezza. Quando, dunque, abbiamo detto che l'uomo resta tranquillo nel falso e non dubita di esso, non abbiamo per questo detto che egli è certo, ma soltanto che non dubita o che si acquieta nel falso, perché non si danno cause che facciano sì che la sua immaginazione fluttui» (E II, p49s).<ref name=giancotti/>
 
=== Conoscenza adeguata ===
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Inoltre, poiché continua a valere il principio della corrispondenza (pur senza reciproca causalità) tra modificazioni corporee e modificazioni del pensiero, cioè tra eventi fisici e idee, accade che a un aumento della potenza del nostro corpo (a una modificazione corporea, insomma) corrisponda un affetto (che, si ricordi, è un'idea) di gioia e che simmetricamente a una sua diminuzione corrisponda un affetto di tristezza. Ancora, chiameremo buono ciò che ci provoca gioia e che, quindi, appetiamo, e chiameremo cattivo ciò che ci provoca tristezza e che quindi fuggiamo. Gioia e tristezza costituiscono gli affetti principali tra i quali l'uomo si muove.<ref name=scribano_95/>
 
[[File:Spinoza Ethica Pars1 Prop1.jpg|thumb|Due pagine della prima parte del testo originale dell<nowiki>'</nowiki>''Ethica''.]]
 
La consapevolezza, accanto alla gioia o alla tristezza, degli oggetti che ne sono la causa genera due nuovi affetti, rispettivamente l'amore (che quindi proviamo nei confronti di ciò che ci provoca gioia) e l'odio (che proviamo verso ciò che ci rattrista).<ref>{{cita|Scribano|p. 96.}}</ref>
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Nelle ultime due proposizioni della terza parte l'autore, che finora si è occupato di un'analisi dei soli affetti passivi, si concentra sugli affetti attivi.
 
Spinoza riprende l'affermazione, enunciata nella seconda parte, che la conoscenza adeguata rende possibile la nostra attività, e aggiunge ora che la conoscenza adeguata comporta un affetto di gioia; la conoscenza adeguata infatti, dal momento che non dipende da altro oltre che dalla mente che la concepisce (la quale ha un'idea adeguata quando ha un'idea identica alla corrispondente idea che è in Dio), implica da parte della mente la contemplazione di se stessa; questa contemplazione di sé a sua volta è resa possibile dal venir meno dei condizionamenti delle forze esterne, il che segnala un aumento della potenza della mente. La conoscenza adeguata e la nostra attività, in altre parole, vanno di pari passo con l'aumento della nostra potenza di agire e sono quindi accompagnate da gioia. Al contrario, la tristezza è dovuta a una diminuzione della nostra potenza, e si caratterizza quindi per un prevalere delle cause esterne rispetto alle quali siamo passivi.<ref>{{cita|Scribano|p. 109.}}</ref>
 
