Lucio Licinio Crasso: differenze tra le versioni
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|titolo = [[Console romano|Console]] della [[Repubblica romana]]
|nome completo = ''Lucius Licinius Crassus''
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|data di nascita =
|data di morte =
|Gens = [[Gens Licinia|Licinia]]
|questura = [[110 a.C.]]
|tribunato della plebe = [[107 a.C.]]
|edilità = [[103 a.C.]]
|pretura = [[98 a.C.]]
|consolato = [[95 a.C.]]
|censura = [[92 a.C.]]
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{{Bio
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==Biografia==
Iniziò la sua carriera di oratore molto giovane, a ventuno anni ([[119 a.C.]]), quando [[Gneo Papirio Carbone (console 113 a.C.)|Gneo Papirio Carbone]], un uomo nobile ed eloquente, odiato dagli aristocratici, cui apparteneva Crasso, fu citato da lui in tribunale. Crasso dimostrò grande onestà in questa causa, in quanto ricevette da uno schiavo di Carbone delle lettere sigillate sottratte dal tavolo del suo padrone, ma rimandò l'uomo a Carbone assieme alle lettere ancora chiuse. Carbone si suicidò per evitare l'onta della condanna.
Nel [[118 a.C.]] si oppose alla posizione del proprio partito nei riguardi di una legge che proponeva l'istituzione di una [[colonia romana]] a [[Narbona]]. Il [[Senato romano]] osteggiava tale proposta perché temeva che avrebbe causato una diminuzione degli introiti dell'erario statale legati agli affitti della terra pubblica. Crasso preferì questa volta sostenere la causa della legge, per ottenere il consenso delle classi più povere, che avrebbero ottenuto i maggiori profitti da questo provvedimento. Fu lo stesso Crasso a provvedere alla fondazione della colonia.
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Al suo ritorno a Roma riprese l'attività legale, difendendo l'amico [[Sergio Orata]] dall'accusa di appropriarsi dell'acqua pubblica per le sue coltivazioni di ostriche. Nel [[107 a.C.]] fu [[tribuno della plebe]].
Nel [[106 a.C.]] parlò in favore della [[Lex Servilia Caepio|''
Fu poi [[pretore (storia romana)|pretore]] e [[augure]], per poi essere eletto [[console (storia romana)|console]] assieme a Scevola per l'anno [[95 a.C.]]: insieme promulgarono la ''[[lex Licinia Mucia]] de civibus redigundis'', che portò ad una revisione degli elenchi dei cittadini Romani per depennare coloro che negli anni precedenti si erano fatti illegalmente inserire in esse o si spacciavano per cittadini; fu il rigore di questa legge che contribuì allo scoppio della [[guerra sociale]]. Durante il consolato difese [[Quinto Servilio Cepione (legato 90 a.C.)|Quinto Servilio Cepione (figlio del console del 106)]], che era stato accusato di ''[[majestas]]'' da [[Gaio Norbano]] e ne ottenne il proscioglimento.
Si occupò poi dell'amministrazione della [[Gallia citeriore]], che condusse egregiamente, a parte una caduta di stile. Volendo ottenere onori militari, cercò lo scontro con dei nemici, ma non ne trovò; pensò allora di sottomettere delle tribù innocue e chiese il [[trionfo]] per questa azione: fu solo per l'intervento di Scevola che la cosa non ebbe buon fine.
Intorno al [[93 a.C.]] partecipò ad una delle cause legali più note dell'epoca, quella tra [[Manio Curio (94 a.C.)|Manio Curio]] e [[Marco Coponio (94 a.C.)]] riguardo ad una eredità: Crasso difese Curio, mentre le parti di Coponio furono prese da Scevola, che era un ottimo avvocato. La causa, nota come ''[[Causa Curiana]]'', verteva su un testamento, fatto da un uomo che riteneva la moglie incinta di pochi mesi, e che lasciava i propri beni al figlio nascituro, a meno che questi non fosse morto prima dei quattordici anni, nel qual caso l'eredità sarebbe andata a Curio. Il figlio non nacque e Scevola, difendendo l'interesse di Coponio, affermò che la clausola fosse stata annullata da questo fatto. Crasso, invece, affermò che l'autore del testamento non poteva distinguere tra il non verificarsi della clausola per morte del figlio dal caso in cui il figlio non fosse nato affatto, e quindi avanzava la richiesta di riconoscimento del ruolo di erede del suo cliente. La corte diede ragione a Crasso, e Curio ereditò.
Nel [[92 a.C.]] fu [[censore (storia romana)|censore]] con [[Gneo Domizio Enobarbo (console 96 a.C.)|Gneo Domizio Enobarbo]].
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