Guerre pirriche: differenze tra le versioni
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==== Proposta di tregua ====
In seguito, [[Gaio Fabricio Luscino]] venne inviato come ambasciatore presso Pirro per trattare lo scambio dei prigionieri. Pirro fu favorevolmente attratto dalle qualità dell'ambasciatore, il quale non si piegò ad essere corrotto dal re epirota che gli offrì la quarta parte del suo regno.<ref name="EutropioII,12"/><ref>Secondo invece [[Sesto Giulio Frontino]] (''Stratagemmi'', libro IV, III), [[Cinea]], ambasciatore di Pirro, offrì a [[Gaio Fabricio Luscino]] una grossa somma di monete d'argento, ma quest'ultimo la rifiutò dicendo di amare "più coloro a cui questo argento appartiene, che l'argento stesso".</ref> Il re epirota, non avendo ottenuto ciò che voleva da Fabricio, inviò a sua volta a Roma, il suo fidato consigliere, [[Cinea]], per chiedere
Pirro, a questo punto, si trovava in seria difficoltà per gli approvvigionamenti: riceverli via mare dall'Epiro era troppo dispendioso. Prelevarli in loco dagli alleati italici gli avrebbe alienato la loro benevolenza e scatenato probabilmente qualche azione di [[guerriglia]] a vantaggio dei romani. Il re epirota si risolse così a tentare un accomodamento diplomatico col [[senato romano]]. Roma venne minacciata di occupazione se non avesse ritirato il suo esercito al di qua del fiume [[Garigliano]] e non avesse smesso di compiere sortite con azioni di guerriglia ai danni di epiroti e di tarantini. Ma l'anziano console [[Appio Claudio Cieco]], capofila degli intransigenti, fece fallire le trattative, consapevole dell'appoggio logistico e finanziario di Cartagine, che non desiderava lo sbarco dell'esercito epirota in Sicilia, e conscio della capacità dell'[[esercito romano]] nel rimpiazzare le perdite senza problemi, a differenza dell'esercito di Pirro. A Pirro non rimaneva che cercare uno scontro decisivo che obbligasse Roma a piegarsi.
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