D'altro canto, se tutti gli affetti attivi provocano gioia, non tutta la gioia è provocata da affetti attivi: sono possibili anche gioie causate da aumenti parziali, disarmonici e temporanei della nostra potenza di agire, i quali a lungo andare determinano uno squilibrio e provocano una diminuzione della nostra potenza globale, che porta con sé tristezza. «La mente sia in quanto ha idee chiare e distinte, sia in quanto ha idee confuse, si sforza di perseverare nel suo essere» (E III, p58d);<ref name=giancotti/> tuttavia solo in quanto ha idee adeguate riesce a essere attiva e ad aumentare quindi sistematicamente la sua potenza, mentre in quanto ha idee inadeguate potrà sì aumentare fortuitamente, parzialmente e a breve termine la sua potenza, ma finirà per essere soverchiata dalle cause esterne.<ref>{{cita|Scribano|pp. 109-110.}}</ref>
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Gli uomini razionali dunque traggono il massimo vantaggio dalla loro unione. Tuttavia anche gli uomini dominati dall'immaginazione constatano, a qualche punto della loro evoluzione, che «con il reciproco aiuto possono molto più facilmente procurarsi le cose di cui hanno bisogno e che solo unendo le forze possono evitare i pericoli che incombono da tutte le parti» (E IV, p35s).<ref name=giancotti/> Spinoza fa sua l'idea che l'uomo sia un animale sociale. Tuttavia la convivenza degli uomini dominati dall'immaginazione è resa complicata dalle loro idiosincrasie: «Ognuno esiste per sommo diritto di natura, e conseguentemente per sommo diritto di natura ognuno fa quelle cose che seguono dalla necessità della sua natura; [...] se gli uomini vivessero secondo la guida della ragione, ognuno godrebbe di questo suo diritto senza alcun danno per l'altro. Ma, poiché sono soggetti agli affetti, che superano di gran lunga la potenza, ossia la virtù umana, per cui sono spesso trascinati in diverse direzioni, e sono l'uno all'altro contrarii, allora hanno bisogno di mutuo aiuto. Per vivere dunque nella concordia e potere essere a vicenda di aiuto, è necessario che gli uomini rinuncino al proprio diritto naturale e assicurino l'uno all'altro che non faranno nulla che possa mutarsi in danno per l'altro» (E IV, p37s2).<ref name=giancotti/> È questo il fondamento dello [[Stato]], un organismo in seno al quale vengono stabiliti convenzionalmente dei criteri di condotta che preservano l'utilità di tutti, e che vengono fatti rispettare grazie alla paura delle pene stabilite per la violazione delle leggi (che a loro volta possono essere applicate grazie alla potenza dello Stato stesso, che supera di molto quella di ogni singolo individuo). Tali punizioni non implicano il riconoscimento negli individui di una libertà di agire che, per il determinismo di Spinoza, è e rimane inconcepibile: esse semplicemente servono allo Stato per difendersi da chi mette in pericolo i suoi membri, e dunque le nozioni di merito e colpa, prive di alcun fondamento naturale, sono determinate solo dall'aderenza o dalla contrarietà di certe azioni alle leggi, senza che in ciò sia implicita l'idea che il colpevole o il meritevole avrebbero potuto agire diversamente da come hanno agito. Comunque, lo Stato è anche il luogo privilegiato dove la convivenza degli uomini può portare a una loro crescita collettiva verso la razionalità (è d'altronde proprio questo ruolo educativo che Spinoza si attribuiva scrivendo l<nowiki>'</nowiki>''Etica'').<ref>{{cita|Scribano|pp. 138-142.}}</ref>
 
C'è una notevole distanza, in Spinoza, tra legalità e moralità. Le leggi che prescrivono la condotta degli uomini nello Stato sono artificiali, e separano l'azione meritevole o colpevole dal suo premio o punizione. Le leggi della moralità sono invece intrinseche alla stessa natura umana, con il suo ''conatus'' all'autoconservazione che si esplica al meglio con l'attività della ragione. Quindi, al contrario delle azioni legali, che vengono compiute in vista di altro da loro stesse, le azioni morali sono premio a se stesse.<ref>{{cita|Scribano|p. 132.}}</ref>
 
=== L'uomo libero e Dio ===
Se un uomo potesse non avere che idee adeguate, allora tutta la sua condotta sarebbe interamente comprensibile in virtù della sua sola essenza; egli sarebbe completamente attivo e determinato solo da se stesso, e sarebbe dunque libero secondo la definizione di libertà data nella prima parte. Con ciò, egli si renderebbe uguale a Dio. Questo però, come abbiamo già visto, è una sorta di ideale regolativo praticamente irraggiungibile, dal momento che la finitezza dell'uomo implica che in lui permangano sempre un certo numero di nozioni inadeguate.<ref>{{cita|Scribano|pp. 133-134.}}</ref>
 
