Emanuele Tesauro: differenze tra le versioni

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Discendente dall'illustre famiglia piemontese dei conti di [[Salmour]], nacque a Torino il 3 gennaio 1592 dal conte Alessandro, letterato [[Fossano|fossanese]], autore dell'elegante [[Poesia didascalica|poema didascalico]] ''La Sereide'' (1585)<ref>{{Cita libro|autore=Andreina Griseri|titolo=Le metamorfosi del Barocco|anno=1967|editore=[[Giulio Einaudi editore]]|p=168}}</ref><ref>Cfr. anche: {{Cita libro|autore=Alessandro Tesauro|titolo=La sereide|anno=1994|editore=Edizione RES|curatore=Domenico Chiodo|isbn=978-88-85323-14-8}}</ref> e da Margherita Mulazzi, nobildonna astigiana. Allievo nel collegio dei gesuiti a Torino (1605-1611) entrò ventenne nella [[Compagnia di Gesù]]. Dopo il biennio di probazione, Tesauro fu ammesso ai voti semplici, e inviato nel [[Palazzo di Brera#Il collegio della Compagnia di Gesù|Collegio di Brera]] a [[Milano]] per proseguire gli studi di retorica e filosofia (1613-1615). Fu ''Magister rhetoricae'' a [[Cremona]] nell'anno scolastico 1618-19 e i due anni successivi (1619-20 e 1620-21) nel Collegio milanese, dove insegnavano «i migliori maestri».<ref name=GZ2002>{{cita libro|autore=Giovanna Zanlonghi|titolo=Teatri di formazione: actio, parola e immagine nella scena gesuitica del Sei-Settecento a Milano|anno=2002|editore=Vita e Pensiero|p=17|isbn=978-88-343-0678-9}}</ref> «Per i suoi allievi scrive, tra il 1619 e il 1621, secondo i moduli tipici del teatro gesuitico, la tragedia cristiana ''Hermenegildus'', in versi latini, rappresentata nel Collegio di Brera il 26 agosto 1621, ampiamente mutata e «trasposta» in italiano molti anni più tardi, e stampata nel 1661 con il titolo ''Ermenegildo'' insieme all’''Edipo'' e all’''Ippolito''.»<ref>{{Cita| Barbara Zandrino (2003)|p. 117}}.</ref> Il 7 giugno 1621 Tesauro predispose il maestoso apparato funebre per le esequie solenni in onore del re [[Filippo III di Spagna]], morto il 31 marzo di quell'anno.<ref name=GZ2002/>
 
Nel giugno del 1635, all'età di a 44 anni, uscì dalla Compagnia di Gesù per dissensi disciplinari, rimanendo [[Clero secolare|sacerdote secolare]] al servizio dei principi di [[Savoia-Carignano]]. L'esperienza religiosa gli fornì una solida cultura umanistico-filosofica e gli consentì inoltre di esprimersi come oratore e come insegnante.<ref>{{cita|Cannavacciuolo (1986)|p. 52}}.</ref> Al periodo gesuitico risalgono i ''Panegirici sacri'' (1633), tra i quali spicca il discorso accademico ''Il giudicio'', breve ma importante trattato sugli stili dell'oratoria sacra, riproposto all'attenzione degli studiosi da Ezio Raimondi nella storica antologia ricciardiana dei ''Trattatisti e narratori del Seicento'' (1960).<ref>{{cita libro|titolo=Storia della civiltà letteraria italiana: Manierismo e barocco|curatore=[[Giorgio Barberi Squarotti]]|editore=[[UTET]]|anno=1991|autore=[[Marziano Guglielminetti]]|p=59}}</ref> Con ''La metafisica del niente''<ref>Emanuele Tesauro, ''La Metafisica del Niente, Discorso sacro'' [...], in ''Panegirici e Ragionamenti'', Torino, appresso Bartolomeo Zavatta, 1659-1660, vol. III, pp. 217-241. Mario Zanardi situa all'altezza del biennio 1633-1634 – in data dunque coeva alla ''querelle'' degli Incogniti – la composizione del ragionamento sacro del Tesauro, che fino al 1635, data della sua uscita dalla Compagnia, tenne a corte l'incarico di "Concionator Serenissimae" (ossia della duchessa [[Cristina di Francia]]).</ref> Tesauro partecipò alla «querelle de nihilo» scatenata dal discorso accademico ''Il niente'' pronunciato da Luigi Manzini presso l'[[Accademia degli Incogniti]] l'8 maggio 1634.<ref>{{cita pubblicazione|titolo=La forza dello zero|autore=[[Harald Weinrich]]|pubblicazione=Lettere Italiane|volume=54|numero=4|anno=2000|pp=513-529|jstor=26266636}}</ref> Dopo aver lasciato la Compagnia Tesauro fu al seguito del principe [[Tommaso Francesco di Savoia]] prima nelle [[Fiandre]] e poi in [[Piemonte]] (1635-42), e ne divenne lo storiografo ufficiale.<ref name="y">{{Cita libro|autore=[[Alberto Asor Rosa]]|titolo=Letteratura italiana. Storia e geografia: Volume secondo. Età moderna|anno=1988|editore=[[Giulio Einaudi editore]]|p=825|ISBN=978-88-06-11380-3}}</ref> Durante il soggiorno nelle Fiandre Tesauro fu apprezzato predicatore a Bruxelles, alla corte del principe Tommaso (i ''Panegirici'' contengono ''L'Aurora, panegirico sacro sopra il giorno natale della beatissima Vergine detto nella cappella regale di Brusselles al regio infante cardinale ed al serenissimo principe Tomaso di Savoia l'anno 1635'').<ref>{{cita| Pierantonio Frare (1998)|p. 16}}.</ref>
 
