Marina Warner: differenze tra le versioni
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Insieme alla rappresentazione delle immagini, la sua area di riflessione ruota intorno ai modi in cui allegorie e simbolismi continuano a riverberare nella cultura contemporanea, e al ruolo dell'iconografia nell'immaginario e nella vita. L'attenzione alle pratiche della cultura popolare, che trasferisce dall'analisi alla narrativa, la avvicina agli intenti della scuola britannica degli “Studi culturali” e allo spazio contestato della produzione critica e letteraria (post-)coloniale con cui entrerà in un dibattito critico fruttuoso, specie dopo la pubblicazione del romanzo ‘Indigo'. Queste scelte estetico-politiche non hanno avuto sempre il favore della critica. Al contrario i suoi temi e il suo tipo d'approccio (comparatismo, transculturalismo, intreccio tra letterature, tradizione e moduli popolari e colti), che convoglia nell'indagine critica opere canoniche e delle culture “basse”, che con le sue tecniche sovrappone entro le strutture narrative, la storia, il folklore e l'arte, che indaga in quel luogo intermedio dei “generi misti”, all'inizio sono stati accolti con riserva dall'establishmernt letterario e critico britannico. Questo suo sottrarsi alle etichette, infatti, e il suo agire controcorrente nelle scelte professionali e nella pratica di scrittura saggistica e letteraria, le hanno anzi in un primo tempo guadagnato, se non ostilità, certo diffidenza sia nello stesso ambito femminista che in quello dell'accademia, insofferente alle sue scelte di “studiosa indipendente”. Dichiara Warner: “volevo la libertà […] di Londra […] Quando ho cominciato io […] era troppo presto per gli studi delle donne, per gli studi interculturali e per quel genere di comparatismo letterario […] Percorsi di questo tipo […] ancora non ne esistevano […] almeno in quell'ambiente accademico”. E citando [[John Updike]], che paragonava le favole a “frammenti di vetro erosi dal tempo e abbandonati dal mare sulla spiaggia”, Warner osserva, appunto, come questi “detriti” culturali, ultimi residui di esperienze antiche, possano offrire insospettate chiavi reinterpretative del passato non solo europeo, e possono essere utili a riprogettare futuri comuni. Negli ultimi lavori non le interessano più soltanto gli aspetti “vittimizzanti” delle discriminazioni di classe, di genere e di razza, bensì pure “i modi in cui all'interno dei sistemi di potere, delle strutture di relazione e delle gerarchie […] gli individui […] siano riusciti a costruire, a mantenere qualcosa per sé medesimi”. Vuole dunque raccontare “non solo l'oppressione”, ma anche le risorse investite nelle strategie di sopravvivenza. La densità multi-prospettica delle sue riscritture l'hanno fatta accostare alle opere di [[Angela Carter]] (amata da Warner pure per la “festività Rabelaisiana”) e di [[Antonia Byatt]].
Dopo gli studi di [[Oxford]] e gli anni nel giornalismo, lavorando per il [[Daily Telegraph]] e per [[Vogue (periodico)|Vogue]] (che lascia nel 1971), Warner si dedica alla ricerca. Segue negli [[Stati Uniti d'America]] il giornalista [[William Shawcross]], che sposa ma da cui divorzierà, ed ‘Alone of All her Sex', ‘The Myth and Cult of Virgin Mary', che appare nel 1976, è frutto delle letture di quegli anni alla “Library of Congress”. Lo studio del culto della Madonna e dei suoi modelli di femminilità è seguito nel 1977 – anno in cui nasce il figlio Conrad – dal romanzo ‘In a Dark Wood' centrato sulla crisi religiosa del protagonista che scopre la propria omosessualità, dove Warner “drammatizza” il suo “distacco dal cattolicesimo” (“ne mettevo in discussione soprattutto l'atteggiamento verso la sessualità”). Nel
Vastissima è la produzione della scrittrice nell'ambito della critica d'arte (ricordiamo ‘The Inner Eye: Art Beyond the Visible', del 1996) e dei racconti, gran parte dei quali sono apparsi singolarmente in antologie o in periodici. ‘Six Tales of Enchantement' sono del 1994, in diverso modo collegati al saggio del 1995: ‘From the beast to the Blond'. ‘On Fairy Tales and their Tellers', indagine sulle metamorfosi di fiabe e leggende. In ‘Managing Monsters'. ‘Six Myths of our Time, del 1995, che raccoglie le sue “BBC Reith Lectures” del 1994, l'autrice analizza modalità di sopravvivenza e di mutazione di miti e simboli, attraverso i diversi codici rappresentativi (orali, scritti, visivi) delle forme popolari antiche e moderne (compresi il cinema e altri media) e tende a dimostrare come questo tipo d'immagini siano ogni volta “incorporate entro determinate strutture di potere”. In ‘Fantastic Metamorphoses', ‘Other Worlds: Ways of telling the Self' (che raccoglie le sue “Clarendon Lectures”) esamina tra l'altro le rielaborazioni mitico-favolistiche presenti nel “gotico imperiale” inglese. In ‘The Leto Bundle' la figura centrale attraversa storia e paesi dei [[Balcani]].
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