Comunque, il fatto che l'uomo razionale possieda alcune idee adeguate (e che si collochi così tra gli estremi opposti dell'uomo completamente dominato dalle idee inadeguate e Dio che ha solo idee adeguate) basta già a rasserenarlo nella consapevolezza delle difficoltà dell'universo morale in cui si muove e dell'irraggiungibilità della perfezione assoluta.<ref>{{cita|Scribano|p. 135.}}</ref> «Sopporteremo di buon animo gli avvenimenti contrari a ciò che il calcolo della nostra utilità richiede, se siamo consapevoli di aver svolto il nostro compito e che la potenza che abbiamo non ha potuto estendersi fino al punto di poterli evitare e che siamo parte di tutta la natura, il cui ordine seguiamo. Cosa che, se la intendiamo chiaramente e distintamente, quella parte di noi che è definita dall'intelligenza, cioè la parte migliore di noi, troverà interamente soddisfazione in essa, e in questa acquiescenza si sforzerà di perseverare» (E IV, appendice).<ref name=giancotti/> D'altro canto, il fatto stesso che l'uomo possa muoversi nello spazio della moralità dipende da questa sua condizione intermedia: un essere privo di ogni razionalità sarebbe incapace di una morale universale; un essere perfettamente razionale sarebbe incapace di qualsiasi morale, perché non potrebbe conoscere il male (la conoscenza del male dipende infatti dall'esperienza di un decremento della propria potenza di agire, il quale non può prodursi in un essere completamente razionale, cioè completamente attivo) né il bene (la conoscenza del bene dipende infatti dall'esperienza di un incremento della propria potenza di agire, il quale ugualmente non può prodursi un essere già completamente attivo in quanto completamente razionale). Dio quindi, ossia la natura, si conferma ancora una volta essere al di là della considerazione morale, che è legata interamente alle valutazioni razionali degli uomini nella loro finitezza.<ref>{{cita|Scribano|pp. 136-138.}}</ref>
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Il fatto che la memoria faccia capo alla parte della mente che è destinata a morire significa, in primo luogo, che non dobbiamo aspettarci di trovare nella memoria la testimonianza dell'eternità di una parte della nostra mente e, in secondo luogo, che la parte eterna della mente non può ricordare le vicende che essa ha vissuto nel tempo: l'«idea che esprime l'essenza del corpo sotto una specie di eternità è un certo modo del pensare, che appartiene all'essenza della mente e che è necessariamente eterno. Né, tuttavia, può accadere che ci ricordiamo di essere esistiti prima del corpo, poiché non è possibile che nel corpo se ne dia alcun vestigio, né l'eternità può essere definita dal tempo, né può avere alcuna relazione al tempo» (E V, p23s).<ref name=giancotti/> Tuttavia la parte eterna della mente non è solo l'idea che in Dio rappresenta la mente umana: in questo senso infatti tutte le idee delle essenze delle cose individuali che si trovano in Dio sono eterne e ciò che permane al di là del tempo è lo stesso intelletto infinito di Dio; alla mente umana che esiste ''sub specie aeternitatis'', invece, continua a corrispondere l'unità di coscienza che corrispondeva già, nel tempo, a un ben preciso [[Io (filosofia)|io]] individuale. Spinoza sostiene insomma l'eternità delle coscienze personali, e non solo di un intelletto universale.<ref name=scribano_152-156>{{cita|Scribano|pp. 152-156.}}</ref>
 
Ciò che egli afferma è che la mente umana, nella durata, fa esperienza dell'eternità di se stessa, o almeno di una sua parte, nell'esatta misura in cui ha conoscenze adeguate (conoscenze cioè, come si era detto fin dalla seconda parte, che non dipendono dal tempo e che sono accessibili alla mente proprio in quanto una sua parte si colloca al di là del tempo). «Sentiamo e sperimentiamo di essere eterni. Infatti la mente non sente meno le cose che concepisce con l'intelletto, che quelle che ha nella memoria. Infatti, gli occhi della mente con i quali vede le cose e le osserva, sono le stesse dimostrazioni» (E V, p23s).<ref name=giancotti/> La conoscenza adeguata, insomma, ci rende manifesta la nostra appartenenza anche a un ordine intemporale, cioè eterno; e la parte di noi che, nel tempo, è divenuta cosciente di questa sua intemporalità proprio per il fatto di aver avuto accesso a conoscenze eterne, la parte di noi cioè che si è esercitata nella dimensione eterna, permarrà in tale dimensione che le è propria.<ref name=scribano_152-156/>
 