Nel 1642 rientrò in patria come precettore dei principi di Carignano<ref name="y" /> e del futuro duca [[Vittorio Amedeo II di Savoia]] e coordinò il monumentale progetto del ''[[Theatrum Statuum Sabaudiae]]'' (Amstelodami 1682).<ref>{{DBI|pietro-gioffredo|Pietro Gioffredo|autore=Andrea Merlotti|accesso=16 maggio 2019}}</ref> Guadagnatosi una fama europea, operò alla corte sabauda per oltre tre decenni (da [[Carlo Emanuele I di Savoia|Carlo Emanuele I]] a [[Carlo Emanuele II di Savoia|Carlo Emanuele II]], che lo colmò di onori e lo nominò Cavaliere di Gran Croce dell'[[Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro]]). Tesauro era ormai diventato il letterato più prestigioso della corte; aveva composto e continuava a comporre [[Epigrafe|epigrafi]], elogi, insegne, orazioni, [[Panegirico|panegirici]] per i membri della Casa reale e per le personalità più importanti.<ref>{{cita pubblicazione|autore=Anna Cantaluppi|titolo=Sull'«Istoria della Compagnia di San Paolo» di Emanuele Tesauro|pubblicazione=Studi piemontesi|volume=21|numero=1|anno=1992|p=146}}</ref> Le principali testimonianze di questa attività svolta da Tesauro presso la corte sabauda si trovano raccolte nel libro delle ''Inscriptiones'' (''Inscriptiones quotquot reperiri potuerunt opera et diligentia Emanuelis Philiberti Panealbi'', Taurini, Typis Bartolomaei Zapatae, 1670).<ref>{{cita|Valeria Merola (2006)|p. 404}}.</ref> «Con gli anni Sessanta, al riconoscimento, sia da parte della corte, sia del municipio, del ruolo di regista e concertatore delle grandi celebrazioni pubbliche, fino al matrimonio ducale del 1663 e ai festeggiamenti per la nascita del principe di Piemonte tre anni dopo, vennero ad aggiungersi le sempre più frequenti attestazioni di stima e di ossequio ufficialmente decretate dai decurioni; e la decisione di collocare nel Palazzo municipale un ritratto dell'abate «con qualche inscrittione in memoria de' posteri di sua persona» rappresentò una novità degna di rilievo per una città non avvezza a tributare simili onori a personaggi estranei alla dinastia.»<ref>Claudio Rosso, ''Uomini e poteri nella Torino barocca'', in ''Storia di Torino: La città fra crisi e ripresa, 1630-1730'', a cura di G. Ricuperati, Torino, vol. IV, pp. 187-188</ref> Nel 1666 la Municipalità di Torino approvò il progetto di un'edizione di tutte le sue opere e conferì al Tesauro il compito di scrivere una storia della città, alla quale egli attese però solo parzialmente. Tra il 1669 e il 1674 cominciarono così ad apparire, per l'editore Zavatta, i sontuosi volumi dell'[[opera omnia]], tra cui bisogna soprattutto ricordare la ristampa, finalmente sotto il controllo dell'autore, del ''Cannocchiale aristotelico''.<ref>{{Cita libro|titolo=La Letteratura Italiana. Storia e Testi|volume=36|autore=Ezio Raimondi|editore=[[Riccardo Ricciardi]]|anno=1960}}</ref> [[Domenico Piola]] realizzò il disegno dei [[Frontespizio|frontespizi]] incisi da Georges Tasnière e da Antoine De Pienne.<ref>{{DBI|piola|Piola|autore=Daniele Sanguineti}}</ref>