La conoscenza adeguata a cui la mente accede in quanto si esercita al di là del tempo appartiene al secondo e al terzo genere, secondo la classificazione dei tipi di conoscenza proposta nella seconda parte. Il terzo genere, in particolare, «procede dall'idea adeguata dell'essenza formale di certi attributi di Dio alla conoscenza adeguata dell'essenza delle cose» (E II, p40s2);<ref name=giancotti/> ci mette a disposizione insomma idee adeguate di cose individuali e lo fa inoltre in modo intuitivo, laddove la conoscenza di secondo genere ci metteva a disposizione idee generali con un andamento discorsivo. Un esempio di conoscenza di terzo genere è la conoscenza che la mente ha di se stessa a partire dalla conoscenza che ha di Dio: «Poiché l'essenza della nostra mente consiste nella sola conoscenza, di cui Dio è principio e fondamento, diventa per noi perspicuo in qual modo e per quale ragione la nostra mente, secondo l'essenza e l'esistenza, segua dalla natura divina e continuamente dipenda da Dio» (E V, p36s).<ref name=giancotti/><ref>{{cita|Scribano|pp. 153-154.}}</ref>
 
Ora, questo terzo genere di conoscenza è superiore al secondo, che pure è comunque fonte di idee adeguate, per il fatto di riguardare le cose individuali e di essere di tipo intuitivo; alla luce del fatto, già visto, che la conoscenza determina la somma potenza di agire dell'uomo e anche la sua somma gioia, cioè la sua somma virtù, risulta quindi che «il supremo sforzo della mente e la sua somma virtù consistono nel conoscere le cose secondo il terzo genere di conoscenza» (E V, p25).<ref name=giancotti/>
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Come si è già visto, la conoscenza di terzo genere dipende dalla mente in quanto è eterna, e l'eternità della mente dipende dalla sua appartenenza alla dimensione intemporale di Dio. Perciò «qualunque cosa conosciamo con il terzo genere di conoscenza, ne traiamo diletto in concomitanza con l'idea di Dio come causa» (E V, p32).<ref name=giancotti/> Ma la gioia accompagnata dall'idea della sua causa, per definizione, non è altro che l'amore, e quindi «dal terzo genere di conoscenza nasce necessariamente l'amore intellettuale di Dio» (E V, p32s)<ref name=giancotti/> (dove «intellettuale» significa semplicemente che è un amore riferito alla parte eterna della mente, cioè appunto all'intelletto).<ref>{{cita|Scribano|p. 158.}}</ref>
 
Dio poi, in quanto comprende nel suo intelletto la totalità infinita delle idee, ha una perfetta conoscenza di sé; inoltre, benché (essendo la sua potenza infinita) non gli si possa attribuire la gioia (che per definizione deriva da un aumento di potenza), egli gode di un'assoluta perfezione che determina la sua beatitudine. Pertanto egli è beato con la consapevolezza della causa della sua beatitudine, che è lui stesso, e di conseguenza «Dio ama se stesso con infinito amore intellettuale» (E V, p35).<ref name=giancotti/> Ma, in quanto l'amore intellettuale delle menti umane per Dio dipende dal fatto che esse sono parte dell'eterno e infinito intelletto di Dio, «l'amore intellettuale della mente verso Dio è parte dell'amore infinito con il quale Dio ama se stesso» (E V, p36).<ref name=giancotti/> «Ne segue che Dio, in quanto ama sé stesso, ama gli uomini e conseguentemente l'amore di Dio verso gli uomini, e l'amore intellettuale della mente verso Dio è uno e lo stesso» (E V, p36c).<ref name=giancotti/><ref>{{cita|Scribano|pp. 158-159.}}</ref>
 
«Dalle cose dette comprendiamo chiaramente, in che cosa consiste la nostra salvezza, ossia beatitudine, ossia libertà, e cioè nel costante e eterno amore verso Dio, ossia nell'amore di Dio verso gli uomini» (E V, p36s).<ref name=giancotti/> In quanto la mente conosce Dio nella sua dimensione eterna, in tanto essa è parte di Dio stesso: essa cioè, pur senza perdere la sua finitezza, ha idee che sono le stesse idee che ha Dio; ha solo idee adeguate, benché non ne abbia un'infinità; e quindi è libera come è libero Dio, pur essendo molto meno potente.<ref>{{cita|Scribano|pp. 159-160.}}</ref>
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== Fortuna dell'opera ==
[[File:Spinoza's seal "Caute".svg|thumb|upright|Il sigillo personale che Spinoza apponeva in calce alle sue lettere, con il motto ''Caute'' («cautamente», «con prudenza» in latino)|link=File:Spinoza's_seal_%22Caute%22.svg]]
 
Spinoza venne considerato come un pensatore [[Eterodossia|eterodosso]], o addirittura eversivo, già dall'epoca della pubblicazione del ''Trattato teologico-politico'', se non prima.<ref name=scribano_5/> Le prime reazioni suscitate dall<nowiki>'</nowiki>''Etica'' negli anni immediatamente successivi alla sua pubblicazione non invertirono la tendenza: esse anzi andavano perlopiù nella direzione di accusare Spinoza di essere un [[ateo]]. Soprattutto il contenuto della prima parte, con la negazione di alcune proprietà fondamentali del Dio delle concezioni tradizionali (come la provvidenza, la bontà, la libertà della volontà), era alla base di queste accuse. Addirittura, l'importanza dell'influenza di [[Cartesio]] su Spinoza e la ripresa da parte di [[Nicolas Malebranche|Malebranche]] di alcune categorie spinoziane fecero sì che questi due filosofi, insieme ad altri, fossero associati a Spinoza stesso nell'accusa di ateismo. [[Gottfried Wilhelm von Leibniz|Leibniz]] studiò approfonditamente Spinoza, dal quale tentò di distaccarsi pur adottando alcuni punti di vista simili ai suoi, per esempio a proposito del determinismo.<ref>{{cita|Scribano|p. 164-166.}}</ref>
 
Negli ultimi decenni del [[XVII secolo]] l<nowiki>'</nowiki>''Etica'' fu oggetto di numerosi testi mossi dall'esplicita volontà di confutare le tesi di Spinoza, gli autori dei quali tuttavia, in alcuni casi, finivano per abbracciare alcuni punti della metafisica spinoziana, non ultimo il necessitarismo. L'opera ebbe poi una certa fortuna negli ambienti eterodossi legati al [[libertinismo]], critici nei confronti delle concezioni provvidenzialiste di Dio e scettici rispetto all'esistenza di valori morali assoluti. Una lettura aspramente critica dell<nowiki>'</nowiki>''Etica'' fu quella esposta da [[Pierre Bayle]] nella voce dedicata a Spinoza del suo ''Dizionario storico-critico'' (''Dictionnaire historique et critique''), pubblicato nel [[1697]]; questa, dove si sosteneva tra le altre cose che Spinoza aveva impiegato arbitrariamente la parola «Dio» per riferirsi a un ente che aveva privato di tutte le caratteristiche di un Dio legittimamente inteso, ebbe una grande fortuna, e determinò ad esempio la qualifica di ateo attribuita senza esitazione a Spinoza da [[Voltaire]] nel ''[[Dictionnaire philosophique|Dizionario filosofico]]'' (''Dictionnaire philosophique'').<ref>{{cita|Scribano|p. 166-168.}}</ref>
[[File:Baruch de Spinoza cover portrait.jpg|left|upright|thumb|Copertina di un'opera di Spinoza con il suo ritratto e l'iscrizione in latino: «Benedictus de Spinoza, iudaeus et atheista».]]
Nel [[XVIII secolo]] si ebbero, sia in [[Francia]] chesia in [[Germania]], numerose prese di posizione critiche o apologetiche nei confronti di Spinoza. In [[Italia]] un giudizio [[antispinozismo|antispinozista]] di parte [[Cattolicesimo|cattolica]] fu espresso dall'ecclesiastico letterato [[Giovanni Cristoforo Battelli]] nella sua «censura ecclesiastica» del [[1707]].<ref name=carella>{{cita libro |url=http://w3.uniroma1.it/episteme/file/Dispense20120928_CarellaAetasGalileana.pdf |altri=a cura di Candida Carella |capitolo=L'aetas galileiana in ‘sapienza’ |titolo=Atti del convegno "Galileo e l'acqua: guardare il Cielo per capire la terra", Roma 17-18 dicembre 2009 |città=Perugia |anno=2010 |pp=47-81, in part. pp. 53-54 |accesso=25 novembre 2013 |urlmorto=sì |urlarchivio=https://web.archive.org/web/20131202225549/http://w3.uniroma1.it/episteme/file/Dispense20120928_CarellaAetasGalileana.pdf |dataarchivio=2 dicembre 2013 }}</ref> L'arcivescovo Battelli si riferiva a un testo del teologo protestante Christian Kortholt che nel titolo ''De tribus impostoribus magnis liber'' ([[1701]]) riprendeva quello del mitico ''[[De tribus impostoribus]]'' di tradizione medioevale,<ref>{{cita libro|url=http://books.google.it/books?id=u_5bAAAAQAAJ&dq=De+tribus+impostoribus+magni+liber&hl=it&source=gbs_navlinks_s |autore=Christian Kortholt |titolo=De tribus impostoribus magnis liber |editore=J. Reumannus |anno=1680 |accesso=25 novembre 2013}}</ref> ma indicava come empi non più [[Gesù]], [[Mosè]] e [[Maometto]], ma i tre filosofi moderni [[Edward Herbert di Cherbury]], [[Thomas Hobbes]] e Spinoza.
{{Citazione|Benedetto Spinoza [...] pubblicò molti perniciosissimi libelli nei quali si manifesta più dannoso e più empio di Herbert e di Hobbes. Fa infatti apertamente professione di ateismo e lo insegna. Nega apertamente e irride l'esistenza di Dio e la provvidenza. Nega l'esistenza degli angeli, del diavolo, del paradiso e dell'inferno [...] ritiene che tutto finisca con la stessa vita e che dopo di essa vi sia il nulla. Con pari empietà nega la resurrezione e ascensione al cielo di Cristo. Dice che i profeti [...] scrissero una serie di assurdità [...] e che nelle Sacre Scritture, giunte a noi non integralmente, vi siano molte cose false, fantasiose e contraddittorie [...]; afferma che lo spirito di Cristo sia presente anche presso i Turchi [...] sostiene che al solo potere civile spetti stabilire ciò che è giusto, ingiusto, pio o empio [...]|ACDF, Index, Protocolli, V3, cc. 507 r.-512 v.: 507 r. - v.<ref name=carella/>}}
Battelli concordava dunque con Kortholt nel ritenere il più empio (''deterior et magis impius'') dei tre proprio Spinoza che assieme a [[Lucrezio]], a Hobbes e ai libertini continuerà ad avere fama di assertore di tesi atee nel ''Traité de trois imposteurs'' (altresì noto come ''La Vie et l'esprit de M. Benoit de Spinoza'') di Jean Lucas, pubblicato nel [[1719]].
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L'[[Illuminismo]] francese, pur lontano da un interesse per la metafisica come Spinoza l'aveva intesa, si riconobbe (con pensatori come [[Julien Offray de La Mettrie|La Mettrie]], [[Paul Henri Thiry d'Holbach|d'Holbach]] e [[Denis Diderot|Diderot]]) nelle sue teorie razionaliste e deterministe, attribuendogli anche posizioni materialiste.<ref>{{cita libro|autore=Marco Ravera |titolo=Invito al pensiero di Spinoza |editore=Mursia |città=Milano |anno=1987 |pp=201-202 }}</ref> In Germania, in seguito alla ripresa di un testo anti-spinoziano di [[Christian Wolff|Wolff]] da parte di [[Moses Mendelssohn|Mendelssohn]], che era incline a una certa apertura nei confronti delle tesi dell<nowiki>'</nowiki>''Etica'', si aprì una controversia tra quest'ultimo e [[Friedrich Heinrich Jacobi|Jacobi]] sullo spinozismo di [[Gotthold Ephraim Lessing|Lessing]]; questa determinò una riapertura della discussione sullo spinozismo, sullo sfondo dell'Illuminismo e di un incipiente [[Romanticismo]], la quale a sua volta finì per interessare anche [[Johann Gottfried Herder|Herder]] e, in modo meno diretto, [[Johann Wolfgang von Goethe|Goethe]] e [[Immanuel Kant|Kant]].<ref>{{cita|Scribano|pp. 169-172.}}</ref>
 
Sia [[Johann Gottlieb Fichte|Fichte]] chesia [[Friedrich Schelling|Schelling]], poco più tardi, ebbero Spinoza tra i loro punti di riferimento, pur modificando in modo sostanziale alcuni contenuti della sua metafisica nell'adattarli alle proprie idee. Spinoza fu una figura importante anche per [[Georg Wilhelm Friedrich Hegel|Hegel]]; questi si schierò in sua difesa contro le accuse di ateismo che gli erano state rivolte, affermando che egli, lungi dal negare Dio, aveva piuttosto sostenuto che esiste ''solo'' Dio, e aveva dunque negato l'effettiva realtà del [[cosmo]]; il suo era dunque, per Hegel, non un ateismo ma un [[acosmismo]], in cui solo Dio (cioè la sostanza con i suoi attributi) ha una realtà affermativa e la natura (cioè l'insieme dei modi, finiti e infiniti) è una determinazione, cioè negazione, di Dio, e non ha quindi un'esistenza autonoma;<ref>{{en}} {{cita libro|titolo=Hegel's Philosophy of Religion |autore=Raymond Keith Williamson |editore=State University of New York Press |città=Albany |anno=1984 |isbn=0-87395-827-6 |pp=237 e segg |url=http://books.google.it/books?id=CvWN_1APPXEC&printsec=frontcover&hl=it#v=onepage&q&f=false |accesso=22 ottobre 2013 }}</ref> Hegel dunque, che pure considerò lo spinozismo il necessario esordio di ogni filosofia, rimproverò a Spinoza il fatto di non aver trovato una [[dialettica]] capace di superare i due momenti dell'affermazione e della negazione e di non aver saputo, quindi, garantire l'autonomia (e dinamicità) del finito rispetto all'infinità (statica) della sostanza divina.<ref>{{cita|Scribano|pp. 172-173.}}</ref><ref>{{cita|Ravera|p. 205.}}</ref> Hegel mise anche in luce un'affinità del pensiero di Spinoza con le [[filosofie orientali]] (affinità già notata da Bayle e Malebranche e poi esplorata da altri autori)<ref>{{en}} {{cita pubblicazione|url=http://muse.jhu.edu/journals/journal_of_the_history_of_philosophy/summary/v023/23.2lai.html |titolo=The Linking of Spinoza to Chinese Thought by Bayle and Malebranche |autore=Yuen Ting Lai |rivista=Journal of the History of Philosophy |data=aprile 1985 |numero=2 |volume=23 |pp=151-178 |accesso=27 ottobre 2013 }}</ref> quanto all'«intuizione dell'identità assoluta», che sta alla base tanto del sistema spinoziano (sotto forma del concetto di unità della sostanza opposto, ad esempio, al dualismo cartesiano) quanto delle concezioni orientali.<ref>{{cita libro|autore=G.W.F. Hegel |titolo=Lezioni sulla storia della filosofia |altri=a cura di E. Codignola, G. Sanna |città=Firenze |anno=1981 |pagine=vol. III, t. II, p. 104}} Citato in {{cita libro|autore=Patrizia Pozzi |titolo=Visione e parola: un'interpretazione del concetto spinoziano di "scientia intuitiva". Tra finito e infinito |editore=FrancoAngeli |città=Milano |anno=2012 |p=133 |isbn=978-88-204-0566-3}}</ref>
 
Il necessitarismo e immanentismo di Spinoza, interpretati come [[materialismo]], portarono [[Ludwig Feuerbach|Feuerbach]] e poi [[Friedrich Engels|Engels]] a vedere in lui un precursore delle proprie tesi. L<nowiki>'</nowiki>''Etica'' fu studiata e apprezzata anche da [[Schopenhauer]], mentre [[Nietzsche]] considerò alcuni dei punti della filosofia di Spinoza (la negazione del libero arbitrio, del finalismo, dell'ordinamento assiologico della natura, del male e di ogni principio non egoistico dell'azione umana) come altrettante acquisizioni di fondamentale importanza.<ref>{{cita|Scribano|pp. 173-174.}}</ref>
 
Al diDidelladalla metafisica e dell'anomala teologia di Spinoza, cioè al di là deldal primo libro dell<nowiki>'</nowiki>''Etica'', la teoria spinoziana della conoscenza fu studiata e apprezzata dagli [[Empirismo|empiristi]] del Settecento, e in particolare da [[John Locke|Locke]] e [[David Hume|Hume]]; quest'ultimo riprese inoltre la teoria di Spinoza sul ruolo delle passioni nel motivare gli uomini ad agire secondo quanto la ragione determina come utile e anche la sua teoria dell'imitazione degli affetti, che spiega l'empatia sulla quale, secondo Hume, riposa il senso morale.<ref>{{cita|Scribano|pp. 174-175.}}</ref> Alcune categorie spinoziane per la spiegazione del rapporto tra eventi fisici ed eventi mentali furono poi riattualizzate, tra la fine del [[XIX secolo|XIX]] e l'inizio del [[XX secolo]], da [[Ernst Mach|Mach]] e, quindi, da [[William James|James]] e [[Bertrand Russell|Russell]].<ref>{{cita|Scribano|p. 176.}}</ref>
 
Tra l'Ottocento e il Novecento, anche per via della riedizione delle opere di Spinoza (e addirittura della riscoperta di una di esse, il ''Breve trattato'', nel [[1851]]), si ebbe una proliferazione degli studi spinoziani in generale e sull<nowiki>'</nowiki>''Etica'' in particolare.<ref>{{cita|Ravera|pp. 205-210.}}</ref> Rilevante, nel XX secolo, fu l'influenza della filosofia di Spinoza su [[Giovanni Gentile]], che curò un'importante edizione italiana dell<nowiki>'</nowiki>''Etica'' pubblicata nel [[1915]],<ref>{{cita libro|autore=Gabriele Turi |titolo=Giovanni Gentile: una biografia |editore=Giunti |città=Firenze |anno=1995 |pagina=137 |isbn=88-09-20755-6 |url=http://books.google.it/books?id=KaHCNhRhCuAC&dq=gentile+spinoza&hl=it&source=gbs_navlinks_s |accesso=31 ottobre 2013}}</ref><ref>{{cita libro|autore=Alessandro Savorelli |capitolo=Gentile e la storia della filosofia moderna |titolo=Giovanni Gentile: la filosofia italiana tra idealismo e anti-idealismo |altri=a cura di Piero Di Giovanni |editore=FrancoAngeli |città=Milano |anno=2003 |pagina=42 |isbn=88-464-5101-5 |url=http://books.google.it/books?id=FsLJdBSWc8cC&dq=gentile+spinoza&hl=it&source=gbs_navlinks_s |accesso=31 ottobre 2013}}</ref> e su [[Piero Martinetti]], che ebbe Spinoza tra i punti di riferimento che lo portarono a sviluppare il suo «spiritualismo metafisico di stampo razionalistico».<ref>{{cita libro|autore=[[Giovanni Fornero]], Salvatore Tassinari |titolo=Le filosofie del Novecento |editore=Bruno Mondadori |città= |anno=2002 |pagine=245-246 |url=http://books.google.it/books?id=ZbkwVoMhNQoC&dq=spinoza+martinetti&hl=it&source=gbs_navlinks_s |accesso=31 ottobre 2013}}</ref> Degno di nota è il commento con cui [[Giorgio Colli]] introdusse l'edizione italiana del [[1959]]: